Otto domande (3) / Università: diffidare delle imitazioni
Tiziano Bonini
La pandemia è stata affrontata facendo ricorso alle piattaforme digitali. Questo ha reso il tema della cosiddetta “fatica digitale” (digital fatigue) più che mai attuale. Il ritorno alla normalità eliminerà il problema o ne cambierà solo i termini? Come pensate che occorrerà affrontarlo?
Non ci sarà un ritorno alla “normalità”. Molte riunioni, ricevimenti, seminari, continueranno a svolgersi tramite la mediazione di piattaforme, anche finita la pandemia, e questo può rappresentare un beneficio. Il rischio più grande invece lo corre la didattica: in molte università si vuole continuare con la didattica duale, sia in presenza che a distanza, che risulta in una didattica “diminuita” invece che “aumentata”. La mancanza di cultura digitale nelle università italiane sta portando a una spaccatura, la solita, trita e ritrita, tra apocalittici e integrati. I primi vorrebbero tornare a “prima”, gli ultimi magnificano le sorti progressive delle piattaforme. Invece dovremmo valutare la possibilità di sviluppare una didattica “aumentata” da supporti digitali (spazi di discussione online con gli studenti, piattaforme per l’archiviazione e la circolazione di materiali aggiuntivi del corso, link a video e paper) che però evita categoricamente la modalità di doppia trasmissione della lezione, in presenza e in streaming. Una lezione fatta in aula e trasmessa in diretta streaming non ha alcun senso, se non quello di coprire un’emergenza, ma finita l’emergenza, deve essere chiaro a tutti che questa modalità è un pessimo strumento didattico. Si possono invece discutere e modellare corsi che si avvalgono anche di modalità di didattica online, ma pensate come integrative e di supporto al tradizionale corso in presenza.
La con-presenza di docenti e studenti va riaffermata come tratto distintivo dell’università e del suo modello educativo, intorno al quale costruire spazi e momenti di approfondimento online.
Uno degli aspetti meno considerati della didattica a distanza è la scarsa cura del modo in cui i docenti si presentano davanti allo schermo (inquadratura dal sotto in su, sgradevoli contrasti di luce, sfondi casuali). Ritenete che sarà necessario intervenire, o la fine dell’emergenza renderà tutto questo superfluo?
Mi sembra una questione minore, almeno in università. :-)
Devo dire che invece ho trovato molto interessanti gli sfondi, anche quelli più disordinati, usati dai docenti e dagli studenti, per connettersi. Ogni sfondo raccontava qualcosa in più di quella persona. Io per esempio, nello studio da cui mi connettevo, avevo sullo sfondo il quadro con una fotografia in bianco e nero di un concerto. Era una delle prime foto scattate da me, a un concerto dei Blonde Redhead, nel 2000. Agli studenti che non mi conoscevano, questo sfondo ha permesso di raccontargli qualcosa, fornire loro una cornice entro cui situarmi. Molti di loro poi hanno scritto incuriositi, per sapere chi fosse il gruppo ritratto nella foto. Inoltre, dopo alcuni mesi ho deciso di oscurare il mio sfondo e ad ogni lezione ho applicato uno sfondo diverso, tra quelli proposti dalla piattaforma, tutti surreali o spaziali o quasi lisergici. Anche in questo caso, alcuni studenti mi hanno scritto per dirmi che quel variare di sfondi così irreali, invece che distrarli, gli ha strappato un sorriso e ha inciso sul loro umore.
Forse, se c’è una lezione da trarre sul rapporto tra docenti e “sfondi” è che dovremmo essere tutti molto consapevoli di come ci presentiamo di fronte allo schermo. Perché “non possiamo non comunicare” e tutti di noi, non solo la voce, comunica qualcosa a chi sta oltre lo schermo.
Nel rapporto con gli studenti e studentesse come avete scelto di procedere con le telecamere: lasciando libertà di accenderla oppure no? Avete riscontrato una differenza nel modo in cui la “classe” ha partecipato e c’è stata una differenza tra la partecipazione degli studenti e quella delle studentesse?
Io chiedevo di spegnere le telecamere, anche per risparmio energetico e coscienza ambientale. E accenderle solo quando intervenivano per domande o commenti. Gli studenti preferivano tenerle spente, per avere maggiore libertà di movimento durante la lezione. Questa modalità però trasforma la lezione a distanza in una trasmissione radiofonica, da tenere in sottofondo mentre si prende il caffè.
Quali vantaggi, se ci sono stati, avete riscontrato con studenti cosiddetti non-frequentanti? C’è stata una maggior presenza di studenti o studentesse lavoratrici?
C’è stata una maggiore presenza di studenti non frequentanti, che hanno apprezzato la possibilità di seguire le registrazioni delle lezioni. Questa è una conquista che gli studenti non frequentanti vorrebbero mantenere e apre un problema irrisolto nelle università italiane: gli studenti sono liberi di frequentare o meno, e non c’è distinzione tra studenti lavoratori e studenti non frequentanti. In futuro si potrebbe pensare di mettere a disposizione degli studenti lavoratori materiali aggiuntivi online, ma per accedere a questi contenuti si deve poter giustificare il proprio status di studente lavoratore
La funzione didattica è, a vostro parere, solamente trasmissione vocale e immagine, oppure entrano in gioco altri fattori sensoriali e percettivi legati alla presenza fisica?
Ovviamente la funzione didattica è molto più di voce e immagine. È una performance, arricchita dalla presenza fisica. Ma anche la presenza fisica può essere arricchita dalla tecnologia, attraverso l’integrazione di chat d’aula, o di ospiti connessi a distanza.
Garantire “voce e immagine” come abbiamo fatto durante la pandemia è semplicemente ridurre la funzione didattica alle sue unità minime, alle sue funzioni vitali. Lo abbiamo fatto per sopravvivere, ma sappiamo che a pieno regime la didattica è molto più di voce e immagine.
Diversi atenei incoraggiano una didattica mista, ossia in presenza e insieme in ‘live-streaming’. I vantaggi sono il numero in aumento degli iscritti, quali sono secondo voi gli svantaggi?
Gli svantaggi della didattica mista sono notevoli, a fronte di pochissimi vantaggi. Gestire due audience contemporaneamente è profondamente sbagliato. La lezione è una performance che si fa di fronte a un pubblico. Uno spettacolo di danza fruito a teatro o in diretta televisiva non è la stessa cosa. Chi progetta una lezione ha un pubblico in mente e sceglie il linguaggio giusto per quel pubblico. L’aula è un medium differente dalla cameretta domestica.
Comunicare con due pubblici differenti, in simultanea, impoverisce la lezione, per entrambi i pubblici. Una delle più grandi limitazioni di questa modalità didattica è stata quella della postazione fissa, da cui il docente doveva fare lezione e streaming. Era quasi impossibile per il docente alzarsi dalla sedia, abbandonare la telecamera posta di fronte al computer e andare alla lavagna, che a quel punto sarebbe risultata fuori campo. Per fare didattica “duale” servirebbero aule “connesse” e dotate di cabina di regia, più telecamere, microfoni wireless, lavagne elettroniche, disposizione dei banchi completamente diversa. C’è già tanta letteratura scientifica su questo tipo di didattica: non è di per sé pericolosa, anzi, in alcuni casi può rappresentare una fonte di innovazione della didattica, ma va attentamente pianificata e finanziata. Se vogliamo andare in quella direzione servono investimenti tecnologici e di figure professionali tecniche di natura ingente, risorse che andrebbero sottratte ad altre voci di costo già in sofferenza da anni. Realisticamente, con le risorse economiche e le infrastrutture attuali, è impensabile poter garantire una vera didattica duale, o mista. Per non parlare del profondo gap tecnologico presente tra i docenti italiani, emerso durante la pandemia.
Le risorse che ci sono dovrebbero essere usate per ammodernare le infrastrutture esistenti, rendere le aule anche connesse, certamente, migliorando le connessioni wifi e le dotazioni di computer delle aule, carenti in troppe università italiane, ma per realizzare una didattica aumentata, non “duale”, cioè una didattica 100% in presenza, ma aumentata dalla possibilità di trasmettere video, di ospitare un seminario con un professore a distanza, scaricare velocemente contenuti dal web ecc…
La mia personale esperienza con la didattica duale è stata terribile: nella maggior parte dei casi i computer di aula creavano problemi e gli studenti connessi da casa non sentivano me, o io non sentivo loro, oppure loro non sentivano gli studenti in aula quando intervenivano, a meno che io non girassi l’aula col microfono.
Molto meglio invece dividere i due tipi di didattica: o si fa un corso online o uno in presenza, oppure uno in presenza alternato a lezioni solo online. Tutti gli studenti vi diranno che le lezioni fatte interamente online hanno funzionato meglio di quelle duali.
Finché perdureranno le limitazioni agli spostamenti dovuti alla crisi sanitaria, la didattica duale o alternata con lezioni online e in presenza, può essere un modo per rispondere all’emergenza, ma bisogna tutti insieme riaffermare con forza la nostra opposizione a una transizione della didattica duale alla situazione post-pandemica. La didattica duale non deve diventare strutturale, sarebbe una sconfitta pedagogica.
Ci sono tanti modi intelligenti di far dialogare didattica e tecnologie. La didattica duale è mista è il modo più stupido tra tutti.
In generale: l’esperienza della didattica a distanza vi ha insegnato qualcosa di cui tener conto anche in futuro?
Gli studenti più timidi intervengono con più facilità in chat che in presenza. La chat della lezione è uno strumento che potrebbe arricchire anche la didattica in presenza.
Ma la lezione più importante è stata ri-scoprire, tramite i limiti della didattica a distanza, la ricchezza della lezione in presenza.
Dopo questa esperienza che cos’è, secondo voi, oggi una lezione?
La lezione è solo una tessera del percorso didattico di un corso. Se “prima” il percorso didattico si esauriva nella lezione, oggi abbiamo capito che la lezione è solo il tassello centrale, ma non l’unico, del percorso didattico di un corso. Accanto alla lezione, possiamo sfruttare piattaforme digitali (meglio se open source, e ce ne sono molte fantastiche, e dovremmo far pressione sui nostri atenei perché si impegnino ad adottarle) per una didattica “aumentata”, ma la lezione in presenza rimane il fulcro della didattica. La lezione è un momento di convivialità e libertà, sempre più raro nella vita sociale. È una rara occasione per imparare/insegnare l’economia dell’attenzione, e apprezzare il valore di questo bene.
Valerio Magrelli
La pandemia è stata affrontata facendo ricorso alle piattaforme digitali. Questo ha reso il tema della cosiddetta “fatica digitale” (digital fatigue) più che mai attuale. Il ritorno alla normalità eliminerà il problema o ne cambierà solo i termini? Come pensate che occorrerà affrontarlo?
Mi auguro che si torni alla situazione precedente l’emergenza, anche se temo che non sarà possibile. Molto spesso, certe situazioni critiche servono a forzare la mano, per imporre soluzioni che altrimenti sarebbero state difficilmente accettate.
Uno degli aspetti meno considerati della didattica a distanza è la scarsa cura del modo in cui i docenti si presentano davanti allo schermo (inquadratura dal sotto in su, sgradevoli contrasti di luce, sfondi casuali). Ritenete che sarà necessario intervenire, o la fine dell’emergenza renderà tutto questo superfluo?
Spero che la pratica online scompaia definitivamente. Se così non fosse, mi auguro che non si obblighino i docenti a diventare, oltre che burocrati (secondo la tragica e illuminante intuizione di Mark Fisher in Realismo capitalista), anche direttori di fotografia.
Nel rapporto con gli studenti e studentesse come avete scelto di procedere con le telecamere: lasciando libertà di accenderla oppure no? Avete riscontrato una differenza nel modo in cui la “classe” ha partecipato e c’è stata una differenza tra la partecipazione degli studenti e quella delle studentesse?
Per evidenti problemi di connessione, ho lasciato aperta solo la mia telecamera, invitando gli studenti a interrompermi o a scrivermi via chat in qualsiasi momento. Purtroppo, però, malgrado ogni tipo di invito e sollecitazione, la partecipazione diretta resta molto scarsa, sia online sia in presenza.
Quali vantaggi, se ci sono stati, avete riscontrato con studenti cosiddetti non-frequentanti? C’è stata una maggior presenza di studenti o studentesse lavoratrici?
Gli studenti non frequentanti avranno potuto seguire le lezioni registrate, ma non so se questo sia effettivamente accaduto. In linea di principio, e al di fuori di situazioni d’emergenza, resta comunque assoluta la mia avversione verso la registrazione delle lezioni.
La funzione didattica è, a vostro parere, solamente trasmissione vocale e immagine, oppure entrano in gioco altri fattori sensoriali e percettivi legati alla presenza fisica?
A mio parere, la lezione risulta profondamente affine a una performance teatrale, nella quale entrano dunque in gioco fattori sensoriali e percettivi indiscutibilmente legati alla presenza fisica di docenti e discenti. Anestetizzare o sopprimere un contatto del genere, significa depotenziare, di più, annullare il valore trasmissivo legato all’istituzione universitaria.
Diversi atenei incoraggiano una didattica mista, ossia in presenza e insieme in ‘live-streaming’. I vantaggi sono il numero in aumento degli iscritti, quali sono secondo voi gli svantaggi?
Sarebbe come seguire uno spettacolo teatrale online: paradosso accettabile solo in condizioni estreme di pandemia globale. Approfittare dell’emergenza per snaturare il mandato dell’università, non è altro che il consueto escamotage per cedere ancora una fetta di libertà al mercato, in direzione di quella che è stata giustamente definita una “uberizzazione” dell’insegnamento.
In generale: l’esperienza della didattica a distanza vi ha insegnato qualcosa di cui tener conto anche in futuro?
Certo. Come recitava “La settimana enigmistica”, mi ha insegnato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, a diffidare delle imitazioni – in questo caso l’imitazione di una vera formazione didattica.
Dopo questa esperienza che cos’è, secondo voi, oggi una lezione?
Un succedaneo, un’imitazione, appunto. Meglio di niente, ma sarà proprio a una logica del “meglio di niente” che occorrerà prepararsi a resistere.
Riccardo Manzotti
La pandemia è stata affrontata facendo ricorso alle piattaforme digitali. Questo ha reso il tema della cosiddetta “fatica digitale” (digital fatigue) più che mai attuale. Il ritorno alla normalità eliminerà il problema o ne cambierà solo i termini? Come pensate che occorrerà affrontarlo?
Nella mia università, compatibilmente con l’evoluzione della pandemia, l’obiettivo è tornare al 100% in presenza perché si ritiene che il contatto diretto tra docenti e studenti sia un ingrediente indispensabile del processo formativo.
Uno degli aspetti meno considerati della didattica a distanza è la scarsa cura del modo in cui i docenti si presentano davanti allo schermo (inquadratura dal sotto in su, sgradevoli contrasti di luce, sfondi casuali). Ritenete che sarà necessario intervenire, o la fine dell’emergenza renderà tutto questo superfluo?
Come risposto sopra, il nostro obiettivo è superare questa fase e quindi, almeno per ora, non pianifichiamo investimenti di alcun tipo per rendere definitivo l’uso della DAD.
Nel rapporto con gli studenti e studentesse come avete scelto di procedere con le telecamere: lasciando libertà di accenderla oppure no? Avete riscontrato una differenza nel modo in cui la “classe” ha partecipato e c’è stata una differenza tra la partecipazione degli studenti e quella delle studentesse?
Purtroppo per motivi indipendenti dalla nostra volontà non è possibile imporre la apertura delle telecamere. Il docente più incoraggiare a farlo, ma non imporlo. Non ho riscontrato una particolare differenza tra maschi e femmine. Ho notato che i più bravi, ovviamente, si collegavano e chi è maggiormente in difficoltà, purtroppo, tende a nascondersi.
Quali vantaggi, se ci sono stati, avete riscontrato con studenti cosiddetti non-frequentanti? C’è stata una maggior presenza di studenti o studentesse lavoratrici?
Nessuna differenza.
La funzione didattica è, a vostro parere, solamente trasmissione vocale e immagine, oppure entrano in gioco altri fattori sensoriali e percettivi legati alla presenza fisica?
Ovviamente ci sono altri fattori. In sintesi potremmo dire che nei collegamenti remoti si fa esperienza di sola informazione, ma il significato, se non è già condiviso tra docenti e studenti, non passa. D’altronde questo è coerente con il modello della comunicazione di Shannon. L’informazione non contiene in sé il proprio significato. Docente e discente, per poter avere una relazione semanticamente significativa. Devono avere un contatto diretto e trovarsi nello stesso ambiente.
Diversi atenei incoraggiano una didattica mista, ossia in presenza e insieme in ‘live-streaming’. I vantaggi sono il numero in aumento degli iscritti, quali sono secondo voi gli svantaggi?
Soluzione terribile che crea innumerevoli problemi (basti pensare alle domande da parte degli studenti in aula e che non sono fruibili da chi sta casa). Diciamo che è una soluzione di emergenza ma che non ha ragion d’essere.
In generale: l’esperienza della didattica a distanza vi ha insegnato qualcosa di cui tener conto anche in futuro?
L’informazione non è il significato. Quando si comunica tra esperti (per un meeting o per una conferenza) che condividono già molto del significato relativo a ciò di cui si parla, il collegamento remoto può essere una soluzione. Ma quando si devono formare degli studenti e si deve trasmettere loro il significato dell’informazione che s comunica, è indispensabile la presenza.
Dopo questa esperienza che cos’è, secondo voi, oggi una lezione?
Una lezione è un momento di condivisione dell’esistenza tra il docente e i suoi studenti, è il punto delle linee di William James. Non è semplice “istruzione” o “scambio di informazioni”, attività meccaniche per le quali, tutto sommato, esistono strumenti più efficaci (dal libro ai tutorial online). È un momento di incontro, di sovrapposizione dei percorsi esistenziali, di confronto e di sfida (tanto per gli studenti quanto per i docenti, anzi soprattutto per loro). Nella lezione il docente si deve mettere costantemente in gioco, misurandosi ad armi impari, con i propri studenti per verificare se la propria preparazione e conoscenza siano condivisibili con la sua aula.
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