Kiefer e Van Gogh a Amsterdam

31 Marzo 2025

“Con Van Gogh, i suoi dipinti sono una festa nonostante tutto. Si crede in lui. Sfida tutte le avversità; fa l’impossibile; non si arrende. Il suo discorso, da ciò che si era prefissato di realizzare a ciò che ha realizzato, è visibile in quasi tutti i suoi dipinti. Ogni sua vigorosa pennellata è un’eruzione, una manifestazione di sfida”, afferma Anselm Kiefer, ma queste stesse parole valgono anche per lui.      

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Anselm Kiefer, The Starry Night, 2019, collezione dell’artista, courtesy White Cube, foto Georges Poncet.

Il Van Gogh Museum e lo Stedelijk Museum di Amsterdam, per la prima volta uniti in un progetto comune, presentano Anselm Kiefer – Sag mir die wo Blumen sind (Where have all the flowers gone?), una grande mostra dedicata all’influenza che l’opera di Vincent van Gogh ha esercitato e ancora oggi esercita sull’artista tedesco. Il titolo è tratto da una canzone antimilitarista, scritta nel 1955 dal cantautore e attivista americano Pete Seeger, e resa celebre da Marlene Dietrich, che la cantò in tedesco nel 1962.   

La mostra si articola come un dittico, con un percorso di circa 25 dipinti, 13 disegni giovanili e tre film di Kiefer, oltre a molte opere di Van Gogh. Da un lato il Van Gogh Museum dimostra quanto l’opera di Vincent abbia affascinato Kiefer, in un sottile dialogo tra i due artisti. “Il lavoro recente di Kiefer, esposto qui per la prima volta, mostra come Van Gogh continui a lasciare il segno nelle sue opere di oggi”, sottolinea la direttrice Emilie Gordenker. Dall’altro, la presentazione allo Stedelijk racconta i temi centrali di Kiefer, ma anche il ruolo chiave che ha avuto il museo olandese nel favorire il processo di accettazione del lavoro dell’artista. Questo lungo legame “si esprime nelle due grandi installazioni spaziali” concepite da Kiefer per l’occasione, sottolinea Rein Wolfs, direttore dello Sedelijk, ed “è straordinario vedere queste installazioni tra alcune delle sue opere iconiche degli anni ’80, in questo modo, Kiefer guarda indietro al passato e verso il futuro”. Nato a Donaueschingen l’8 marzo 1945, da bambino Anselm Kiefer giocava tra le macerie della Germania del dopoguerra. Esordisce sulla scena tedesca alla fine degli anni Sessanta, uno dei primi artisti della sua generazione ad interrogarsi sull’identità e la storia del proprio paese, sulla memoria collettiva, e sulla mitologia e le atrocità del Terzo Reich. Nel suo lungo percorso artistico confluiscono mito, storia, poesia, filosofia, religione. Oggi Kiefer festeggia ad Amsterdam i suoi ottant’anni, in una doppia mostra che racconta per la prima volta l’eredità di Vincent van Gogh.

Van Gogh Museum. Sulle orme di Vincent

Nel 1963, a diciotto anni, il giovane Anselm vince una borsa di studio: può scegliere un viaggio, sarà ‘sulle orme di Van Gogh’ – un pellegrinaggio in Olanda, Belgio, Parigi e Arles. Si sposta in autostop, a volte dorme nei fienili. Tiene un diario, realizza circa trecento schizzi, “fu come una iniziazione per me”, racconta Kiefer nel testo per il catalogo (tratto da una sua conferenza alla Tate Britain del 2019). Questi disegni “erano chiaramente influenzati da Vincent van Gogh, un’influenza che continua anche oggi”. Ma, guardandosi indietro, ricorda che non era tanto l’aspetto emotivo o la vita infelice dell’artista olandese che lo affascinavano: “quello che mi colpiva era la struttura razionale, la costruzione sicura dei suoi dipinti, in una vita che stava progressivamente sfuggendo al suo controllo”.

Entrare nell’ala Kurokawa del Museo Van Gogh che ospita la mostra è un’esperienza del tutto diversa, abituati come siamo a vedere decine di quadri e disegni che si susseguono nella narrazione. Ora giganteggiano le nuove opere di Kiefer. “La più grande sfida è stata quella di cercare di immaginare l’effetto della selezione delle opere di Kiefer nelle nostre sale. Non abbiamo mai avuto a che fare con dipinti così monumentali”, mi racconta Edwin Becker, il curatore. Il risultato è perfetto, l’ala Kurokawa è di forma ellittica e, sulle pareti curve, le opere lunghe quasi otto metri (divise in tre o quattro parti) “si piegano leggermente, cosi da abbracciarci, e farci sentire circondati dalla potenza di questi dipinti”. E così, di fronte a questi enormi quadri, ci sentiamo dentro l’opera.

Guardando I corvi (Die Krähen) di Kiefer, ispirato al celebre Campo di grano con corvi di Van Gogh, viene voglia di entrare, e di incamminarsi in quella strada desolata che porta nel nulla. Non ci sono i distanziatori.

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Anselm Kiefer, Die Krähen (The Crows), 2019, collezione dell’artista, courtesy White Cube, foto Georges Poncet.

I corvi sono spesso visti come messaggeri di morte, e lo sono tuttora nell’immaginario collettivo del quadro icona di Van Gogh (sotto), che il mito insiste a legare al suo suicidio. Kiefer, con quel cielo completamente dorato e con gli uccelli sfumati, eterei, ce li presenta anche come guide tra terra e cielo. La paglia disordinata, secca, morta, tangibile, e la luminosa spiritualità del cielo creano un contrasto forte, inaspettato. Ma, anche, un senso di pace.

Guardando il Campo di grano con corvi di Van Gogh (qui esposto sulla parete opposta), Kiefer è colpito dallo “strano ribaltamento della prospettiva. Le linee di fuga non convergono all’orizzonte. Il percorso centrale non finisce all’orizzonte. Termina prima, non finisce da nessuna parte. Il punto di fuga è sul bordo inferiore del dipinto, da dove i tre percorsi divergono [...]. L’universo è stato capovolto”. E allora, si domanda l’artista tedesco, cosa dipinge Van Gogh? “Non il campo di grano, non il ricordo romantico di una specifica giornata estiva. Il dipinto è quasi astratto. Ciò che rimane è il ricordo di qualcosa di specifico che è quasi completamente scomparso”.

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Vincent van Gogh, Campo di grano con i corvi, 1890, olio su tela, 50.5 × 103 cm, Van Gogh Museum (Vincent van Gogh Foundation).

Alcuni gioielli del maestro olandese, come i due piccoli Girasoli sfioriti, secchi, poco più di un bozzetto rapido dal vero (21 x 24 cm, in mostra), negli anni hanno messo le radici nel lavoro di Kiefer, per tornare in opere come Sol Invictus (1995), un enorme girasole sfiorito, che sovrasta un corpo disteso a terra, nudo, all’apparenza morto. La scena è di solitudine, fuori dal mondo, senza colore. È un “autoritratto” nella posizione yoga “del cadavere” (shavasana), una posizione di meditazione volta a prendere consapevolezza di essere parte del ciclo della natura, testimone del desiderio di fusione o di unione con il cosmo. Semi di girasole piovono sul corpo dell’artista, forza rigenerativa.

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Anselm Kiefer, Sol Invictus, 1995, collezione dell’artista, foto M. Guzzoni.

L’universo di Vincent riecheggia in un altro potente quadro, che Kiefer intitola Eros und Thanatos (Eros e Thanatos). L’artista ci pone di fronte a una falce, che ci appare, e sporge al centro dell’opera – strumento per tagliare il grano maturo, ma anche personificazione della morte. Per Van Gogh il tema del Mietitore è qualcosa di molto importante, un tema su cui riflette a lungo, vi torna e ritorna in tante versioni dipinte. Nelle sue tele, il giallo dorato predomina in un mare di grano, con il piccolo mietitore, una figurina che si fonde nell’insieme. In una lettera del 1889 al fratello Theo da Saint-Rémy, Vincent racconta: “Ecco – il mietitore è finito, credo che sarà uno che metterai a casa tua – è un’immagine della morte come ce ne parla il grande libro della natura – ma quello che ho cercato è il “quasi sorridendo’”.

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Anselm Kiefer, Eros und Thanatos, 2013-2019, collezione dell’artista, foto M. Guzzoni.

Cosa intendeva Van Gogh per “quasi sorridendo”? Troviamo la risposta in un brano di Théophile Silvestre che, in Eugène Delacroix. Documents nouveaux (1864), scriveva: “così morì, quasi sorridendo, il tredici agosto milleottocentosessantatré, Ferdinand-Victor-Eugène Delacroix, pittore di gran razza...” Gli artisti, affermava Van Gogh, “vanno avanti passandosi la fiaccola, Delacroix agli Impressionisti &c”.

Aveva ragione. Ecco un’opera commovente, De sterrennacht, che Kiefer dedica a Van Gogh, ispirandosi alla sua celebre Notte stellata (The Starry Night, 1889, Metropolitan Museum). Il titolo questa volta è in olandese, in omaggio al pittore. Esposto qui per la prima volta, ci troviamo di fronte a un monumentale quadro scultoreo, sempre più materico e stratificato, fatto di paglia, foglie d’oro, e sedimenti di elettrolisi. È lungo più di otto metri, alto quasi cinque. Ci avviciniamo per vederne i particolari, gli strati, le trasformazioni, ma subito ci allontaniamo per entrare in sintonia con questo paesaggio, in cui il tema cosmico di Kiefer prende una nuova direzione. Nelle sue righe, dopo aver descritto la notte stellata di Vincent, gli viene in mente Saul Bellow: “possiamo solo seguire l’esempio di Moses E. Herzog, l’eroe stressato di Saul Bellow e ‘agganciare la nostra agonia ad una stella’”. Questo pensiero non è lontano dalle parole di Van Gogh che, ispirandosi a Walt Whitman, nel 1888 scriveva, “se prendiamo il treno per andare a Tarascona o a Rouen, prendiamo la morte per andare su una stella”.

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Anselm Kiefer, The Starry Night (dettagli) 2019, collezione dell’artista, foto M. Guzzoni.

Molte le assonanze tra i due artisti, tra queste la passione per la lettura. Van Gogh era un lettore vorace, nelle sue lettere cita centinaia di autori, Charles Dickens, George Eliot, Shakespeare, e poi Emile Zola, Guy de Maupassant, i fratelli Goncourt tra gli altri. I libri non solo lo ispirano in continuazione, ma entrano spesso nella sua opera, diventandone i protagonisti. Da artista sempre in movimento, la sua biblioteca l’aveva in testa. La biblioteca di Kiefer, invece, è sempre a portata di mano sugli scaffali del suo studio di Croissy, ed “è una vera biblioteca alessandrina, che abbraccia ogni argomento che abbia catturato la sua immaginazione [...] Paul Celan, Ingebord Bachmann, Georg Trakl, Martin Heidegger, Rainer Maria Rilke, Gershom Scholem, Robert Fludd, e più recentemente James Joyce...”, scrive Simon Schama nel suo contributo al catalogo.  Ma per entrambi gli artisti, i riferimenti letterari sono pane quotidiano; per Kiefer molti sono inscritti nell’opera stessa, in corsivo, e ne diventano parte integrante.

All’ultimo piano della mostra possiamo soffermarci sui disegni che il giovane Anselm fece nel suo lungo viaggio di “iniziazione”. Tra questi, una strada di campagna vista frontalmente, senza anima viva, abbozzata in uno schizzo a matita e a penna del 1963, porta già con sé quel motivo esistenziale che ancora oggi lo accompagna nelle sue enormi tele. Quando arrivò a Zundert, dove nacque Vincent, fu ospitato dalla famiglia Musters, che aveva una fattoria. Realizzò anche alcuni ritratti della coppia. Nel suo diario, ora in mostra alla Vincent van Gogh Huis della cittadina del Brabante, leggiamo: “Finalmente i contadini hanno acconsentito a posare per dei ritratti. Volevano rimandare a domenica per essere vestiti di tutto punto. Ma non va bene. Qui la domenica indossano abiti cittadini, e io voglio disegnare dei contadini veri (mangiatori di patate)”.

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Anselm Kiefer, Senza titolo, 1963, grafite e penna su carta, collezione dell’artista.

Stedelijk Museum. Tra passato e futuro

Salendo la scalinata storica del Museo veniamo a poco a poco avvolti da una spettacolare installazione, Sag mir die wo Blumen sind (Dimmi dove sono i fiori), che dà il titolo anche alla mostra. Kiefer riprende le parole della canzone pacifista di Seeger, e le inscrive nell’opera, collegandone così tutti gli elementi (24 metri), anche con un sottile filo di scrittura. La parte superiore di queste enormi tele è popolata di figure umane che si stagliano sullo sfondo dorato. Si ispirano a figure di donne al lavoro, che l’artista ha visto nei suoi viaggi in India, o a fotografie dell’Ottocento di pazienti psichiatrici di Jean-Martin Charcot.

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Anselm Kiefer, Sag mir wo die Blumen sind, 2024, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, presentazione stampa, 5 marzo 2025. Sotto a sinistra: Anselm Kiefer, a destra: il direttore Rein Wolfs, foto Maarten Nauw.

Camminando intorno, ci confrontiamo con una schiera di uniformi applicate alle tele, con spesse incrostazioni di pittura, di colori, di argilla. Petali essiccati di rose costellano questo grande ‘affresco’ della condizione umana, e sono sparsi sul pavimento, a ricordarci il ciclo della vita e della morte. Le uniformi non hanno una connotazione precisa, e dunque sono universali, ce ne sono di varie misure, anche da bambino. Naturalmente, commenta Becker, “rimandano anche ai campi di concentramento della Seconda guerra mondiale, ma le uniformi, in generale rendono tutti gli esseri umani ‘uniformi, universali’, così si perde ogni identità individuale”. La pazzia della guerra, il destino dell’uomo, si fondono con la bellezza dell’arte.

Kiefer è partito dalla proposizione eraclitea “panta rhei”: il volto del filosofo greco, insieme a quello di altri filosofi presocratici, è abbozzato, appena visibile tra un’uniforme e l’altra. Queste uniformi sono delle vere e proprie presenze, mentre camminiamo i petali delle rose si spostano, l’installazione diventa viva, dialoga con noi. E non possiamo non pensare alle tragedie del nostro tempo, alle macerie che riempiono le nostre menti. È stato l’artista che ha avuto l’idea di lavorare in questo grande spazio, che non è una sala dove si entra e da cui si esce. Contiene in sé la nozione di un passaggio, come le nostre vite.

Anselm Kiefer ha un rapporto forte e di lunga data con i Paesi Bassi, dove sin dagli anni ’70 il suo lavoro ottenne i primi riconoscimenti tra collezionisti e musei come lo Stedelijk. “I tabù che Kiefer sperimentava in Germania erano sconosciuti nei Paesi Bassi”, scrive la storica dell’arte Antje von Graevenitz nel suo saggio “Welcoming Anselm Kiefer in the Netherlands”. E questo in un paese in cui il ricordo dell’occupazione tedesca e dei bombardamenti “era rimasto estremamente vivo”. La prima calorosa accoglienza risale al 1973, quando fu invitato alla mostra collettiva di artisti olandesi e tedeschi, al Goethe-Institut/Provisorium. Poi arrivarono i primi collezionisti, che ebbero un ruolo cruciale nella diffusione della sua arte, anche in mostre successive. Nei primi anni ’80, lo Stedelijk acquista due opere fondamentali, Innenraum (1981) and Märkischer Sand (1982). Nel 1986, l’allora direttore Wim Beeren gli dedica una personale, Anselm Kiefer. Bilder 1986-1980, curandone anche il catalogo. Altre importanti acquisizioni seguirono, ad arricchire la collezione del museo.

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Anselm Kiefer, Innenraum, 1981, collezione Stedelijk Museum Amsterdam.

 

Oggi l’artista ritorna qui a festeggiare i suoi 80 anni, con una seconda nuova installazione che sembra la somma del tempo. Steigend, steigend, sinke nieder (il titolo è tratto dal Faust di Goethe), è come un ‘monumento’ ad una pratica artistica che ha accompagnato il suo lavoro: quella della fotografia, iniziata nel 1968 con la macchina fotografica del padre, prima testimone e fonte di ispirazione. Si tratta di migliaia di fotografie che, dal soffitto altissimo, pendono in centinaia di nastri di piombo a cui sono applicate – dalla celebre foto con il saluto nazista nella uniforme del padre, alle torri giganti, i paesaggi, le architetture desolate, le performances degli anni ’60 e ’80... Molte sono illeggibili, svanite nella memoria. A terra vi sono grosse bobine: sono vuote, hanno srotolato il tempo. Come scrive Daniel Arasse, che all’artista tedesco ha dedicato anni di studi, “Kiefer ci permette di contemplare la cultura nel suo stato grezzo – una cultura che, complessa ed elaborata com’è, richiama tuttavia verità primitive, primordiali, da un tempo prima della storia”.

L'arte prende il suo materiale dalla vita
Anselm Kiefer, Noch ist Polen nicht verloren… (Poland is not yet lost…), 1989. Super 8 trasferito su video, audio, 31 min. 30 sec., Stedelijk Museum, foto M. Guzzoni.

La mostra presenta anche tre film, tra cui lo splendido, inedito, Noch ist Polen nicht verloren… (Poland is not yet lost... 1989), che Kiefer girò a Varsavia poco prima della caduta della cortina di ferro. Alcune sue parole, scritte sotto le immagini di quell’umanità che si muoveva nella stazione della capitale polacca, sono rivelatrici: “L’arte trae materia dalla vita… e le tracce della vita brillano attraverso l’opera d’arte finale. Allo stesso tempo, la distanza dalla vita è essenziale. Questo è il contenuto vero dell’arte. La vita lascia le sue tracce... proprio come le battaglie tra vita e arte ... lasciano cicatrici. Più profonde sono le cicatrici... più interessanti sono per l’opera”.

Sarebbero piaciute a Van Gogh.

Anselm Kiefer - Sag mir wo die Blumen sind
Van Gogh Museum – Stedelijk Museum, Amsterdam
7 Marzo – 9 Giugno 2025

• Per saperne di più:

Il catalogo della mostra, Anselm Kiefer. Where Have All the Flowers Gone, contiene contributi di Anselm Kiefer, Simon Schama e Antije von Graevenitz; sul rapporto di Kiefer con la fotografia, si veda In the Beginning. Anselm Kiefer & Photography, con saggi di Heiner Bastian, Sébastien Delot, Jean de Loisy e Christian Weikop (Thames & Hudson, 2024); Anselm Kiefer, di Daniel Arasse (Thames & Hudson, 2015); Prologo celeste. Nell’atelier di Anselm Kiefer, di Vincenzo Trione (Einaudi 2023).

L’articolo è stato pubblicato su Artlyst, il 15 marzo 2025.

In copertina, Anselm Kiefer, Sag mir wo die Blumen sind  (parete a destra), 2024. Courtesy of the artist and White Cube. Stedelijk Museum, Amsterdam, foto Peter Tijhuis

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