#4 / Perché Freud è ancora necessario
Ciò che resta di Freud
Davide Radice
Nel corso della sua vita Freud è riuscito a proporre due pratiche che hanno fornito all’umanità uno strumento per la conoscenza di se stessi e che non credo possano essere sostituite da alcunché: l’interpretazione del sogno e la situazione analitica. La risposta di Freud alla domanda su come si diventasse analista è stata: “analizzando i propri sogni”. Si può certo mettere l’accento su “sogni”, la via regia verso la conoscenza di ciò che è inconscio nella vita psichica, ma anche su “propri”, ovvero sul fatto che l’analista, il quale lavora sulle manifestazioni del proprio inconscio, in modo da abbassare il rischio che i suoi complessi possano diventare macchia cieca nel suo sguardo sul paziente. Questa risposta contiene però qualcos’altro di rivoluzionario e di permanente: il sogno è il materiale per eccellenza su cui esercitarsi ad “analizzare” nel senso etimologico di sciogliere, scomporre. L’inizio dell’interpretazione consiste nell’abbandonare l’interezza del sogno e concentrarsi sui singoli elementi: una parola, un nome, un luogo, una persona. Da ciascun elemento si dipanano connessioni che non sono possibili in un modo ordinario di pensare.
La seconda pratica, la situazione analitica, è caratterizzata da un’estrema simmetria: da una parte, il paziente dice tutto quello che gli viene in mente e cerca di superare le resistenze al sapere sul fronte di una sorta di autocensura. Dall’altra, l’analista cerca di accogliere con mente sgombra quanto ascolta. L’interazione di questi due atteggiamenti verso il sapere rende possibile l’emergere di un discorso altro: l’analizzante viene a contatto di un discorso di cui è portatore, ma che allo stesso tempo gli è alieno. Questa esperienza gli permette di ascoltarsi, attitudine non molto frequente al giorno d’oggi, e a partire da questo ascolto di sé strutturare anche un diverso ascolto dell’altro.
Davide Radice, psicanalista e traduttore, scrive sul sito analisilaica.it
Contro l’esteriorità
Gordon Cappelletty
Quando mi è stato chiesto di scrivere un breve parere su Freud, la mia prima reazione è stata che fosse impossibile cogliere nella sua complessità una figura come quella di Freud in poche righe. Nell’unica registrazione audio esistente di una sua intervista, Freud racconta che, all’inizio, la motivazione del suo lavoro nasceva dal desiderio di ridurre la sofferenza dei pazienti nevrotici. I suoi sforzi lo portarono ad aprire la via alla ricerca oggettiva, scientifica, dei fenomeni inconsci e a provare che non siamo sempre padroni a casa nostra. Inventando la psicoanalisi ha contemporaneamente creato una filosofia, un metodo di indagine scientifica, una teoria del funzionamento mentale e una forma di cura.
C’è chi oggi nel campo della psicologia e della psichiatria contemporanea svaluta il suo pensiero, ma sarebbe ingiusto giudicare i suoi sforzi e i suoi risultati secondo gli standard della scienza contemporanea del funzionamento mentale che verosimilmente non sarebbe progredita senza di lui.
Molte delle sue scoperte, come quelle che affrontano la repressione e le difese dell’io, sono diventate parte integrante della psicologia moderna e della ricerca psicologica, così da essere incorporate in molte teorie e approcci esterni alla stessa psicoanalisi. Infatti, le teorie e i metodi di Freud hanno avuto un’ampia ricezione al di fuori del campo della medicina, tanto nel teatro, quanto nella letteratura e nella critica d’arte.
L’ermeneutica della psicoanalisi è stata usata negli studi delle tendenze storiche e sociali ed è diventata parte del tessuto della cultura occidentale nello stesso modo dell’opera di Platone, Aristotele e Marco Aurelio.
È una cultura che si è sempre più focalizzata sulla realtà esterna, cosiddetta obiettiva, che ha cominciato a guardare a Freud con scetticismo. Ma è precisamente la resistenza a prendere in esame la nostra vita interiore a rendere il lavoro di Freud persino più importante per il ventunesimo secolo.
Gordon Cappelletty insegna psicologia all’Università Lenoir-Rhyne, North-Carolina
Un sovversivo
Laura Porta
Freud è stato innanzitutto un sovversivo. Proviamo a immaginarlo nella Vienna del suo tempo, sostenuto ma anche tenuto d’occhio da una perbenista e conformista classe borghese, con tutti i rischi che si potevano correre nell’inventare una nuova terapia per la cura delle malattie mentali che osasse ribaltare l’ordine di cosa fossero la famiglia, la coscienza e la sessualità. Proviamo a immaginarlo nel mettere alla prova le sue intuizioni nella pratica clinica e nello scontrarsi con gli inevitabili fallimenti, gli innumerevoli dubbi, le spietate critiche. L’anticonformismo di Freud si è tradotto in un’audacia teorica mai provocatoria e sempre razionale, lucida, calibrata, ma instancabile nel suo lavoro di ricerca.
Freud è ancora necessario nel suo stile “in direzione ostinata e contraria” all’appiattimento delle masse, e quindi mai come oggi il suo insegnamento ci occorre. Ci è necessario per la fede che ha messo nell’esistenza dell’inconscio, nel risvegliare l’umano dal sonno della sua ragione e del suo conformismo. Ci è ancora necessario il suo insegnamento per interrogarci sul nostro desiderio inconscio, metterci in ascolto della nostra anima e resistere ai richiami roboanti del capitalismo che cerca di ingannarci sul nostro più intimo desiderio (e spesso ci riesce).
Freud ci insegna che possiamo trovare noi stessi, ma solo in connessione alle nostre radici, perché per orientare il nostro futuro è necessario sapere chi siamo e da dove veniamo.
Prima di oltrepassare Freud e i maestri bisogna conquistarli interiormente e ciò richiede anni e anni di lavoro su se stessi. Perché conquistare un maestro non significa imitarlo.
Le riflessioni di Freud sul disagio della civiltà richiedono secoli di evoluzioni. Com’è possibile che, ancora, lo straniero possa essere automaticamente considerato nemico? Secondo Freud sarebbe stato necessario un avanzamento collettivo verso una maggiore consapevolezza dei propri impulsi inconsci, per esercitare un’etica orientata verso il senso civile. Questo è, ancora oggi, un grande insegnamento, sia personale che sociale.
Laura Porta, psicoanalista, fa parte di Divergenze (Associazione per le pratiche della cura e della clinica) e di Sabof.
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