12/10/1942 - 28/01/2022 / Paolo Gioli, in memoria

29 Gennaio 2022

Troppo poco, troppo tardi. Questo è un vero rimpianto come ne ho pochi. Avrei voluto frequentarlo di più, mi piaceva stare con lui, ma era davvero troppo fuori mano. Sull’argine dell’Adige, in provincia di Rovigo. Diceva scherzando che la strada che portava a casa sua era cosparsa di scheletri di critici che si erano persi. Invece era così ospitale, con la gentilissima sua moglie. Si stava nel suo studio a parlare, aveva sempre tante cose da dire, le pareti piene di immagini, sue e di riferimento, la sua “macchina” da una parte, quella con il foro stenopeico, poi tanti materiali sulle mensole e i tavolini.

 

 

La faccia spiritata, i capelli in perpetuo disordine, ad alcuni incuteva timore, faceva il burbero ma era capace di una dolcezza che solo i poeti sanno manifestare. Era instancabile nel raccontare. Inscenava timidezze e rifiuti agli inviti a parlare in pubblico, poi era uno spettacolo, nel senso teatrale del termine.

A Reggio Emilia, per “Fotografia Europea”, fu magnifico, tutti erano a bocca aperta, catturati dal suo gioco che lasciava increduli: sta dicendo sul serio o inventa? Espose dei corpi verde fosforescente e parlò del carattere fosforescente della fotografia, la sensibilità alla luce, una superficie che si impregna e poi la rilascia piano piano, fino a esaurimento, come la vita, fino alla morte. Come posso non ripensarci ora che è lui ad essersi spento?

 

A Ravenna, alla festa di "doppiozero" che lo aveva invitato tra i grandi “irregolari”, proprio su un palcoscenico di teatro, mostrò come si poteva ottenere il colore con proiezioni sovrapposte di solo bianco e nero. Lo argomentava scientificamente, ma ogni sua frase vibrava di significato simbolico. Non potevi non essere chiamato in causa dal discorso, si rivolgeva direttamente a te, ti chiedeva se capivi, se eri disposto a capire, o se ti ritraevi. Ti metteva di fronte a una scelta impossibile: gli credo o non gli credo? Sta veramente dicendo quello che mi pare di sentire? Cosa devo fare con lui? Lui era talmente coinvolto che non avrebbe mai smesso, era talmente ipnotico che il pubblico, un pubblico da teatro, sarebbe stato ad ascoltarlo per ore.

 

 

Paolo Gioli è stato un grande artista, chi lo ha amato lo pensa senza mezzi termini, gli altri sono perplessi perché era una persona non facile, non mondano, fingeva una certa follia, con le sue opere sul corpo, non esitava a mettere a disagio le donne con certe insistenze. Ma come poteva essere diversamente? Il corpo e il sesso non sono argomenti neutri, la sua “fotografia” era in presa diretta, il suo sguardo era tattile: seno-segno, sesso-fiore, foro stenopeico-buco..., polaroid-materia vivente, corpo rappresentato-corpo dell’immagine... Non ci si può girare intorno.

Tutto fatto senza trucchi, elaborazioni, postproduzione. Era una cosa che ripeteva di continuo: gli americani gli chiedevano che programma del computer usava per ottenere gli effetti delle sue foto, lui scrollava la testa: macché programmi! Tutto, tagli, colpi di luce, iridi, fosforescenze, tutto era fatto lì direttamente.

 

Ne ha inventate tante, credeva a quella che la maggior parte usa come metafora, che la fotografia è un’alchimia: i materiali e i procedimenti sono simbolici e l’artista mette in gioco sé stesso, il proprio percorso esistenziale. Polaroid reinventata, fotofinish reiventato, mai usato una macchina fotografica senza smontarla e modificarla, ci metteva dentro degli oggetti, degli animaletti, dei segni… Per non parlare delle cineprese: cosa non ha fatto con queste! I suoi film sono un’invenzione unica, a passo uno, immagine per immagine, fotogramma per fotogramma.

Ha avuto una vita non facile, per scelte sue; non abbastanza riconoscimenti, nonostante fosse notissimo, pieno di cataloghi, mostre all’estero. È un po’ il problema di chi usa la fotografia, di venire sottovalutato in ambito artistico, e di chi non realizza in grandi dimensioni, di far pensare che non sia all’altezza. Ma sarà tutto da ristudiare.

Intanto porgiamo un saluto di quelli per i grandi, tanto più commosso proprio perché non tutti se ne sono accorti.

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