Speciale

Dizionario Levi / Straniero

29 Giugno 2019

Il testimone, il chimico, lo scrittore, il narratore fantastico, l'etologo, l'antropologo, l'alpinista, il linguista, l'enigmista, e altro ancora. Primo Levi è un autore poliedrico la cui conoscenza è una scoperta continua. Nel centenario della sua nascita (31 luglio 1919) abbiamo pensato di costruire un Dizionario Levi con l'apporto dei nostri collaboratori per approfondire in una serie di brevi voci molti degli aspetti di questo fondamentale autore la cui opera è ancora da scoprire.

 

Nella Prefazione di Se questo è un uomo, Levi mette in guardia il lettore sui sintomi che rischiano di assumere forme politiche organizzate: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ‘ogni straniero è nemico’. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all´origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager.”                        

 

Riguardo alle leggi fasciste del 1938, Levi commenta: “non passava giorno senza che i giornali e le riviste ci definissero estranei alla tradizione del Paese, diversi, nocivi, abietti, nemici”; l´esclusione lo induce a ricavare dal laboratorio chimico un elogio dell´impurezza come qualità intrinseca del movimento vitale (Zinco, Il sistema periodico). Classificato dalle leggi antisemite come “straniero”, ad Auschwitz Levi non può nemmeno identificarsi con gli ebrei orientali parlanti yiddish incontrati ad Auschwitz. Inoltre, nella Babele del Lager (restituita narrativamente attraverso scelte di multilinguismo) si accentua il riconoscimento attraverso la propria lingua, specie per gli italiani che, in minoranza, sono i primi a soccombere, per difficoltà di comunicazione e incomprensione degli ordini ricevuti; al contempo, il prigioniero Levi rompe la cortina dell´incomunicabilità, deciso ad ampliare il suo “limitato Wortschatz. Dovrà apprendere, tra le altre, alcune parole minacciosamente straniere come Wstavać o la parola ibrida seleckja. In un ambiente dominato dal tedesco, polacco, yiddish, russo, e poi dall´ungherese, catapultati in una babele di codici “infiniti e insensati”, i prigionieri si ritrovano in una condizione radicale di stranieri – che finisce per coinvolgere anche i madrelingua tedesca, colpiti da un senso di estraneità verso un idioma nazificato (come per Jean Améry o Victor Klemperer citati in I sommersi e i salvati). 

Fin dai primi scritti, Levi si mostra attratto dal campo semantico del termine barbaro e del suo significato originario di “un barbugliare rozzo e indistinto, un bar-bar animalesco” (“Piombo”, Il sistema periodico) che caratterizza la diversità linguistica. Tuttavia, la barbarie per antonomasia è quella nazista, già descritta nella scena dantesca dell´arrivo: “il buio echeggiò di ordini stranieri, e di quei barbarici latrati dei tedeschi quando comandano, che sembrano dar vento a una rabbia vecchia di secoli” (Se questo è un uomo).        

 

Non mancano inversioni ironiche della capacità alla barbarie miranti a criticare le dinamiche di oppressione nelle civiltà avanzate, come in “La bella addormentata nel frigo” (Storie naturali), in cui si allude sottilmente a una colonizzazione violenta di Marte quando un personaggio accenna alla sua nuova pelliccia di marziano.                    

In “Tradurre ed essere tradotti” (L’altrui mestiere), Levi torna sul concetto secondo cui “per molti chi parla un´altra lingua è lo straniero per definizione, l´estraneo, lo ‘strano’, il diverso da me, e il diverso è un nemico potenziale, o almeno un barbaro: cioè, etimologicamente, un balbuziente, uno che non sa parlare, un quasi-non-uomo”, estendendo il significato “relativo” di barbaro linguistico a quello “assoluto” (secondo la distinzione di Todorov), passibile di eliminazione. Di fatto, il progetto hitleriano di esclusione di esseri umani dalla propria “specie” spinge al limite la non appartenenza e crea le tragiche condizioni per uno straniero che potremmo dire “integrale”, corrispondente ai “sommersi” o “testimoni integrali” quali i Muselmänner o il piccolo Hurbinek, privo di linguaggio e mai uscito dal filo spinato.

Lo straniero si dirama costellando tutta l´opera, in numerose tipologie che, a volte, si sovrappongono: dall´esploratore al poliglotta, dal prigioniero del Lager all´esiliato, dal reduce all´ebreo errante, dal barbaro nemico all´ufficiale SS, dal traduttore al narratore, fino all´alieno di racconti fantastici. Sono stranieri difficili da capire i tedeschi, a cui spesso Levi si rivolge come lettori in un´assidua corrispondenza.

 

 

Nonostante Levi ribadisca una teoria personale, venata di aspetti positivisti, secondo cui le pulsioni ostili verso gli estranei sarebbero ancestrali o “pre-umane”, la curiosità verso gli altri caratterizza numerosi personaggi e il suo stesso osservare il mondo. Si manifesta nello stupore benevolo di esploratori e popoli immaginari di alcuni racconti (ad es. “Piombo”, Il sistema periodico o “Verso Occidente”, Vizio di forma) in cui abitanti autoctoni di terre esotiche incarnano la critica all´incapacità di gestire gli effetti collaterali dello sviluppo tecnologico. Ma sono distanti dai barbari-nemici anche i molti stranieri delle storie del periodo bellico: giovani cordiali ad Auschwitz, come Schlome che lo accoglie “sulla soglia della casa dei morti” (Se questo è un uomo), l´ungherese Bandi de “Il discepolo” (Lilìt e altri racconti), lo zingaro del racconto omonimo (Ibidem), l´amico alsaziano Jean detto “Pikolo” (Se questo è un uomo); compagni di viaggio come il Greco, con cui il narratore si sente “così diverso, così straniero” (La tregua); Olga, antifascista croata, rifugiata prima della guerra insieme a migliaia di ebrei stranieri, che avevano trovato breve ospitalità “nella paradossale Italia di quegli anni, ufficialmente antisemita” (La tregua); Avrom, che “come tanti remoti viaggiatori nordici aveva scoperto l´Italia con occhio vergine, ed aveva combattuto per la libertà di tutti in un paese che non era il suo” (Storia di Avrom, Lilìt e altri racconti), e che da poliglotta emigrato in Palestina dimenticherà la sua lingua. Come lui, altri osservano gli italiani con occhi meravigliati: i polacchi di fronte al romano Cesare, “lo straniero fantastico venuto dai confini del mondo” (La tregua), oppure i partigiani ebrei di Se non ora quando, affascinati dallo “strano paese” in cui convivono accoglienza e raggiro.

 

In un’Europa devastata dalla guerra, tuttavia lo straniero prevalente in Levi si rifà ad Ulisse in una ricerca di conoscenza del mondo e degli altri. E come Ulisse, lo straniero è anche colui che racconta. La figura che narra avventure o l´esperienza traumatica trova il suo modello sia nell´eroe omerico che nel Vecchio Marinaio di Coleridge.                                           

Gli stranieri dei testi primoleviani si muovono ora in uno spazio totalitario che costruisce il binomio straniero-nemico, ora motivati da un atteggiamento di simpatia (secondo il concetto di Ricoeur), pur laddove esistano perplessità iniziali. Sono numerose le descrizioni di sonorità straniere, paesaggi esilici cosí come di shock culturali tra comunità diverse. In quella che Alberto Cavaglion ha definito “il lungo saggio trasversale delle caratteristiche nazionali” spiccano le differenze tra mondo mediterraneo e nordico o tra ebrei italiani assimilati ed ebrei di lingua yiddish. Tuttavia, anche se “sradicare un pregiudizio è doloroso come estrarre un nervo” (Se non ora quando), l´attraversamento delle frontiere accumula elementi per una ridefinizione continua dell´identità collettiva negli incontri con altri.   

La figura dello straniero interno, invece, interseca il tema del doppio: il Doppelgänger (“un fratello muto e senza volto, che pure è corresponsabile delle nostre azioni” (“Dello scrivere oscuro”, L’altrui mestiere); l´unheimlich nella traduzione di Il processo di Kafka; il centauro e le tematiche di una “spaccatura” esemplificata nelle espressioni “ebreo-non ebreo”, “scrittore-non scrittore”, ma estendibile in sede di analisi letteraria a questioni più complesse.                                                         

Infine, anche l´universo “si fa sempre più intricato, imprevisto, violento e strano” (“Notizie dal cielo”, L’altrui mestiere) e gli esseri umani, di fronte alla solitudine cosmica e ai dati scientifici su dimensioni e distanze esorbitanti, ne sono sempre più “estranei”.

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