La biofisica e la vita

23 Aprile 2025

Il tempo è un fiume che mi trascina,
ma sono io quel fiume;
è una tigre che mi divora,
ma sono io quella tigre;
è un fuoco che mi consuma,
ma sono io quel fuoco.
Il mondo, disgraziatamente, è reale;
io, disgraziatamente, sono Borges”.

Non conosco altro scritto in grado di trasmettere meglio lo stupore di fronte al passare del tempo e a tutto il mutare che ci sta dentro.

Sì, lo stupore perché deve essere stato questo all’origine del problema del divenire che ha ossessionato l’uomo ben prima che la prima pagina fosse scritta, appena un passo oltre i cancelli dell’Eden, quando scoprimmo di essere nudi, fragili e mortali.

Il problema del divenire già, troppo evidenti le differenze e il destino che riguardavano le cose, le rocce, il cielo rispetto al mondo animale e vegetale per non provocare attenzione, stupore, per non suscitare domande che sarebbero state per un tempo lunghissimo senza risposta.

Senza risposta o per molto tempo ancora con risposte insoddisfacenti e sempre lo stupore a confonderne le parole.

Come poteva essere diversamente? Cosa poteva legare il destino immutabile di una roccia a quello incomprensibile di un essere vivente? Quale poteva essere il legame tra le infinite varietà degli individui e l’immutabilità della nuda materia?

C’è tutta l’evidenza del divenire contrapposto all’essere che tanto avrebbe turbato l’antica filosofia greca. In mezzo – in ogni pagina scritta come davanti al compiersi di ogni tramonto – il sentimento di tutta la fragilità della vita e insieme, la sua eccezionale varietà e bellezza.

Bisognerà aspettare Ludwig Boltzmann con il suo secondo principio della termodinamica (1872) per avere conferma del pensiero di Eraclito e del suo tutto scorre.

Sì, in ragione di questa fondamentale legge fisica tutto scorre, nel senso che tutto muta e si trasforma – qualsiasi cellula, noi, ogni meteorite e corpo celeste – e questo finché ci sarà energia nell’universo mentre l’entropia (il disordine), aumenterà continuamente, fino a essere massima, pochi gradi sopra lo zero assoluto ( -273,15 °).

Sarà dunque la fisica a scrivere la parola fine su un problema che ha ossessionato tutta l’umanità presente e passata, ferita primitiva all’origine di ogni realtà parallela che abbiamo potuto immaginare, fosse questa una storia, ogni forma di letteratura, arte, mito e religione.

Ora, chi volesse addentrarsi maggiormente alla ricerca di ulteriore e più profonda luce su cosa regga i fenomeni vitali, su come dare nuova sostanza al divenire, potrebbe avvicinarsi a Un inizio così semplice di Raghuveer Parthsarathy (Carocci Editore, 2024).

L’autore, professore ordinario di Fisica biologica presso l’Università dell’Oregon prende in esame i quattro principi fisici alla base del mondo vivente” (come recita il sottotitolo) per introdurre il lettore alla complessità dei meccanismi vitali e lo fa attraverso la “semplificazione” che le scienze fisiche sono per definizione in grado di attribuire con rigore a tutta la materia.

Un libro non facile, ma illuminante nella prospettiva, e che presuppone una solida preparazione in biologia, almeno a livello di una “fresca” e fruttuosa frequentazione liceale.

Quali sono i principi fisici che, per la loro efficacia nel descrivere la natura intera, possono migliorare la comprensione dei fenomeni vitali, indipendentemente dalla comprensione che già la biologia o la biochimica ci regalano?

È una prospettiva tutt’altro che astratta perché ogni nuova possibile comprensione di fenomeni vitali apre possibilità alla comprensione di cosa siano il benessere e le malattie, illumina da prospettive nuove quel tempo solo biologico che chiamiamo vita, aprendo alla possibilità di nuove comprensioni sulla nostra interazione con l’ambiente, su nuovi e imprevisti approcci preventivi e terapeutici.

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Il primo dei quattro principi fisici alla base del mondo vivente è l’auto assemblaggio ovvero “l’idea che le istruzioni per la costruzione dei componenti biologici sono conseguenze delle caratteristiche fisiche dei componenti stessi”. Il secondo principio sono i circuiti di regolazione, per cui le cellule – ad esempio nei processi di accrescimento di un embrione – prendono “decisioni” in base agli stimoli e alle condizioni ambientali circostanti e queste interazioni sono anche di tipo fisico e non solo chimico. Il terzo principio è quello di casualità prevedibile. “I processi fisici che sottostanno alle macchine della vita sono fondamentalmente casuali ma, paradossalmente i loro risultati medi sono prevedibili in maniera attendibile”. Questi risultati medi diventano perciò delle “verità” su cui le cellule o organismi biologici possono costruire le loro scelte e il loro comportamenti. Analogamente a come noi, pur ignorando la posizione e la velocità delle molecole dei gas dopo la violenta accensione della benzina dentro il motore a scoppio, ne traiamo la conoscenza e la certezza del movimento dell’auto.

Il quarto principio è quello della scala, “ossia l’idea che le forze fisiche dipendono dalle dimensioni in modi che determinano le forme a disposizione degli organismi viventi”.

Dunque un punto di vista fisico, anzi biofisico, nella ricerca delle leggi comuni valide per l’essere e il divenire, per restare sulla traccia iniziale – valide per la natura e la materia intera di cui, nel buio dell’universo conosciuto, gli organismi viventi rappresentano una fragile e sfolgorante eccezione.

Alcuni esempi di dove questa visione può portarci? Conoscere ad esempio che un virus mentre infetta una cellula libera il suo materiale genetico grazie a una pressione interna di diverse atmosfere. È questa pressione che determina il moto del materiale genetico estraneo verso il DNA cellulare da infettare. Oppure studiando il microbiota, in ambiente sperimentale ma in vivo, accorgersi che in caso di infezione di un batterio patogeno (Vibrio cholerae) sono le contrazioni peristaltiche (azione fisica) indotte dall’invasore a selezionare le specie del microbiota eliminate e non l’azione tossica diretta del batterio del colera. Un aspetto solo apparentemente legato a una ricerca di base perché conoscere il meccanismo in cui un fenomeno vitale si esprime nel nostro organismo potrebbe sempre dischiudere nuove strategie di profilassi o terapia.

Oppure il moto casuale di particelle sufficientemente piccole (macromolecole, granuli di polline, cellule) disperse in un fluido. È il moto browniano, descritto già nel 1827 dal botanico Brown sui granuli di polline ma valido in particolare per tutte le macromolecole. È l’energia termica di fondo che crea questo moto casuale che si ferma solo in prossimità dello zero assoluto

Ad esempio i neurotrasmettirori (acetilcolina, dopamina, adrenalina, gaba e altri…), che le nostre cellule nervose rilasciano e riconoscono a livello di sinapsi, si muovono e vengono intercettate tra cellule nervose adiacenti secondo la casualità del moto browniano. Così come lo stesso moto permette alle biomolecole di riconoscersi nel processo di auto assemblaggio (es. proteine). Senza contraddizione, è dunque anche una casualità prevedibile alla base del funzionamento delle cellule e della vita. La fine regolazione dell’informazione contenuta nel DNA avviene anche con l’interazione di stimoli ambientali e il legame con particolari proteine (attivatori o repressori) di precisi tratti di DNA. Il riconoscimento tra queste parti di DNA e le proteine regolatrici avverrebbe attraverso l’auto assemblamento con meccanismi che si costruiscono da soli: “l’eleganza dei circuiti genetici è la prevedibilità dei processi decisionali coesistono tuttavia con una casualità intrinseca che è onnipresente nel mondo microscopico”.

Sono questi solo alcuni aspetti dei molti in cui i fenomeni vitali possono essere guardati da un punto di vista fisico.

In generale dei quattro principi biofisici con cui l’autore Raghuveer Parthsarathy, avvicina i fenomeni vitali è forse proprio l’ultimo, la casualità prevedibile, legata appunto all’auto assemblaggio e alla regolazione, la più affascinante. Che siano la probabilità e l’indeterminismo alla base di un fenomeno così complesso e fragile come gli organismi biologici può sorprendere come confortare. Del resto la casualità e il disordine che continuamente aumentano nell’universo sono la stessa casualità che a livello microscopico costituisce una delle fondamenta su cui la vita temporaneamente si regge.

E viene in mente il mito greco delle Moire (le Parche romane): Klotho che tesse il filo (i giorni possibili della vita), Lachesi che avvolge il filo al fuso (i giorni possibili che si misurano con l’ambiente) e Atropo, inesorabile che taglia il filo quando è l’ora (ancora l’ambiente ma anche il caso).

Il mito, l’unica letteratura in grado di dialogare con l’inconscio di ogni cultura, racconta una storia che sa di verità, muovendosi sulle onde di una casualità prevedibile.

P.s. Klotho è il nome attribuito a una proteina scoperta nel 1997.

Oggi sappiamo che una forma di questa proteina, alpha-Klotho, esercita un effetto antiossidante (promuovendo la produzione di enzimi specifici) antinfiammatorio e anti-invecchiamento ed è possibile aumentarne la presenza attraverso lo stile di vita e la dieta.

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