Impostori, una storia infinita

6 Aprile 2025

Mentre guardavo e ascoltavo il discorso più lungo della storia del Congresso degli Stati Uniti d’America, tenuto da Donald Trump il 4 marzo non potevo non notare che gran parte delle affermazioni che faceva e delle cifre che esponeva erano colossali panzane. Ora, mentire e ingannare farà anche parte della sopravvivenza – come recita la citazione di William Faulkner posta in esergo del libro di Gabriella Turnaturi, Impostori. Storie di inganni e autoinganni, Milano, Raffaello Cortina editore, 2025 – e in particolare della sopravvivenza politica, ma non per questo è un bell’agire. Né riesco a immaginarlo come un imperativo categorico di tipo universal-kantiano, perché se ognuno non facesse altro che mentire la vita sarebbe un caos insopportabile. Eppure, tornando al discorso di Trump, il popolo dei Repubblicani al Congresso applaudiva quelle fake news in maniera forsennata, alzandosi ogni due per tre come marionette tirate da fili invisibili per continue standing ovations a ogni cazzata detta. Una donna biondastra con la giacca azzurra, che sembrava una di quelle signore impellicciate che anni fa a Milano, davanti al Palazzo di Giustizia, difendevano a spada tratta il loro cocchino Berlusconi, lo guardava in totale adorazione e un’altra, con le braccia nude ondeggianti nell’applauso, ripeteva, glielo si leggeva sulle labbra, le parole del Presidente degli Usa, in particolare la triplice terribile esortazione a lottare («Fight!» «Fight!» «Fight!»).

Guardando quelle immagini e ascoltando quelle parole dopo che avevo appena finito di leggere il libro di Turnaturi, mi chiedevo dunque, seguendo le sue considerazioni, quale mai rapporto si istituisca tra l’impostore e il pubblico, tra ingannatore e ingannato, quali passioni e emozioni reciproche vi siano messe in gioco. È questo infatti il tema centrale, il fuoco della questione messo sotto osservazione dall’autrice, nel quale la pratica dell’inganno, dell’impostura e anche del cambio di identità è osservato sotto l’impianto della sociologia e, della sociologia della cultura e delle emozioni, da lei studiato e insegnato. Il termine impostore, spiega la Treccani, dal latino tardo impostor -oris derivato da imponĕre nel senso di «far credere», indica chi, abusando della credulità altrui e allo scopo di trarne vantaggio, fa uso sistematico della menzogna, o finge di essere e di sapere più di quanto sia e sappia, o diffonde teorie, informazioni false. Non ci crede lui stesso (o lei stessa, ci sono delle belle impostore) ma lo fa credere agli altri; impone, pone sopra le parole e le cose apparenze di saggezza e probità, riuscendo a conquistare il pubblico. L’impostore è dunque sì chi si spaccia per un altro, ma è anche chi mente, imbroglia, raggira.

Turnaturi cerca costanti nel dispiegarsi delle relazioni tra chi inganna e chi gli crede, a livello sia individuale sia collettivo, interrogandosi sul rapporto tra impostura e fiducia; ne ricava che non si potrebbe vivere nell’eterna diffidenza, come si diceva sopra. La fiducia infatti è forse il sentimento maggiormente necessario alla costruzione dell'ordine sociale, che senza di essa non potrebbe neppure stare in piedi. Senza la fiducia non potremmo fare nulla, non potremmo compiere alcun gesto che ci metta in relazione con gli altri o con le cose perché l'eterno timore di correre un rischio e essere ingannati bloccherebbe ogni nostra azione. Senza una qualche forma di fiducia infatti non potremmo nemmeno lasciare il letto la mattina e iniziare la giornata, notava il sociologo tedesco Niklas Luhmann. È plausibile quindi pensare che la fiducia sia una componente naturale del comportamento umano, un fatto indubitabile, un fattore vitale, un momento sostanziale del mondo della vita. Concediamo fiducia correndo il rischio di essere ingannati, ma non può essere altrimenti.

Questo groviglio di passioni, emozioni, sentimenti, stati d’animo che è l’atteggiamento dell’impostore, del suo pubblico e dei suoi partner viene esplorato nell’acuto volumetto di Turnaturi per alcuni casi di false identità o direttamente per casi di imposture, tutti realmente accaduti. Diverso è l’impianto dell’accurato studio di Giancarlo Alfano, Fenomenologia dell’impostore (Roma, Salerno, 2021), recensito su Doppiozero da Luigi Grazioli, ove si tratta di casi di impostori nella letteratura moderna. Qui invece si inizia con Leone l’Africano, un caso di doppia identità musulmano-cristiana, per proseguire con la celebre storia di Martin Guerre, riscoperta da Natalie Zimon Davis, su cui molto è stato scritto e persino filmato: una storia di incontro tra aspettative e desideri in cui non solo la moglie del vero/falso Martin Guerre, ma un intero paese arrivano a credere all’impostura. E poi lo smemorato di Collegno, incredibile vicenda di epoca fascista in cui tutta l’Italia si schierò, chi a favore dell’uno o dell’altro dei pretendenti al titolo di Professor Canella, e dove una volta di più prevalse su tutto la volontà di credere. Ancora, la vicenda, accaduta nell’Inghilterra vittoriana, di Tom Castro, in cui un poveraccio obeso vissuto tra Cuba e la Giamaica prende il posto del disperso Sir Roger: e non poteva essere altro perché la madre lo riconosce e può una madre non riconoscere il figlio!? Come se l’enormità stessa di quella impostura, nota Turnaturi sull’onda dell’analogo suggerimento di Borges, faccia sì che venga creduta. E ancora mi scorrono sotto gli occhi le immagini di Trump durante il discorso, lo sguardo che si sposta ora a destra ora a sinistra abbracciando tutto l’auditorio, e che con voce squillante grida che l’America si impadronirà della Groenlandia, in un modo o nell’altro, perché la Groenlandia è importante per l’America, la confederazione di stati che Trump (e non solo lui) chiama continuamente con il nome del continente, espropriandone gli americani del centro e del sud.

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Infine l’episodio della impostora Anna Sorokin, una storia dei nostri giorni trasposta da Netflix nella serie Inventing Anna, Anna Delvey, una truffatrice che almeno con i denari del contratto per la serie riesce a pagare le spese del processo per insolvenza intentatole da una giornalista truffata, e una parte degli enormi debiti accumulati grazie, dicevamo, alla fiducia (ma anche all’ingenuità) delle sue vittime. E in conclusione, casi di spie, infiltrati, agenti doppi, perfetti esempi moderni di simulazione e dissimulazione del comportamento illustrato nel piccolo ma saporoso trattato secentesco di Torquato Accetto. Della dissimulazione onesta, 1641. Una storia nella storia, per concludere la parata, quella dell’impostore real-letterario, Eric Marco, cui dedica un saggio/romanzo appassionante, e pure un po’ pedante, Javier Cercas (L'impostore, Parma, Guanda, 2015).

Enric Marco, spagnolo, nato nel 1921 e passato indenne, grazie a vari espedienti, attraverso l'anarchismo, la guerra civile, la seconda guerra mondiale, l'olocausto, si inventa bellamente, a partire dai suoi cinquant'anni, un passato di fervido oppositore della dittatura franchista nonché di deportato nel campo di concentramento di Flossenbürg, in Germania. L'impostore inventa il passato, che in realtà mai non passa – è il leit motiv di Cercas – impastando abilmente verità e menzogna, giustificando le grandi menzogne con le piccole verità e ottenendo come risultato una menzogna, talvolta utile.

Ma è importante dire sempre e soltanto la verità, quando il mentire può portare a risultati positivi? E perché mente Marco, mentre, paradossalmente, è l'avverbio «veramente» l'intercalare più frequente del suo parlare ingannevole? D’altra parte è noto fin dalla moralistica antica che l'enfasi su un termine o un concetto equivale alla sua negazione: tre mai significano un sempre, avere sempre in bocca la virtù serve a coprirne la mancanza. L'impostura inoltre fa volare in alto, ma può anche far fare la fine di Icaro. E proprio la caduta sarà la fine di Marco, Narciso e Icaro insieme, smascherato in un finale da noir americano, da uno storico attento quanto inviso all'accademia.

Immagino che in un modo o nell’altro – per riprendere l’espressione usata da Trump a proposito della Groenlandia, è un pezzo di terra «importante e in un modo o nell’altro la otterremo» – Trump sarà smascherato e sarà provata la falsità delle sue asserzioni accompagnate dalla teatralità che, come spiega Turnaturi, genera consenso e dà luogo a quello spazio relazionale che permette alle imposture di essere realizzate con successo. Forse il sipario calerà, in un modo o nell’altro, su questa impostura dei nostri giorni, che pericolosamente affascina e attrae, come attrae il movimento delle grandi mani del presidente quando reggono l’enorme penna nera con il quale firma i suoi editti, o quando stringono i bordi del podio da cui parla, come se fosse lui a tenerlo eretto e non ad appoggiarvisi per sostenersi; o quando punta il suo lungo indice minaccioso come una spada, o come il lungo naso di chi mente come Pinocchio. Le mani dell’oratore dunque, un particolare che rafforza l’inganno, come le mani di Hitler che riuscirono ad avvincere persino una mente come quella di Heidegger. «Come può un uomo così poco istruito governare la Germania?» gli chiedeva Jaspers nel ‘33, e Heidegger, serafico: «L’istruzione non è così importante... guardi soltanto le sue meravigliose mani!».

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