EpiStoa / Riprendere il filo eretico del pensiero

5 Aprile 2019

Nel suo ultimo pamphlet dal titolo Alessandro, redatto negli anni ottanta del I sec., l’irriverente Luciano di Samosata se la prende con quelli che fanno comunella e «vanno intorno strologando, trappolando, e tondendo i grassi» – nella succosa traduzione ottocentesca di Luigi Settembrini, ‘lucianizzata’ nel ’44 da Alberto Savinio e rimessa ora in circolazione da Adelphi (Luciano, Una storia vera e altre opere scelte da Alberto Savinio, Milano, Adelphi, 2018). 

 

Alessandro ha compreso «che la vita degli uomini è tiranneggiata da due grandi cose, dalla speranza e dal timore, e chi opportunamente può usare di una di queste, tosto diventa ricco.» Si compra quindi per pochi spiccioli un colubro di quelli davvero enormi, ma innocui e mansueti. Serpentoni grandissimi che i bambini calpestano e, come i bambini, per gioco, sanno succhiare il latte dalle poppe delle donne. Ed eccolo lì, Alessandro, a organizzare un’epifania del dio medico Esculapio. Novello sacerdote del dio guaritore che si sostanzia nel serpente Glicone, Alessandro gli procura un tempio, un oracolo, e via, a fornire «a quei poveretti» del popolo, a prezzo di «mattoni d’oro», la conoscenza dell’incerto avvenire. Si fa epilettico e schiuma (il morbo sacro inviato dal dio), si fa invasato come gli iniziati ai misteri di Cibele (falce-in-mano-chiome-sparse), parla e stordisce il popolo «profferendo parole ignote, forse ebraiche o fenicie». Presto, nel luogo in cui si trova in Asia Minore, «la città» si fa «piena di genti, non ritenendo di uomini mangiapane altro che le fattezze, e nel rimanente essendo pecore», «una moltitudine di uomini sconvolti, turbati, stupiditi, stimolati da speranze». La fama dell’oracolo giunge anche in Italia e si sparge per Roma. Alessandro agisce insomma «con tale un ingegno che ci avrebbe voluto un Democrito, un Epicuro, un Metrodoro, o un altro con la ragione ben salda contro queste e simili ciarlatanerie, che non vi prestasse fede, e subodorasse ciò che era.»

 

«Un Democrito, un Epicuro, un Metrodoro»: Leucippo, Democrito, Epicuro, Metrodoro, ma poi anche gli atomisti e i corpuscolaristi delle scuole mediche e tecnico-scientifiche (Erone di Alessandria), il sublime Lucrezio a Roma, e via discorrendo, rappresentano, lungo tutta la storia del pensiero occidentale, quel filone che basa il suo pensiero su una teoria ‘eretica’ e alternativa della materia; inufficiale perlopiù, certo, ma viva, vivace e indispensabile per creare, in virtù del botta e risposta con il filone ‘ortodosso’, la tensione intellettuale alla base della vera conoscenza. Sono i filosofi del «discreto»: per loro la materia è «discreta», fatta di atomi o corpuscoli e vuoto. Sono i filosofi contrari alla Provvidenza. Con i seguaci «di Platone, di Crisippo, di Pitagora» (platonici, stoici, pitagorici, sono tutti filosofi del «continuo»: non ammettono il vuoto che interrompa il passaggio del ‘divino’ attraverso la materia), che «gli erano amici», scrive Luciano, il nostro Alessandro stava in pace, «ma l’inflessibile Epicuro era suo nemico mortale, come quello che piglia in giro tutte queste cose.» 

 

 

Alessandro di Abonutico non è frutto della fantasia di Luciano. È un suo contemporaneo. Ma Luciano è «un Democrito» e non gliela fa passare liscia. Ma che cosa è stato del filone greco-latino dei Democriti, se non un grande, terribile naufragio dei testi? Non fosse per le Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, un quasi-frammento della cosmogonia atomistica di Leucippo, che ci presenta il lungo catalogo delle opere di Democrito dove sono riportate quasi alla lettera le preziose epistole di Epicuro, saremmo solo nelle mani dei più o meno grandi dossografi, veicolatori del pensiero altrui. 

 

Nel testo di Diogene Laerzio, Leucippo, primo atomista e maestro di Democrito, spiega la nascita di questo nostro mondo, come di infiniti altri mondi, come prodotto casuale del moto eterno e disordinato degli atomi nel vuoto. È il primo «che ‘l mondo a caso pone». Solo di atomi e vuoto è fatto il tutto. La causa che scatena l’effetto domino generativo e «necessario» si produce per caso. Per caso, nel turbinio degli atomi dell’universo può venire a crearsi un «grande vuoto», ed ecco, automaticamente, si produce il vortice della generazione, risucchiato da quel grande spazio, come il mulinello d’acqua è risucchiato dallo scolo della vasca da bagno. Dentro il vortice, il mondo prende plasticamente forma. Gli atomi simili reagiscono in modo simile al moto vorticoso che li trascina. Al centro si sedimentano gli atomi più grossi e pesanti formando la sfera della terra. Tutto attorno esplodono gli atomi più fini e più leggeri. Formeranno la natura del cielo e degli astri. 

 

Democrito applica, come testimoniano anche alcuni scritti ippocratici a lui molto vicini, questo principio meccanicistico anche alla biologia, alla fisiologia, alla patologia. La circolazione sanguigna si spiega con l’ingegnosissima fisica dell’horror vacui: quando un vuoto si viene a creare nel corpo, gli umori vi affluiscono per risucchio. Tutti i movimenti antigravitazionali dei fluidi corporei si spiegano per riempimento e svuotamento degli organi che regiscono automaticamente ai cambiamenti fisici. È anche possibile guarire un malato estraendo un (supposto) umore dannoso attraverso la pelle. Basta creare artificialmente l’effetto ventosa (coppettazione). Ecco l’origine pseudoscientifica delle coppette della nonna applicate sulla pelle e del fenomeno dei muscoli a pois di Michael Phelps alle Olimpiadi di Rio.

 

Le teorie della materia dei due filoni sono incompatibili tra loro e sono alla base di una opposta visione del mondo. Molto spesso, nel corso dei secoli, quella tensione che produce conoscenza si riproduce: si pensi alla fase vacuista (vuoto negli interstizi tra i corpuscoli) e alla fase pienista (non c’è vuoto negli interstizi tra i corpuscoli) di Galileo che si è formato su Erone, o degli altri grandi corpuscolaristi del ‘600, alle letture contrapposte del fenomeno luminoso (luce discreta in Newton e luce continua in Huygens come nella teoria elettromagnetica di Maxwell) che trovano esplicitazione teorica nella seconda antinomia di Kant (Critica della ragion pura, B 462-463); oppure ancora alla lettura della materia a livello subatomico nella meccanica quantistica della prima metà del ‘900: particelle elementari/quanti oppure onde, o entrambe le cose? Le teorie della materia dei grandi filosofi del passato sono inscindibili dalla loro visione culturale, etica e politica e dalle parole per esprimerla. Il sapere è uno e le diverse sue manifestazioni si sono autodefinite in funzione delle altre o in antitesi alle altre.

 

Di recente è nata EpiStoa che intende promuovere, partendo dalla scuola, i grandi valori europei etico-politici degli «human rights, democracy and the rule of law», ma lo fa con sguardo antico promuovendo la conoscenza delle lingue (il greco, il latino) che hanno contribuito a crearli attraverso l’arte, la letteratura e il pensiero scientifico. Ha un nome felice: nasce dalla fusione di epicureismo e stoicismo ma lo si può leggere anche come: EpiStoa («Sulla scuola stoica»), che richiama a sua volta «Episteme» («scienza/conoscenza/sapere»), ma non intende stare seduta a guardare le stratificazioni della Stoà dimenticando il Kepos, la scuola di Epicuro. 

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