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Le tre donne di Tiziano

17 Marzo 2025

Di che cosa parla l’arte? Di tutto, certo, ma di che cosa veramente? Forse è questa la domanda che si fa il filosofo, probabilmente perché si chiede anche che cosa dica veramente la filosofia. O è troppo farsi simili domande? È sottile intitolare un libro d’arte scritto da filosofo Tre donne, tre misteri (Mimesis, Milano 2024): due dunque sono l’arte e la filosofia, qual è il terzo?

Intanto le donne del libro sono tre ma i quadri interrogati sono due, il primo essendo basato su una coppia di donne, tanto più misteriose perché ancora non realmente individuate; nel secondo poi la donna è la Madonna, che vien quasi da chiamare Ladonna, la donna. Gioco significativo ideato da Massimo Donà: prima c’è il rapporto tra due donne, poi quello tra la donna e gli uomini; nel gioco di riflessi e individuazioni delle due donne si scoprirà il terzo mistero, che si metterà in atto nel secondo quadro, nella terza donna.

Si scusi l’ermetismo, ma è per dare l’idea dell’operazione complessiva. Di che dipinti si tratta dunque?

L’artista è Tiziano Vecellio, veneto, vezzosamente ma anche per rispecchiamento scelto da Donà, essendo veneto lui stesso. Donà lo segue passo passo, è scrupoloso e documentato sulla sua vita e opera. Non filosofeggia senza conoscenza storica – ricordate la paradigmatica diatriba sulle “scarpe di Van Gogh” tra Martin Heidegger e Meyer Schapiro, che rimproverò il filosofo di aver sbagliato, anzi inventato il quadro di Van Gogh da cui era partito per le sue riflessioni sull’“origine dell’opera d’arte”? Questione importante, da entrambi i lati, della storia e della filosofia. Da allora si fa più attenzione. Ma non è Heidegger il filosofo d’elezione di Donà, né è dell’origine che si occupa, ma del mistero dunque.

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Il primo quadro è il cosiddetto Amor sacro e amor profano del 1515. Tiziano ha studiato con i Bellini, Gentile prima e Giovanni poi, quindi è passato a collaborare con Giorgione, per guadagnarsi infine la sua propria autonomia. Donà ricostruisce nei dettagli il percorso perché né la circostanza precisa né il soggetto del dipinto sono chiari, e anzi molto discussi. Anche delle diverse interpretazioni Donà rende conto, fin dalle prime tracce storiografiche dell’opera fino alle più recenti: Carlo Ridolfi, Franz Wickhoff, Leandro Ozzola, Louis Hourticq, Erwn Panofsky, Edgar Wind, Maria Luisa Ricciardi, Charles de Tolnay, Giulio Carlo Argan, Heiner Borggrefe, tanto per ricordare quanto dibattuta e a che livello l’identificazione delle due donne e l’interpretazione conseguente: Beltà disadorna e Beltà ornata? Venere e Medea (dalle Argonautiche)? Pulchritudo e Voluptas? Quale delle due è eventualmente l’amor sacro e quale il profano? Con tutti i dettagli del quadro: l’amorino, le raffigurazioni della fonte, il doppio sfondo paesaggistico e i personaggi in esso rappresentati. La destinazione e finalità del dipinto? Regalo di nozze di Niccolò Aurelio che sposa Laura Bagarotto? Il mistero è storico e fitto.

Donà lo cavalca ma per andare altrove, verso la filosofia. Nota infatti che in realtà le due donne si assomigliano a tal punto da far pensare che siano in realtà una sola in due parvenze. Questo è importante perché allora non è l’opposizione qui in gioco ma un altro tipo di rapporto, che è quel che conta, perché è l’argomento stesso del dipinto. D’altro canto è uno degli argomenti filosofici più tormentati: Donà lo mostra ricordando dal platonismo e neoplatonismo alla dialettica hegheliana e oltre. È il pane per i suoi denti, come abbiamo già avuto modo di leggere, per ricordare almeno i suoi libri di argomento artistico, spaziando dal moderno al contemporaneo, in Miracolo naturale, sulla Vergine delle rocce di Leonardo (Mimesis, Milano 2019), e L’irripetibile, sul Dadaismo (Castelvecchi, Roma 2020). Se le due donne sono la stessa, non c’è né continuità pacificante né ricerca di sintesi risolutiva. C’è piuttosto un’altra modalità sia di appartenenza all’Uno sia di dinamicità del rapporto: “Quel che ci mostra, questo assoluto capolavoro dell’arte rinascimentale, è dunque che solo nel contrasto, ossia nelle tensioni contrapposte, nelle polarità in relazione a cui si dipana ogni umana esistenza, solo in tutto questo... possiamo riconoscere l’incondizionatezza dell’Uno”.

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E per tornare al discorso storico, Donà giustamente ricorda che agli albori del Manierismo: “le grandi illusioni di una definitiva e universale composizione dei contrasti [...] s’erano rivelate completamente fittizie e prive di costrutto”. Che pensi a un parallelo con i tempi attuali, anche? Resta un monito ricco di risvolti, e il testimone per passare al secondo testo e terza donna.

Il nome che prende quel contrasto nell’unità nel secondo testo è “inquietudine”. Il quadro è l’Assunta (1516-18), quella ancora oggi nella Basilica dei Frari a Venezia. L’inquietudine è quella degli apostoli che stanno in basso, sulla terra, mentre assistono all’assunzione della Madonna. La terza donna è l’obiettivo dell’inquietudine “per una potenza attrattiva che tutto sembra destinata a volgere alla Sua incommensurabile altitudine”. In gioco c’è il Principio, Dio, l’unità, la libertà messi in crisi dall’inquietudine manierista che non crede più nell’Ideale, alla perfezione, ma rappresenta la condizione umana troppo umana di noi sotto.

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È noto che il dipinto ha ispirato il Grande Vetro (La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche) di Marcel Duchamp, che ha sessualizzato la scena e le ragioni, proiettandole nella contemporaneità. Sarebbe interessante mettere il Grande Vetro alla prova delle argomentazioni di Donà: la separazione delle due parti, i tiri mancati degli Scapoli, la pioggia della Via Lattea emessa dalla Sposa. Alla prossima occasione, forse, visto che a Donà interessano i dintorni del Dadaismo. Intanto egli analizza anche formalisticamente la tavola di Tiziano, come si faceva attraverso le geometrie della sua struttura compositiva, identificando due figure nelle due parti, rispettivamente il cerchio per la parte divina con la Madonna al centro e il triangolo degli apostoli che lo insidia dal basso, che “ferisce il cerchio celeste, facendolo quasi sanguinare, per aver rotto o infranto la sua perfetta autonomia”. Il rimando al sangue è suggerito dal rosso degli abiti sia delle due figure in basso che della Madonna.

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A Donà questa struttura geometrica fa pensare a Vasilij Kandinskij, con la sua verticalità “quale simbolo di progressione”. A me ha ricordato altri due artisti, essi pure russi, due opere dei quali possono essere messe a confronto con profitto. Entrambe sono composte da un cerchio e un triangolo, il caso vuole peraltro proprio rosso. Il primo, in significativo ordine cronologico, è Sconfiggi i bianchi con il cuneo rosso, di El Lissitzky, del 1920, con chiaro riferimento alla guerra civile tra rossi e bianchi, di cui sembra proprio uno schema di battaglia. Il secondo è il Manifesto per la fiera del libro di Aleksandr Rodchenko, del 1924, a guerra finita quando invece urge l’alfabetizzazione e acculturazione del proletariato, con il triangolo significativamente rovesciato, in uscita dal cerchio occupato dall’immagine fotografica di una “compagna” che incita alla visita. La verticalità del resto è a sua volta rovesciata in orizzontalità. I due rimandi spero interessino come esempi dei risvolti politici del discorso, un accenno cioè che, benché di donne e di misteri si parli e si raffiguri, o di cerchi e triangoli, non sono l’arte e la filosofia lontani dal loro riscontro politico, basta operare una trasposizione.

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Del resto, qual è il “terzo” mistero di queste tre donne, oltre l’arte e la filosofia, se non la realtà stessa, la condizione umana? L’“uniformità si sfrangia e si consegna a un’inedita consapevolezza della ferita che impedisce all’essere di dire sempre e solamente sé medesimo”. Donà sottolinea: “In conclusione, anche nella vita sembra che Tiziano sia riuscito a vivere l’antitesi e la sua tensione polarizzante con la massima radicalità, senza doversi mai preoccupare di stemperare tale tensione e azzardando una qualche pacificante ma improbabile com-posizione”. Arte, filosofia, inquietudine: tre donne, tre misteri.

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