Mimmo Cuticchio – Virgilio Sieni / Il pupo il danzatore il cunto dell’angelo

4 Gennaio 2018

Piove. Piove a dirotto. Il taxi entra nel vialetto tra vecchi capannoni. Sembrano tutti spenti. Il taxista si perde. Mi dice che non sa dov’è il teatro. Scendo, torno all’ingresso, alla guardiola del custode. Chiedo la strada per lo spettacolo di Cuticchio, Mimmo Cuticchio… i pupi… il cunto… con Virgilio Sieni… il danzatore... Non sa bene. Sta guardando la televisione. Giro per i Cantieri della Zisa, Palermo. Sembra un labirinto abbandonato. Buio. Una lucina. Càpito nelle prove di altro spettacolo, Orli di Tino Caspanello, con la regia di Giuseppe Massa (bello, vitale, grottesco, una gara a conquistarsi un posto al sole, seduti su un’anguria – quelle in più si spaccano – per sopravvivere da un naufragio, in mare… gli esodi, le migrazioni, l’attualità poeticamente trasposta…). Esco. Sotto la pioggia. Entro in uno stanzone buio. Qualche rumore in lontananza mi guida e poi una voce che sale. Finalmente ci sono, in questa performance mistero, alchimia di due sguardi diversi, maestri. 

La serata, grazie al ritardo del mio aereo da Roma a Palermo, è già iniziata da forse mezz’ora. Mimmo Cuticchio sta raccontando l’amore di Orlando per Angelica, e la sua follia. Il pupo paladino si spoglia delle armi, le lancia intorno, fa massacro (l’ho sentito molte volte questo pezzo, sempre emozionante). Sieni striscia in terra, sui bordi del capannone, rappresenta, anzi è, come l’ombra dell’azione, il senno svanito di Orlando, l’anima dei sentimenti del pupo, delle azioni narrate dall’oprante (il manovratore, l’animatore della marionetta armata). Batte la pioggia sulle capriate. Rimbomba, come quel doppio quell’altra figura. Si conclude la scena, con il sottofondo liquido dell’acqua che cade sul capannone di questa antica struttura industriale di Palermo, con il volo meravigliato di Astolfo sulla luna per recuperare il senno disperso di Orlando. Sieni è il volo verso la luna. Con il frullare del suo corpo è lo stupore dei senni dispersi. È le ali. È un levitare tra i pianeti e le costellazioni. Smarrimento e ascesa. È il senno recuperato. Ora un lungo discorso di San Giovanni. È cunto, fascino ritmico della frase. È guerra... È un lavoro pieno di singoli elementi di fascino, ancora non amalgamati. In cerca di una ragione. Alla fine tutti mi dicono che ho perso la parte migliore, quella senza parole, di vero dialogo tra il corpo del danzatore e il pupo, abbracciato, addossato, osservato, con il gesto che sembrava dalla marionetta nuda (senza armature) proiettarsi nel corpo mobile del danzatore. 

 

Ph. Alessandro D’Amico.

 

L’arte del gesto e l’opra dei pupi

 

È il 1° dicembre 2017. A Palermo va in scena la seconda parte di un lungo progetto immaginato per arrivare al 2018, anno in cui la città sarà capitale della cultura italiana. È innanzitutto un dialogo tra due maestri della scena: il cuntista l’oprante il puparo Cuticchio, depositario di un’antica tradizione, l’opra dei pupi, che sta portando in vari modi nella contemporaneità, e il coreografo, Sieni, che esplora l’archeologia dei corpi, le pathosformeln, i gesti gli snodi articolari che impongono movimenti che diventano archetipi. Il rotolare, lo slogarsi, aprire le braccia per accogliere e arrendersi, il chinarsi, il torcersi, il lanciarsi, il ritrovare la solidità della terra madre, lo strisciare, il raggomitolarsi... 

Lo spettacolo che ho visto è diverso da quello realizzato nella prima fase del percorso, l’anno passato: ogni volta cambierà, perché basato su uno scambio di energie, di sguardi, di intenzioni, che vanno a creare tessitura mentre si fanno. Si intitola Atlante_L’umano del gesto. È inserito in un cammino più ampio, Palermo_Arte del gesto nel Mediterraneo_Accademia sui linguaggi del corpo e dell’opera dei pupi che nell’appuntamento degli inizi di dicembre, intitolato a sua volta Vangelo#2, consta di tre parti: lo spettacolo; Esodo, azioni coreografiche di allievi danzatori e opranti di Sieni e Cuticchio in luoghi storici della città; Trilogia sulla sosta, azioni di Virgilio Sieni con cittadini che interpretano coreograficamente tre momenti ispirati ai Vangeli. 

 

 

Intorno a tutto ciò alcuni incontri che esplorano più a fondo l’antica relazione tra danza, movimento e marionetta, dai teatri orientali a Kleist, Gordon Craig e oltre, in cerca di un’azione pura, di essenze, operazione animica; e un’installazione di Sieni in una antico negozio di merceria, stanze su stanze, grandi scaffali di legno pieni di merce nella ditta Salvatore Parlato in piazza Croce dei Vespri, affianco a palazzo Valguarnera, uno dei set meravigliosi e segreti del Gattopardo di Visconti (si vedono, ogni tanto dalla piazza, i dipinti del salone, i candelabri di cristallo, qualche enorme cornice e si sogna il grande trascinate valzer…).

Come spesso nei lavori di Sieni il tentativo è di tracciare un atlante, appunto, che parta dell’essere del corpo per moltiplicarne le possibilità in un lavoro di ascolto, di reciproca intesa, di creazione di dialoghi che presuppongano l’idea di una nuova cittadinanza. Agorà, le aveva chiamate durante la sua direzione della Biennale Danza di Venezia.

 

E Mimmo Cuticchio risponde con la poesia pura del suo mondo di pupi, che è molto più di uno spettacolo per bambini o per turisti (spesso sovrapponibili), come comunemente superficialmente si crede: il pupo, la marionetta, è un’antica immagine divina, una condensazione dell’umano, un suo doppio inquietante, una sua cristallizzazione e sublimazione essenziale di movimenti. Kleist parlava di una grazia data dall’equilibrio tra il movimento e la gravità, i fili e il peso della materia, i punti di trazione, una grazia di baricentri che il corpo umano, preda della coscienza infelice, dell’abitudine dei gesti, dei comportamenti, ha perso per sempre. Gordon Craig faceva della supermarionetta la salvezza dell’attore dalla psicologia, dal mimetismo, dalla banale tautologica ripetizione della realtà. Sieni con la sua idea di archeologia torna a interrogarsi sugli snodi e sulle possibilità del movimento di aprire fessure, radure, nel comportamento abitudinario, per mostrare nudo, almeno per un po’, l’essere, l’aperto.

 

 

I corpi, la città

 

Tre giorni intensi, in una Palermo stranamente bagnata dai temporali, dalle pioggerelline, dai rovesci improvvisi, dall’acqua battente, percorsa in alcuni suoi centri nervosi, segreti, in alcuni suoi cuori con i pupi, con corpi in movimento. Il 2 dicembre inaugura anche una curiosa installazione, presso la ditta Parlato, firmata da Sieni: erbe, foglie, pianticine raccolte tra i sassi, l’humus delle strade, la vita in mezzo ai ciottoli inerti, e poi bozzetti, vecchie foto trovate negli archivi di merceria, figurine, marche, vecchi quaderni, bozzetti del coreografo in disegni sottili, sempre un po’ torti, che ricordano Paul Klee, oggetti… Resti. Substrati. Piccole archeologie. Discorsi. 

Poi un percorso in tre chiese, nella zona del porto, con gli allievi attori e danzatori che stanno frequentando il laboratorio dei due maestri. San Giorgio dei Genovesi: un’avanzata sostenendo abbracciando portando marionette nude con i corpi, con corpi che avanzano, sospirano affannati e cadono, cedono, proteggono i loro doppi, non sono capaci di rialzarsi e vengono sostenuti e si fanno sostegno di quegli altri fratelli inerti, cui qualcuno dona movimento… E una parola, ogni tanto: “Bastardi!” – un esodo un grido.

Nell’oratorio di Santa Cita (luoghi fenomenali, poco noti al turista superficiale) l’avanzata è di un gruppo compatto di donne guidato dal respiro ritmico. Portano teste di marionette, solo teste col ferro, sospese, osservate a specchio, esibite come trofei, abbracciate come sorelle, spinte a guardare oltre le teste delle manovratrici. Mistero, Dolcezza.

Nell’oratorio del Ss. Rosario di San Domenico, sotto la gran pala di Van Dyck con Santa Rosalia e altri santi che scongiurano la peste. Qui il gruppo si scinde in piccoli nuclei che avanzano nel buio, cercando con lucine di far meglio vedere la strada, per far avanzare nell’ombra dominante i pupi… Esodo, è il titolo.

 

Ph. Virgilio Sieni.


Il giorno dopo, nel museo di palazzo Abatellis si svolgeranno due scene della Trilogia sulla sosta, un’altra figura delle migrazioni, solo movimento e danza. Deposizioni, nella sala trecentesca dei crocifissi, e Il silenzio delle ossa, davanti al meraviglioso Trionfo della morte datato prima metà del quattrocento: corpi che agiscono a terra con un gran paio di ali che fa immaginare voli di angeli barocchi, rinascimentali, quattrocenteschi, da diverse prospettive. Una magia illusionistica, una fragilità che si offre alle moltiplicazioni dell’immaginazione.

Il percorso si chiude con Fuga in Egitto, nei locali della ditta Parlato, migrazioni tra decine di scatole di pigiami, di biancheria intima, di tovaglie, resti del nostro mondo da abbandonare con il respiro ansimante della fuga.

 

Firenze: in viaggio verso la poesia della rastremazione

 

Atlante è in movimento, in ebollizione. Lo rivedo a Firenze, il penultimo giorno dell’anno. Volevo recuperare la prima parte e mi trovo davanti a un lavoro completamente nuovo, che sta acquistando il suo senso senza perdere il mistero. Le parole sono state quasi del tutto abolite, così come la separazione tra Cuticchio al centro della scena e Sini che interpreta l’anima della marionetta sui suoi bordi crepuscolari. 

 

 

È tutto più organico. L’oprante, Cuticchio, grande, imponente, con una barba bianca sontuosa, scompare e diventa supporto del suo pupo, come nella grande tradizione del Bunraku giapponese. A volte sembra dalla marionetta, dalla sua mite piccola forza, trascinato. La sua presenza diventerà evidente solo in un momento, in una meravigliosa pietà a tre, dove quasi non sai chi sia la madre e il figlio, chi il sofferente e chi il piangente, chi la vittima e chi l’inconsolata consolatrice. Specchio. Il pupo diventa specchio del gesto e lo riflette, deformato, nel corpo del danzatore. Essenziale, il fantoccio, un’astrazione di possibili movimenti che improvvisamente mostra infinite possibilità di vita; franto, il gesto dell’uomo, che riprende la sostanza dell’altro e la moltiplica in sussulti, spezzature, torsioni, slogature, zoppicamenti. 

Un programma di sala enumera i gesti. Li distingue in “ossatura”, ossia camminare rannicchiandosi, camminare aprendo le braccia, camminare zoppicando, camminare cadendo; e in “corpo nudo”, ossia cadere in ginocchio, sostenersi e incontrarsi. Ma questo è solo uno scheletro. L’immensa emozione è nel dialogo tra l’animato e l’inanimato per tramite del quasi invisibile manovratore, è un moltiplicarsi di cenni, di accenni, di trasfusione di vita, di tenerezze, di scontri, di tentavi di fuga, di ritrovamenti, di ombrosità e sdoppiamenti, di accarezzamenti e ripulse. Il danzatore sostiene il pupo, lo appende al braccio, e quello ne cerca il collo, il volto, e poi scatta, per fuggirne e ritornarne. Un’intera partitura di relazioni umane si fa evidente in una moltiplicazione di piani, di sguardi, di punti di vista, di sprezzature e affetti. Scompaiono nel crepuscolo di luci i tre, ogni tanto, e riappaiono, per un’altra stazione. Fino alle due finali, che essenzializzano la trama vista a Palermo, spremendone i succhi più segreti. 

 

 

Non c’è più follia di Orlando narrata. È il danzatore che spoglia la marionetta (un’altra, ora rivestita con le armi) e la riporta a esposta nudità, a quella follia, o alla sconfitta, al disarmo accennando poeticamente. Azioni ieratiche. E poi un volo. Come quello di Astolfo ma diverso. È un angelo dai lineamenti morbidi, femminei, che osserva la terra dal giro dei cieli e delle stelle. E guarda quello che accade in basso. L’esodo. Una follia particolare degli uomini, un affogare di esseri umani abbandonati nel bel mare tra l’Africa e la Sicilia, un affondare in gorghi che ci riportano, per vie misteriose, all’attualità. Qui rinasce il cunto, nella sua parte del parlare spezzato, che accelera il ritmo delle parole e lo rallenta, le isola e le spezza alterando gli accenti. Fragore di battaglia nei racconti classici che si facevano nelle piazzette per narrare l’epopea dei paladini, fatto per indicare, con il suo stile “concitato”, il precipitare delle azioni e delle emozioni nella battaglia. Qui è quasi un suono sordo, di natura ferita, che compiange la crudeltà senza rimedio degli uomini. Una voce che nasce dal profondo della natura, ruggito sordo che chiede, desidera, urgentemente, una comunità che sappia rinominare, vivere, la pietà.

È perfetto questo spettacolo, incanto, intelligenza, commozione. Il pupo, il movimento, il corpo, fragili guerrieri in cerca di una tenera salvezza dal disastro.

 

 

 

Alle Armi, cavalieri!

 

Mimmo Cuticchio proprio in questi giorni, oltre a una mostra nel palazzo del Quirinale, ha dato alle stampe per Donzelli il libro Alle armi, cavalieri!, illustrato da Tania Giordano con belle figure che slanciano la tradizione verso invenzioni coloristiche e figurative personali, affascinanti. È un racconto in 107 capitoli-puntate del ciclo dei paladini di Francia dell’opra dei pupi. Un tentativo, riuscito, appassionante, di riversare sulla pagina scritta la magia orale, distesa e sincopata, delle storie narrate per tanti anni con i pupi e con il cunto.

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