Sull'opera di Rossella Biscotti / Ogni cosa è in qualche modo in relazione con qualcos’altro

25 Gennaio 2012

Il processo è il titolo dell’opera con cui Rossella Biscotti ha vinto il Premio Italia Arte Contemporanea 2010 ed è certamente l’opera più matura e complessa che abbia realizzato sino a oggi. Non solo perché porta a compimento un progetto iniziato nel 2006 ma anche e soprattutto perché l’artista vi mette a fuoco un modus operandi che proprio nell’aspetto processuale trova la sua ragion d’essere. La maggior parte delle opere di Biscotti sono infatti veri e propri “processi” che nascono da una meticolosa indagine sul campo e dalla raccolta di documenti originali, interviste, testimonianze, registrazioni che le permettono di entrare in stretto rapporto con i suoi protagonisti: che siano gli imputati del processo del 7 aprile o gli anarchici di Carrara, un infiltrato della mafia newyorchese o i testimoni e i sopravissuti del lager di Bolzano, l’artista stabilisce una relazione diretta, umana ed empatica con ognuno di loro. E questo è solo l’inizio di un percorso che porta infine alla realizzazione di opere che possono essere video, installazioni, sculture, performance, libri ma che, qualsiasi forma assumano, hanno la costante di rappresentare delle tracce, dei segni che prelevati dai contesti indagati evocano la Storia, le storie, e lasciano aperta la nostra interpretazione di essa: così sono i calchi in cemento armato dell’ex aula bunker di Roma e le registrazioni delle sessioni del processo all’autonomia, il ritrovamento delle teste in bronzo di Mussolini e Vittorio Emanuele III, il muro di recinzione del lager di Bolzano, le frasi degli anarchici riprodotte in caratteri tipografici. Rossella Biscotti interroga e ci interroga. Ci pone di fronte a storie che hanno a che fare con la nostra identità collettiva riproponendoci frammenti evocativi, profondamente significanti, che riguardano le nostre convinzioni e convenzioni, i nostri ideali e la nostra idea di libertà. Senza accorgercene ci ritroviamo coinvolti nel processo che ha istruito.

 

 

Quando, nel 2006, inizia ad esplorare con l’artista olandese Kevin Van Braak una serie di architetture di epoca fascista nella città di Roma, Rossella Biscotti ha appena realizzato l’intervento La cinematografia è l’arma più forte: la frase in caratteri littori che Mussolini aveva utilizzato come slogan in occasione dell’inaugurazione di Cinecittà viene riprodotta fedelmente sul muro di un ambiente espositivo vuoto e, successivamente in altre occasioni, proiettata sugli schermi in diverse sale cinematografiche prima delle normali proiezioni. L’intervento rappresenta un aspetto importante dell’opera dell’artista: quello del suo rapporto con lo spazio. Architettonico o urbano che sia, lo spazio in Biscotti ha sempre una connotazione molto precisa: anch’esso è in relazione con la storia, con il valore simbolico, ideologico o utopico che ne ha informato il progetto e condizionato l’uso nel corso del tempo: dalla utopia comunitaria della fabbrica Olivetti di Napoli progettata da Luigi Cosenza e oggi trasformata in centro servizi interinali, alla ideologia fascista della scuola di scherma di Luigi Moretti trasformata in aula bunker, alla tipografia anarchica di Carrara, al muro perimetrale del lager di Bolzano oggi completamente nascosto dalla successiva urbanizzazione. Sono questi momenti di passaggio da un significato all’altro, da una forma ad una altra ad interessare l’artista, così come risulta in maniera ancor più evidente in alcune sue ‘performance urbane’: anche qui è il tragitto da un luogo ad un altro che trasforma il significato dell’oggetto o dell’azione: come le Teste in oggetto che in un giorno attraversano tutta la città dal loro deposito nei sotterranei dell’EUR sino allo spazio espositivo per farvi subito ritorno o, come nell’azione Dalla stazione marittima al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a Napoli, in cui un uomo con un mattone in ottone in mano percorre il tragitto dichiarato nel titolo: un processo dunque che diviene spazio, luogo, itinerario e che assume valore di metafora.

 

 

Che uno dei cardini dell’intera ricerca di Biscotti sia il suo rapporto con la memoria, con una memoria che assume il carattere di patologia, di deviazione, di interpretazione e che fa sfumare i fili sottili della ragione e della verità lo si intuisce immediatamente non appena si pone attenzione alle sue opere: The Undercover Man, che ha per soggetto la storia di Joseph Pistone alias Donnie Brasco, è una ricostruzione minuziosa di fatti, persone e luoghi che il protagonista fa della sua avventura come infiltrato di mafia nella New York degli anni ottanta. Una ricostruzione che ha tutte le caratteristiche di una deposizione processuale che l’artista ‘ambienta’ in un set da film noir degli anni quaranta per confonderne ancor più la contestualizzazione storica. La memoria diviene dunque qui deposizione di un testimone costretto a rinunciare alla sua identità a favore di una idea di verità che ha avuto effetti sulla libertà di molti individui. I piani si confondono e si sovrappongono sino a far perdere di vista nella doppia identità del protagonista la sottile linea che divide la realtà dalla finzione, la testimonianza dalla recitazione, l’essere dall’apparire.

 

 

Sono traumi della memoria collettiva e sociale quelli che Biscotti indaga in molte delle sue opere: gli anarchici, il fascismo, l’olocausto, sino ai più recenti anni di piombo. Tutti fatti drammatici della nostra storia recente che in quanto traumi collettivi, come ci insegna la teoria freudiana, sono strettamente associati alla dinamica della rimozione, ovvero di una sistematica cancellazione di tutti gli elementi che possono essere associati a quei fatti, eventi o situazioni dolorosi e traumatici che non sono stati ancora elaborati dalla coscienza individuale o collettiva. Ed ecco che l’artista sistematicamente mette a punto un metodo, un processo, in grado di riproporre per frammenti e per segni degli elementi che ci riportano con la memoria a quelle storie, alla nostra Storia, senza giudicare o asserire, ma semplicemente creando un dispositivo in grado di attivare una riflessione attorno alla nostra identità.

 

Immagini, dall’alto in basso: Le teste in oggetto, 2009, vista dell’installazione alla Nomas Foundation, Roma;  The Undercover Man, 2008, fotografia dell’FBI, pennarello rosso; Il processo, 2010, vista dell’installazione al MAXXI, Roma; due viste dell’ex “aula bunker” al Foro Italico di Roma durante la realizzazione dei calchi in cemento.

 

La versione integrale di questo testo è contenuta nella monografia che il MAXXI dedicherà a Rossella Biscotti, vincitrice del Premio Italia 2010, la cui uscita è prevista in primavera.

La mostra dei quattro finalisti dell'edizione 2012 del Premio Italia (Giorgio Andreotta Calò, Patrizio di Massimo, Adrian Paci e Luca Trevisani) si inaugura al MAXXI il 26 gennaio; lo stesso giorno, alle 18:00, gli artisti incontrano il pubblico nella sala B.A.S.E. La mostra rimarrà visitabile sino al 20 maggio prossimo.

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