Colonialismo / L'Africa ha davvero una storia?

2 Novembre 2020

Sembra quasi impossibile, eppure ancora oggi quante volte sentiamo chiedere, con tono scettico di chi crede di sapere già la risposta: «L’Africa ha davvero una storia?». Anche questo ricchissimo volume curato Africa antica da François-Xavier Fauvelle parte da quella domanda, cercando però, con dovizia di dati e immagini, di rendere un po’ di giustizia a quel continente. Avendola spinta da sempre nell’abisso della nostra ignoranza, dei nostri pregiudizi, per non dire della nostra presunzione razzista, l’Africa sembra essere stata espulsa dal club di chi ha fatto la storia. Semmai, l’avrebbe subita e basta. Persino l’antica civiltà egiziana, che studiamo ampiamente a scuola e a cui conferiamo dignità storica, viene spesso presentata e percepita come espressione mediterranea e assai poco connessa al continente africano.

Una delle poche concessioni fatte all’Africa è il riconoscerle il primato dell’origine della nostra specie – ormai è certo, che veniamo tutti di lì – ma poi cala il buio.

 

Sembra che una volta che i sapiens siano usciti dall’Africa, quella terra si sia svuotata e nulla vi sia più avveduto. Dipingendola come “culla dell’umanità”, ci si è sollevati dal problema di indagare più a fondo e di riconoscere davvero cosa è accaduto.

Gli autori di questo libro hanno cercato di sfatare questo mito negativo, e lo hanno fatto con un approccio multidisciplinare, intrecciando dati storici, reperti archeologici e sguardi antropologici, senza trascurare l’importanza dei fattori ambientali, spesso determinanti per comprendere certi eventi. Per esempio, la concezione a volte ciclica del tempo di certe popolazioni, fa sì che il passato sia percepito in modo diverso e di questo occorre tenere conto, se si vuole uscire da un approccio etnocentrico. Per comprendere la storia dell’Africa (o meglio delle varie regioni africane) secondo i parametri africani, occorre talvolta cambiare il punto di osservazione, prendere punti di riferimento diversi da quelli utilizzati solitamente nel mondo occidentale. I luoghi comuni da smontare sono molti: per esempio, l’Africa viene spesso descritta come spazio di oralità, quando, invece, come ci dimostrano gli autori, ci sono antichissime testimonianze di forme di scrittura in varie parti del continente. Scritture autoctone, che rivelano come l’oralità sia uno dei modi di comunicare, ma non l’unico. Per esempio il Tifinaghè, uno degli alfabeti più longevi al mondo: una scrittura libico-berbera nata probabilmente nel sud dell’attuale Algeria cinquemila anni fa, e adottata ben presto in tutta l’area dei commerci carovanieri e dei pascoli tuareg (Libia, Mali, Niger, Chad, Burkina Faso, Algeria, Senegal, Mauritania…).

 

Il Sabeo è un alfabeto usato in Etiopia e Yemen fra il 700 a.C. e il 600 d.C., mentre l’Antico Nubiano, un alfabeto derivante dal Meroitico e, in una fase successiva, dal Copto, è il sistema utilizzato per trascrivere le lingue nubiane fra l’VIII e il XV secolo. L’elenco potrebbe continuare, ma ciò che appare più evidente è la nostra scarsa conoscenza di queste espressioni culturali, che cambierebbero l’immagine che abbiamo dell’Africa.

 

 

La patente di “terra di origine” ha inoltre relegato l’Africa a un’epoca “primitiva”, negando ogni forma di trasformazione successiva, così che ancora oggi prevale spesso, nel migliore dei casi, l’idea di un profondo rapporto con la natura. Un espediente di comodo, per non ammettere che quella terra ha sviluppato molte culture e civiltà diverse a partire dall’antichità. Spingendo l’Africa nella sua immagine di “culla dell’umanità”, la si congela a quello stato originario, impedendole di esprimere i suoi cambiamenti.

Lo testimoniano non solo i grandi regni e imperi come quelli del Songhay, del Mali, dello Zimbabwe, dei Luba, ma anche le raffinate strategie messe in atto dai popoli pastorali e dai cacciatori-raccoglitori, capaci di sfruttare al meglio anche ambienti spesso ostili come il deserto o la foresta.

 

Popoli che hanno saputo innescare profonde trasformazioni da un’epoca di semplice predazione della natura a una di produzione. Particolare attenzione viene anche posta sulle produzioni artistiche africane, partendo dalle più antiche testimonianze di pitture e incisioni rupestri ritrovate nel Sahara e in Sudafrica, fino alle splendide sculture e maschere in legno, che testimoniano perlopiù un’arte di villaggio prodotte dai differenti gruppi etnici, per arrivare poi alle raffigurazioni in bronzo o in terracotta, che raccontano il potere degli imperi e dei grandi regni. Una varietà e una ricchezza che vengono spesso ignorate o trascurate. Basti pensare a quante volte abbiamo visto proporre mostre di arte africana, così come parliamo di musica africana, mentre nessuno parlerebbe di arte o di musica europee. Chi avrebbe il coraggio di mettere in una stessa mostra Giotto e Van Gogh? Oppure Beethoven con i Deep Purple? Eppure con l’arte africana lo facciamo. Ampio spazio viene anche dato allo studio delle lingue africane, contribuendo ancora una volta a frantumare quell’immagine unitaria e omogenea, che spesso abbiamo dell’Africa.

 

Moltissime e interessanti immagini a colori e cartine tematiche arricchiscono il racconto di questo libro, e si dimostrano fondamentali per farci apprezzare la raffinatezza di certi manufatti, i rapporti tra società e clima, le connessioni interne all’Africa e tra l’Africa e il resto del mondo. Infatti, un altro luogo comune qui sfatato, è quello dell’isolamento africano: in realtà il Sahara non ha mai fermato nessuno, ha reso difficili e faticosi i traffici di merci, sì, ma non li ha mai impediti. Così scopriamo che le grandi città carovaniere del Sahel, come Timbuctu, Djenné, Gao, Oualata, Chinguetti commerciavano regolarmente con i porti del Mediterraneo e con città come Venezia e Genova. Purtroppo nemmeno gli oceani hanno impedito la tragica tratta degli schiavi, altra fondamentale tappa per raccontare la storia dell’Africa e degli africani, che ha causato una emorragia di milioni di donne e uomini giovani strappati ai loro villaggi per essere deportati nelle Americhe.

Non solo l’Africa ha una storia, ma è stata – a volte suo malgrado – protagonista centrale della storia dell’umanità, dall’Antico Egitto alle Guerre Mondiali, dal traffico di oro e avorio allo sfruttamento del coltan e del cobalto, gli africani sono stati coinvolti in quegli eventi e processi globali, che hanno contribuito alla trasformazione dell’intero genere umano. È stata la nostra visione “eurocentrica” a disconnettere l’Africa dalla storia, immediatamente dopo l’uscita dei nostri antenati, congelandone così l’immagine di culla dell’umanità. Una lettura, questa, che ha legittimato (e continua a legittimare) le varie forme di sfruttamento e di egemonia nei confronti del continente.

 

Nel sottolineare le numerose sfaccettature culturali e storiche dell’Africa del passato, questo libro non solo ci aiuta a comprendere meglio il presente, ma ci restituisce anche una fotografia, ampia e dettagliata, che rende giustizia alla ricca e multiforme storia di un continente troppo spesso rimasto, nel nostro immaginario, a quell’hic sunt leones degli antichi romani.

 

Leggi anche:

Enrico Manera |Un'altra storia? Conversazione con Igiaba Scego e Carlo Greppi (parte I)

Enrico Manera |Un'altra storia? Conversazione con Igiaba Scego e Carlo Greppi (parte II)

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO

Bollo blu Dona (Mobile)