A Life in Letters / Le più belle lettere di Vincent van Gogh
‘Caro Theo, grazie della tua lettera, sono contento di sapere che sei arrivato bene. Mi sei mancato i primi giorni & mi sembrava strano tornare a casa di pomeriggio e non trovarti’.
È questa la prima lettera dell’epistolario vangoghiano giunta a noi. Vincent ha diciannove anni, già da tre lavora all’Aia nella galleria d’arte della Goupil & Co. Theo ne ha quindici, e dopo qualche giorno trascorso nella capitale con il fratello torna alla casa dei genitori, a Helvoirt, nel Brabante del Nord. A scuola ci va a piedi, a Oisterwijk. Sei chilometri all’andata, sei al ritorno, tra vento e burrasche di quell’autunno tempestoso. Il manoscritto di Vincent è strappato in alto, ma la data è stata ricostruita grazie al cenno alle gare di trotto, che si erano svolte il sabato 28 settembre 1872.
Vincent è accanto al fratello minore col pensiero, ‘sarai in ansia’… è protettivo, e lo sarà ancor di più non appena Theo andrà a lavorare alla filiale di Bruxelles della Goupil, all’inizio del nuovo anno. Leggi questo, leggi quello, visita i musei, fai tante passeggiate… ‘tuo affezionatissimo Vincent’.
‘Your Loving Vincent’: Van Gogh’s Greatest Letters è il titolo della nuova mostra aperta oggi al Van Gogh Museum di Amsterdam (9 ottobre – 10 gennaio 2021). Curata da Nienke Bakker e Ann Blokland, la mostra si articola in cinque sezioni – Amore fraterno, Un nuovo destino, Vita reale, Grandi sogni, In cerca di stabilità – che tracciano un ritratto di Van Gogh attraverso le sue lettere. Un ritratto di parole che restituisce a Vincent ciò che gli è stato tolto. Pochi sono gli artisti i cui scritti sono stati così tagliuzzati e incollati, per dimostrare questo o quello. Lo stesso si può dire per gli autoritratti, spesso dilatati sulle copertine di libri o ritagliati a dovere per veicolare uno sguardo disturbato, sposando senza sosta il mito dell’artista maledetto, del pittore impulsivo, povero, solo, ignorato dai critici. Non è così. Le sue 820 lettere giunte a noi, e le 83 ricevute ci fanno scoprire un’altra persona. Il confronto con lo stereotipo cristallizzato nel Novecento, complice la filmografia (anche recente), è un vero cortocircuito. Da un lato c’è un uomo che sragiona, che è preso a sassate, che dipinge d’impulso, dall’altro c’è una mente finissima che visita i musei e riflette su Shakespeare e Rembrandt. Le contraddizioni sono tante, aveva ragione Giovanni Testori che ammoniva i critici già nel 1990 per la loro ‘definitiva viltà’.
Le oltre quaranta lettere in mostra, affiancate da più di venti opere tra disegni, dipinti e schizzi, svelano il mondo interiore di Vincent. È così che possiamo ritrovare uno sguardo più vicino al pittore, all’uomo autentico, alla sua complessa e sfaccettata personalità. Fogli delicatissimi, raramente esposti, che coprono un arco di 18 anni, dalla prima lettera del 1872, all’ultima, del 23 luglio 1890, quattro giorni prima di dire basta alla vita.
Il percorso è arricchito da una selezione di lettere del nostro tempo: l’anno scorso il Van Gogh Museum ha invitato persone da tutto il modo a inviare le loro lettere più care, offrendo l’opportunità di esporle in mostra accanto a quelle di Van Gogh. Arrivate numerose da molti paesi diversi, parlano di amore perduto, di amicizie tempestose e molto altro. Esse testimoniano il valore profondo della scrittura su carta, della sua conservazione e ricezione, anche ai nostri giorni.
Vincent & Theo
È impressionante come i due fratelli si somigliassero fisicamente, nel volto. Due esempi recenti: per decenni si è pensato di avere anche una fotografia di Vincent tredicenne, oltre a quella assai più nota, che egli stesso si fece scattare all’età di diciannove anni. E invece, grazie a una ricerca di Teio Meedendorp e Yves Vasseur, ora sappiamo che il ragazzino riccioluto di tredici anni pubblicato e identificato su tanti libri come il giovane Vincent, non poteva essere Vincent. I ricercatori hanno infatti scoperto che l’autore della foto, Balduin Schwarz, aveva aperto il suo studio a Bruxelles nel 1870, quando Vincent aveva già diciassette anni. Dunque quella foto in realtà ritrae Theo.
Il secondo esempio riguarda un piccolo ritratto a olio eseguito da Vincent a Parigi nel 1887, un uomo col cappello di paglia, che per anni ha dato filo da torcere a molti ricercatori: chi abbiamo di fronte, Vincent o Theo? Lo scorso anno la lunga diatriba si è risolta con un compromesso, un quadro dal titolo doppio, ora identificato così: Autoritratto o Ritratto a Theo. Insomma il punto interrogativo sull’identità rimane.
I ritratti dei due fratelli scelti per questa mostra non fanno che confermare la somiglianza tra loro. Da un lato c’è un bellissimo autoritratto di Vincent, dipinto nel periodo parigino (1887). È parte del ciclo delle tele ‘riciclate’, dipinte sul retro di precedenti lavori (in questo caso, di un primo studio per ‘I mangiatori di patate’). Lo sguardo, attento e pungente, è particolarmente interessante: l’artista sfida lo spettatore, non gli si rivolge, guarda altrove.
Dall’altro lato vediamo Theo intento a scrivere, un’opera del pittore olandese Meijer de Haan. Indubbiamente, visti così, potrebbero essere la stessa persona. Ma il carattere era profondamente diverso, l’uno accomodante, l’altro radicale, come si scopre anche in una ‘doppia’ lettera, tra il 5 e il 9 gennaio 1882.
Si tratta di un documento unico nel suo genere, una lettera ‘doppia’ perché conserva lo scritto di entrambi i fratelli, o meglio: Vincent, che a Natale del 1881 ha lasciato la casa dei genitori e si è trasferito all’Aia dopo un’accesa lite con il padre (il reverendo Theodorus), non è per nulla d’accordo con le raccomandazioni che gli giungono da Theo, che i primi di gennaio gli scrive da Parigi, cercando di gettare acqua sul fuoco.
E così Vincent, tra le righe della lettera del saggio fratello, che ha una posizione ormai consolidata alla Goupil, inserisce dei numeri tra parentesi tonde – da 1 a 12 nelle varie pagine – e rispedisce la lettera al mittente con l’aggiunta delle sue risposte chiare e tonde, punto per punto. Theo riceve così la sua stessa lettera annotata, riempita da Vincent nell’ultima pagina libera (mai sprecare dello spazio), con l’aggiunta di altre sei fitte pagine.
Nel vuoto rimasto nella prima pagina, sotto la carta intestata della Goupil & Cie, Boulevard Montmartre, Vincent ricava lo spazio per questo messaggio: ‘Non pensare che io ti rispedisca questa lettera per offenderti, ma mi pare sia il modo migliore per rispondere in modo chiaro. E se tu non riavessi sotto mano la tua lettera, non saresti in grado di capire a cosa si riferisce la mia risposta, invece così hai i numeri come guida. Non ho molto tempo oggi, sto aspettando una modella’. Carattere non facile, niente compromessi, niente mezze misure. La rottura col padre sembra insanabile, Vincent è irremovibile. Theo è l’unico che lo capisce, lo sostiene durante tutta la sua vita d’artista, anche quando non è d’accordo con le sue scelte, anche quando, di lì a poco, decide di vivere con Sien, la prostituta incinta che vorrebbe sposare, e così salvare dalla strada. Ricoverato quella stessa estate del 1882 all’ospedale dell’Aia per sifilide, Theo lo va a trovare. Poco dopo anche il padre lo va a trovare in corsia, si preoccupa per lui, parla con il medico. Vincent si rasserena, Theo è riuscito a mediare tutta la situazione.
Da quell’estate del 1882 in poi, Theo si fa completamente carico del fratello, e lo sosterrà moralmente e materialmente per tutta la sua vita. Theo crede nel suo talento, e Vincent, consapevole dell’investimento, considera ‘tutto’ il suo lavoro di proprietà di Theo, come ‘un anticipo’ sul danaro ricevuto: dall’Olanda spedirà sempre casse molto ordinate, cicli di dipinti e dozzine di disegni, frutto di un percorso attento e metodico.
I mangiatori di patate è il suo primo grande capolavoro. La cassa con ‘il dipinto contadino’ che Van Gogh invia a Parigi al fratello è siglata V1 – il punto d’arrivo di un inverno trascorso a dipingere teste di contadine e contadini, ‘se non basteranno cinquanta, ne farò cento’, aveva scritto. È un punto d’arrivo anche concettuale, per Van Gogh è l’arte che farà riflettere la gente di città: ‘impareranno qualcosa di utile, da quadri simili’, sottolinea.
Lo schizzo che vediamo sulla lettera del 9 aprile 1885 testimonia quanto fosse semplice per Vincent rendere in una minuscola immagine di 5 centimetri per 8.5 tutta la grandezza della sua opera. Nello schizzo, come nel quadro, la composizione ruota intorno a un centro ben preciso: la testa della figura di spalle. Teorizzata nel 1980 da Michael Fried come figura di ‘assorbimento’ – in opposizione alla ‘teatralità’ – la figura di spalle (in scena ma completamente ‘assorbita' nella sua occupazione) è quell’elemento che ci trascina dentro il quadro, che ci porta tra le patate fumanti. Ma questo schizzo dei Mangiatori di patate non è il primo, né l’ultimo. Vincent tiene aggiornato il fratello dei suoi progressi e, da una tela all’altra (il quadro ‘finale’ è preceduto da due studi ad olio), da uno schizzo all’altro, la sua riflessione si fa viva. Spostamenti minimi, piccoli cambi di inquadratura, le sedie, le mani, gli sguardi… è così che procede, è così che mette a fuoco le sue idee, dal grande al piccolo, dal piccolo al grande: partenza – arrivo – ripartenza, un grande valore di ricerca.
Van Gogh disegnava spesso in mezzo alle parole, ad oggi contiamo oltre 240 lettere con schizzi, elementi preziosi sotto molti aspetti, anche per la datazione delle opere. A volte riquadrava l’immagine e aggiungeva appunti esplicativi. Altre volte lo schizzo era tanto piccolo, come un francobollo, da diventare parte integrante del testo. In altri casi dedicava tutta una pagina, o più pagine, a disegni che richiamavano quello che aveva sul cavalletto. In genere utilizzava la stessa penna e lo stesso inchiostro, aggiungendo a volte tocchi di acquerello, specialmente nel periodo olandese. Oppure faceva uno schizzo autonomo che spediva con la lettera per rendere a Theo o agli amici pittori l’idea che aveva in testa.
Il nido vuoto, un foglio incluso al fratello nella lettera del 4 ottobre 1885 è forse uno degli schizzi più poetici della sua produzione. Sotto all’immagine annota: ‘D’inverno quando avrò un po’ più di tempo, farò qualche disegno di questo motivo: la nichée et les nids. È un’idea che mi sta a cuore: soprattutto i nidi abitati dagli uomini, le capanne nella brughiera e i loro abitanti’.
Come scrive Gaston Bachelard, ‘il nido, come ogni immagine di riposo, di tranquillità, si associa immediatamente alla casa semplice. Dall’immagine del nido all’immagine della casa o viceversa, i passaggi non possono che avvenire sotto il segno della semplicità’. E Vincent, che collezionava nidi di uccelli di vario genere da dipingere, ritraeva anche tante case con i tetti di paglia, nidi umani nel crepuscolo. ‘All’occhio del pittore [Van Gogh], si verifica forse un raddoppiamento di interesse, se, dipingendo un nido, pensa a una capanna, e, se, dipingendo una capanna, pensa ad un nido’, prosegue il filosofo francese (in La poetica dello spazio, 1957). Vincent ama la natura, la solitudine, è molto attento al canto degli uccelli (un aspetto che condivide col padre, sin da ragazzino); in famiglia conoscevano il famoso libro di Jules Michelet, L’oiseau (1856), in cui l’autore dedica un capitolo appassionato a Le nid. Architecture des oiseaux, che forse lo ispirò. ‘…gli uccelli, come lo scricciolo o il rigogolo dorato, possono essere annoverati tra gli artisti’, scrive Vincent all’amico Anthon van Rappard nell’agosto 1885, mandandogli alcuni nidi della sua grande raccolta.
Di lì a poco, a fine novembre 1885, lascerà l’Olanda che non rivedrà più.
Nei due anni che Vincent trascorre a Parigi (1886-88), tra i fratelli c’è qualche scossone – Theo ad un certo punto sembra esasperato, e nel marzo 1887 si confida con la sorella Willemien, la convivenza è diventata ‘intollerabile’: Vincent ha un caratteraccio. Ma è un uomo del suo tempo, un genio con un bagaglio artistico e letterario non comune, che stupisce Gauguin e Andries Bonger, fratello di Jo. Assorbe e licenzia la lezione impressionista con la velocità di un lampo, legge e dipinge pile di libri, colleziona centinaia di stampe giapponesi. Theo conosce bene l’avanguardia parigina, eppure, quando Vincent parte per la Provenza, sente un grande vuoto, e scrive a Wil: ‘è grazie a lui se sono venuto a contatto con molti pittori che hanno una grande opinione del suo lavoro – è uno dei campioni delle nuove idee’. Due caratteri ben diversi: non va sempre tutto liscio tra loro, ma il legame fraterno è molto forte e fa loro superare molte avversità.
Dal sud della Francia le lettere riprendono con vivacità. In Provenza Vincent vive la stagione più luminosa della sua vita – seguita, com’è noto, da un anno nell’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy, quando le sue righe sono pervase dalla lucidità di chi non vuole soccombere. L’arte è il ‘miglior parafulmine contro il mio male’. Tornato al nord, a Auvers-sur-Oise, i mesi che gli rimango sono pochi, settanta giorni in tutto. La sua ultima lettera al fratello, del 23 luglio 1890, esiste in due versioni: c’è la lettera che gli spedì (con quattro magnifici schizzi) e quella, simile, ma interrotta, macchiata (forse) di sangue, che non spedì mai. L’aveva in tasca il giorno del suicido.
Tante le riflessioni che emergono in mostra dal confronto tra i dipinti e gli schizzi sulle lettere, di opere famose come I frutteti in fiore, Il seminatore con un ‘immenso disco giallo limone’, o la celebre Camera da letto. Il piccolo schizzo incluso nella lettera del 16 ottobre 1888, buttato giù per Theo con ‘gli occhi stanchi’, ma come esempio di una ‘nuova idea in testa’, ci mostra molte differenze rispetto al dipinto, partendo dai semplici oggetti. Ma l’aspetto più interessante è che nella sua tela Vincent deforma la prospettiva, e arriva a far galleggiare gli oggetti come in un sogno. La descrive nei dettagli, vuole comunicare un’immagine ‘semplice’, quella del ‘riposo’, o del ‘sonno in generale’. Un nido che durerà pochi mesi.
Le lettere, Vincent & gli altri
Riflessione tra vita arte e letteratura, trattato sulla pittura, dibattito sull’arte, per Vincent la corrispondenza era questo e molto di più. Ritenute oggi un’opera letteraria, le sue lettere sono il frutto di un’esigenza costante, la più semplice, in fondo: quella, umana, di comunicare. Di confrontarsi con gli altri sui temi della vita, della religione, delle arti. Il bisogno di parlare dei grandi sogni, come degli obiettivi più ambiziosi. Difficile tracciare dei confini, specialmente nei mesi della malattia, quando le sue righe sono così intense e coinvolgenti, dialogo esistenziale con se stesso e con Theo, ma, anche, con noi che leggiamo.
Vincent aveva molta facilità per le lingue, e talento come scrittore. Già in alcune lettere degli anni giovanili, da Londra, scopriamo quanto fosse naturale per lui, quando era colpito da un paesaggio, paragonarlo a una descrizione che aveva letto in un romanzo (per esempio, in quel periodo, di George Eliot). Naturalmente questo aspetto, e cioè quello di legare continuamente il visivo con il verbale, è più che mai vivo negli anni da artista. Fa parte del suo stile, è il suo modo per dare l’idea vivace e immediata di una cosa qualunque, un cielo, un carattere o un volto. Volti che sceglieva dai romanzi, o prendeva dai dipinti. A volte i suoi paragoni sorprendono: per esempio il suo dottore, che lo curava per la sifilide all’ospedale dell’Aia, ‘ricorda molto certe teste di Rembrandt: una bella fronte, un’espressione molto simpatica’. A pensarci bene, doveva aver ragione, perché Rembrandt dipingeva gente comune. In Provenza, patria di Tartarin, le persone gli davano l’impressione di un ‘Daumier vivo’. All’ospedale di Saint-Rémy, rileggeva Shakespeare, e lo trovava così ‘vivo’, che gli sembravano personaggi dei suoi giorni…
Sarebbe improprio paragonare le sue lettere a un diario, come è stato a volte suggerito. Van Gogh ci lascia nel buio per tutte le cose pratiche. Non sappiamo quasi nulla della routine della sua giornata, dove mangiava, dove acquistava i libri o il materiale d’artista, o dove vedeva gli amici. Nella sua vita ha cambiato più di trenta indirizzi, in quattro paesi diversi, ma come organizzasse i suoi spostamenti in mezza Europa rimane un punto interrogativo. ‘In un’epoca in cui molte persone difficilmente lasciavano il luogo di nascita, o si spostavano semplicemente dalla campagna alla città, lo stile di vita di Van Gogh è notevole, con continui cambi di nazioni e culture’, fa notare Martin Bailey nel suo Living with Vincent van Gogh (2019). Dal 2015 i luoghi dove Vincent ha vissuto e lavorato sono al centro di grande attenzione, per promuoverne e preservarne l’eredità, e meta preferita di visitatori da tutto il mondo (progetto ‘Van Gogh Europe’, nato per il 125° anniversario della morte dell’artista). Ma, come scrive Gloria Fossi nell’introduzione al suo libro appena uscito, forse ‘si è perduto il fascino della scoperta’. E allora è bello rivederli come erano trent’anni fa, e mettersi Sulle tracce di Van Gogh. Un viaggio sui luoghi dell’arte. Ci accompagnano le bellissime fotografie di allora di Mario Dondero e Danilo De Marco (con i provini in bianco e nero in apertura dei capitoli), e le affascinanti novità di Fossi, su tutto ciò che vi gravita intorno, e ‘dentro’. Le immagini presentate dialogano con le opere, e, naturalmente, con le lettere di Vincent.
Avido lettore, amante della natura, della gente più semplice come dei più grandi scrittori – sono tante le pagine che ci parlano dei libri che leggeva, giorno dopo giorno. ‘Operaio dell’arte’, come ama definirsi, è orgoglioso di descrivere i suoi continui progressi nel suo lavoro d’artista, sui quali ha scritto nei minimi dettagli. Si incontrano spesso piccoli schizzi del materiale artistico, come quello della sua tavolozza, o del telaio prospettico che si era fatto realizzare apposta da portare sulle dune, e dunque ‘ben fermo su due gambe’. Lo vediamo sulla spiaggia di Scheveningen, piccola finestra sul mare del nord, e allora, forse, questo è il più piccolo autoritratto che abbiamo di Vincent, figura intera.
E poi pagine e pagine costruite con cura, ricche di metafore e di descrizioni: fanno pensare a un uomo che, a un certo punto della giornata, sente il bisogno di cambiare mezzo di espressione. Dopotutto, dipingere con il pennello o con le parole fa poca differenza, Zola e Balzac, per esempio, sono ‘pittori di una società, di una realtà nel suo insieme’, scrive. Pur nel suo stile diretto e senza preamboli, il registro con i vari corrispondenti non è sempre lo stesso: con la ‘sorellina’ Willemien si sente libero e protettivo; con Van Rappard (che proveniva da una famiglia aristocratica) il tono è squisitamente quello di amici-artisti, collezionisti di stampe; con il giovane Bernard parla apertamente di tutto, di arte come di bordelli, con Gauguin è invece piuttosto rispettoso, in francese usano il formale ‘vous’. Ma non appena ‘G.’ arriva ad Arles, Van Gogh non tarda a scrivere all’amico comune, Bernard, che in Gauguin ‘il sangue e il sesso prevalgono sull’ambizione’; poi prosegue accennando alla propria idea ‘dell’arte dell’avvenire’; Gauguin aggiunge qualche riga all’amico che è rimasto a Parigi. Questa lettera (in mostra per la prima volta, di recente acquisizione da parte del Museo), è unica nel suo genere, densa di significati. La corrispondenza successiva tra i tre artisti, cruciale per il dibattito sull’arte cavallo del secolo, purtroppo è in gran parte perduta.
A differenza degli amici pittori, per Vincent, uomo solitario, genio melanconico tanto da morirne, l’appuntamento con carta e penna sembra un quasi un dovere, un pezzo di vita, parte della sua natura. È il bisogno pressante di fare il punto della situazione con se stesso e con gli altri, di mettere a fuoco idee e scelte e, di continuo, è l’urgenza di riflettere sul dovere dell’artista del suo tempo – tema su cui Vincent non smette mai di interrogarsi. Sa bene che l’artista muore, le opere restano.
Come le sue lettere.
Your Loving Vincent. Van Gogh’s Greatest Letters
Van Gogh Museum, Amsterdam
9 ottobre 2020 – 21 gennaio 2021
Per saperne di più
La mostra è accompagnata da Vincent van Gogh. A Life in Letters, una nuova antologia delle lettere, a cura di Nienke Bakker, Leo Jansen e Hans Luijten, commentata e illustrata con i manoscritti originali. L’epistolario vangoghiano è stato oggetto di 15 anni di ricerca condotta dagli stessi curatori, sfociata nel 2009 in una pubblicazione in sei volumi, Vincent van Gogh – The Letters: The Complete Illustrated and Annotated Edition. La corrispondente versione di studio è disponibile online, www.vangoghletters.org. Tra le antologie delle lettere in italiano (e tradotte dalle nuove trascrizioni) si segnalano i volumi: Vincent van Gogh. Scrivere la vita a cura di Nienke Bakker, Leo Jansen e Hans Luijten (Donzelli 2012); Vincent van Gogh. Le lettere, a cura di Cynthia Salzman (Einaudi 2013), e il tascabile Lettere a Theo, con una testimonianza di Paul Gauguin (Garzanti 2108).
Per saperne di più sui luoghi in cui visse e lavorò Van Gogh si veda Living with Vincent van Gogh di Martin Bailey (White Lion Publishing 2019) e Sulle tracce di Van Gogh. Un viaggio sui luoghi dell’arte di Gloria Fossi, con fotografie di Mario Dondero e Danilo De Marco (Giunti 2020). Sulle letture di Van Gogh, di prossima uscita I libri di Vincent. Van Gogh e gli scrittori che lo hanno ispirato di Mariella Guzzoni (Thames & Hudson/Johan & Levi 2020); per gli scritti di Giovanni Testori su Van Gogh si veda Archivio Testori, e l’Introduzione da lui scritta in Van Gogh. Catalogo completo dei dipinti, di L. Arrigoni e G. Testori (Cantini 1990).
Si segnalano inoltre due nuove mostre: Becoming Van Gogh, aperta al Didrichsen Art Museum di Helsinki (5 settembre – 31 gennaio 2021); Van Gogh. I colori della vita, al Centro San Gaetano di Padova (10 ottobre – 11 aprile 2021), accompagnata da Van Gogh. L’autobiografia mai scritta, di Marco Goldin, curatore della mostra (La nave di Teseo, 2020).