Breve vita felice di Sandro Delmastro, partigiano e amico di Primo Levi

25 Aprile 2025

È stata un’amicizia fondamentale, per molti anni, sta svanendo solo adesso”. Così Primo Levi confidò a Giovanni Tesio in una delle sue ultime interviste, parlando di Sandro Delmastro, il migliore amico della sua gioventù. Compagno di scalate sulle montagne di Torino e della Val d’Aosta, di passioni letterarie e anche musicali, di confidenze e di silenzi.

Ne tracciò un ritratto al tempo stesso romanzesco e veritiero nel racconto Ferro, compreso nella raccolta Il sistema periodico. Un racconto da tempo divenuto emblema di avventura e amicizia, coraggio e libertà, e il finale lascia sempre una grande amarezza, per il terribile sperpero di intelligenza e di gioventù. Sì, perché quando Levi tornerà finalmente a casa dopo gli anni e le sofferenze di Auschwitz non ritroverà tanti amici e parenti, una lunga fila di volti destinata a fermarsi nella memoria. Tra loro Sandro Delmastro. Dopo l’8 settembre aveva dismesso la divisa da ufficiale di Marina e si era unito alla Resistenza, nelle fila di Giustizia e Libertà, divenendo presto un elemento di rilievo del Comando Piemontese, soprattutto per le sue capacità organizzative. Catturato ai primi di aprile del 1944, era stato condotto a Cuneo. Lì, consapevole delle torture e della prigionia, che lo attendevano, tentò una fuga disperata. I colpi di un giovanissimo sgherro della milizia stroncarono la sua corsa abbattendolo sul selciato.

"Vedere Sandro in montagna riconciliava col mondo, e faceva dimenticare l’incubo che gravava sull’Europa. Era il suo luogo, quello per cui era fatto, come le marmotte di cui imitava il fischio e il grifo: in montagna diventava felice, di una felicità silenziosa e contagiosa, come una luce che si accenda. Suscitava in me una comunione nuova con la terra e il cielo, in cui confluivano il mio bisogno di libertà, la pienezza delle forze, e la fame di capire le cose”. La sua amicizia era stata preziosa per capire, soprattutto tra le alte cime, l’importanza del mettersi alla prova, “misurarsi e migliorarsi”, per sentire “il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino”.

Per il carisma e l’abilità alpinistica era sempre lui il capocordata, sia quando guida gli amici Levi e Salmoni nelle montagne della Val di Lanzo o della Valle di Champorcher, sia quando sale cime ben più impegnative, come la Torre del Grand Saint-Pierre (3.692 metri), dove l’11 luglio 1938 traccia con la sorella Gabriella una nuova variante (Emanuele Andreis, Renato Chabod e Mario Santi, Guida del Gran Paradiso, Milano, Club alpino italiano: Touring club italiano, 1963, p. 390).

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Chi ama Primo Levi, chi ha amato Ferro, attendeva da tempo che qualcuno scrivesse la storia di questo ragazzo, e il libro di Roberta Mori, Svegliarsi adulti, la racconta nel modo migliore, con stile fluido e rigore documentale. Il primo e l’ultimo capitolo del libro sono proprio intitolati Ferro, il viaggio dell’autrice intorno alla vita di Sandro Delmastro inizia e si chiude indagando la genesi e il senso più vero e profondo di quel racconto. Le pagine sono talmente chiare e scorrevoli che consiglio di leggerlo tutto d’un fiato, perché questa storia di Delmastro ha davvero il vento in poppa, e sorprenderà chi in questi anni ha dovuto sopportare opere sulla Resistenza appesantite dal modus accademico o dal semplicismo retorico. Roberta Mori scrive con sapienza narrativa, in modo evocativo e coinvolgente. Al tempo stesso, il libro ha un apparato critico di particolare accuratezza, è frutto di ricerche iniziate nel 2017, tra libri, lettere e documenti di ogni genere, ascoltando i “testimoni dei testimoni”. Lo si comprende bene già solo leggendone le pagine senza badare alle note, quando poi le si va a esaminare scopriamo la profondità, la ricchezza e la serietà di questo lavoro.

L’autrice conosce bene il mondo di Primo Levi, ha tra l’altro curato con Guido Vaglio l’accurata mostra Le ossa della terra. Primo Levi e la montagna, tenuta nel 2024 presso il Museo Nazionale della montagna di Torino.

Far comprendere meglio Ferro è un altro merito del libro di Roberta Mori. Da un lato si evince che Levi, per dare maggiore forza narrativa al suo racconto, accentua le differenze caratteriali e anche intellettuali tra lui e Sandro, e quelle sociali tra le loro famiglie, ma sono dettagli che nulla tolgono alla verità sostanziale di quel ritratto biografico. Lo stesso Levi, nelle ultime righe di Ferro spiega che “...è un’impresa senza speranza rivestire un uomo di parole, farlo rivivere in una pagina scritta: un uomo come Sandro in specie”. Ma in un’ altra opera, La chiave a stella, per spiegare la veridicità del protagonista Tino Faussone, Levi chiude il libro citando un autore che lui e Sandro amano moltissimo, Joseph Conrad: “Se anche fosse vero che il capitano MacWhirr (il protagonista di Tifone di Conrad ndr) non ha mai camminato o respirato su questa terra, posso tuttavia assicurare ai lettori che egli è perfettamente autentico”. C’è un filo che unisce questi due finali, la consapevolezza che la letteratura e la storia degli uomini corrono su binari diversi, non sovrapponibili, ma è possibile e necessario che entrambe cerchino la verità e la credibilità. L’operaio specializzato Faussone, un solido solitario che lo stesso Levi giudicò “abbastanza simile” a Delmastro, è un personaggio vero e credibile; come lo è il protagonista di Ferro, lo si intuisce leggendo il racconto, lo si apprende leggendo Svegliarsi adulti.

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Roberta Mori ripercorre le tappe della troppo breve vita di Sandro Delmastro incrociando articoli, lettere, interviste, seguendo un andamento cronologico e la cadenza degli avvenimenti, storici e personali. Quando incappa in uno spazio vuoto, un’attività o un evento non documentati, indaga, avanza ipotesi, coinvolge il lettore in dubbi e possibilità su cui ragionare. Durante la Resistenza era pericoloso compilare appunti, missive o diari. Non tutto è tracciabile. Ad esempio, è possibile che nel periodo settembre-dicembre del 1943 Levi e Delmastro si siano visti e parlati, ipotizzando azioni comuni, come ai tempi delle loro scalate. Era passato un attimo da quei giorni. Ma non è rimasto alcun documento che lo comprovi.

Oltre alle attività Roberta Mori approfondisce le letture di Sandro, quelle che lo hanno aiutato a formarsi una coscienza individuale e civile, che ha condiviso con Primo: Jack London, Joseph Conrad e Aldous Huxley. In Università e a casa studiavano chimica, ed era difficile in quegli anni leggere articoli o libri di politica, ma i tre romanzieri avevano tutti, ognuno a suo modo, una tale passione di libertà, da lasciare un segno anche nelle vaghe idee politiche di quei giovani, quantomeno nel loro senso dell’etica e della giustizia. Un’ansia di libertà epica e coraggiosa in London e Conrad, umanista in Huxley. Nel racconto Ferro, Levi evoca sia Smoke Bellew di London – nella metafora della carne dell’orso da addentare quando in montagna si è costretti a passare la notte all’agghiaccio – sia Youth di Conrad – nella necessità e bellezza del mettersi alla prova, affrontando rischi e difficoltà con determinazione e dignità. I richiami sono ancora più espliciti nella prima versione del racconto, intitolata La carne dell’orso, pubblicato nel 1961 nella rivista “il Mondo”.

Se è affascinante l’intreccio tra personaggio letterario e biografia, lo è altrettanto l’indagine sugli anni in cui Sandro supera la sua linea d’ombra, passando da una giovinezza di alpinismo e di studi alla laurea in chimica, dal fidanzamento con Ester Valabrega, una ragazza di origini ebraiche, al servizio militare in Marina, una scelta probabilmente legata al fascino delle letture giovanili. Presta però servizio come sottotenente a terra, all’Arsenale di La Spezia, dove, tra proiettili di artiglieria ed esplosivi, vengono messe a frutto le sue competenze in chimica. Intanto, per Sandro come per Primo, scatta una progressiva consapevolezza di vivere in una realtà politica e sociale oppressiva, e la scelta di lottare per cambiarla. L’ingiustizia delle leggi razziali, irrazionali e disumane, è forse lo spartiacque decisivo nel passaggio all’età adulta, a una lucida contezza di sé e del mondo in cui vive. Entrare nella Resistenza, nome di battaglia Sandro Sacchi, è una scelta meditata, come aderire a Giustizia e Libertà, un movimento che sosteneva i valori della libertà individuale e della giustizia sociale, principi in cui Delmastro credeva fortemente. Lo si ricava dalle lettere che Roberta Mori riporta nel libro e dalle testimonianze lasciate da chi gli era vicino.

Dopo aver letto le 263 pagine della storia di Sandro Delmastro, addentrarsi nelle note è un viaggio nella storia, un invito ad approfondire, a cercare altre letture. Di norma è preferibile avere le note a piè di pagina – più rapide da consultare –, in questo caso invece appare condivisibile la scelta di disporle in fondo al testo, così da farle divenire un piccolo prezioso libro nel libro. Le voci dei testimoni – di Ester, dei famigliari, degli amici, dei compagni di lotta –, sono recuperate negli archivi e fatte riascoltare. Quel coro di voci compone una storia personale da non dimenticare e una collettiva, della dittatura e della lotta partigiana, da conoscere meglio. Altro pregio del libro, l’apparato iconografico: foto di gioventù e di montagna, di spensieratezza ma anche di riflessiva malinconia, come il ritratto con l’armonica e l’incrocio di sguardi con il cane Flush. Due sono state scattate durante la salita di Sandro, Primo Levi e Alberto Salmoni sul Monte Thabor, nelle Alpi Cozie, oggi territorio francese allora montagna di confine: è l’aprile del 1940, la guerra in corso pare lontana.

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Nella letteratura della Resistenza il nome di Delmastro ricorre più volte. In La guerra dei poveri di Nuto Revelli, nella Guerra partigiana di Dante Livio Bianco e nel Diario partigiano di Ada Gobetti. Revelli annota subito nel suo diario, alle date del 3 e del 6 aprile del 1944, la sua uccisione nel corso IV novembre di Cuneo. Anna Delfino, la ragazza di Nuto e sua futura moglie abita in una casa all’angolo di quella strada, allarmata dagli spari era corsa alla finestra e aveva visto gli ultimi attimi di quella corsa disperata. Pochi mesi dopo la sua morte, la brigata GL Valle Roia, guidata da Nino Monaco, sarà denominata “Sandro Delmastro”. Livio Bianco ne ricorderà la serietà, la coscienza politica e la sapienza organizzativa, Ada Gobetti la sobrietà antiretorica e il senso etico. È un Delmastro gobettiano quello descritto nel suo diario partigiano: “...questa morte priva d’ogni atteggiamento retorico, d’ogni possibilità d’esaltazione, è proprio quella che, potendo, avrebbe scelto per sé Sandro così semplice, così modesto, così schivo di gesti d’ogni genere. (...) Apparteneva a quella generazione che affronta il destino qual è nella sua aridità tragica, senza bisogno d’abbellirlo, di rivestirlo d’aure eroiche: tanto più eroi in quanto non vogliono esserlo, non sanno nemmeno di esserlo”.

Il senso di Delmastro per la vita e per la libertà evoca richiami e fascinazioni letterarie: per l’entusiasmo e l’inesperienza militare ricorda i piccoli maestri di Meneghello, per il coraggio stoico e silenzioso ricorda il partigiano Johnny di Fenoglio. La sua stessa fine richiama alla memoria la corsa disperata di Milton nell’ultima pagina di Una questione privata: “Correva, e gli spari e gli urli scemavano, annegavano in un immenso, invalicabile stagno fra lui e i nemici. Correva ancora, ma senza contatto con la terra, corpo, movimenti, respiro, fatica vanificati.”

La sua tomba si trova nel piccolo cimitero di Zubiena, accanto a quella della sorella Gabriella, da lì se si alza lo sguardo, si possono vedere le cime delle Alpi Biellesi: la Colma di Mombarone, il Monte Mucrone e il Monte Mars.

Roberta Mori ne ricostruisce assai bene le vicende umane e intellettuali, grazie all’abilità narrativa e a una poderosa ricerca d’archivio. Lo stile delle pagine, al tempo stesso sobrio e accorato, fa immaginare una sintonia personale e profonda dell’autrice con Sandro Delmastro: rimasto giovane per sempre, ucciso un giorno di aprile del 1944 in una strada di Cuneo, ma ben vivo nel racconto di Levi e in questo libro, serio e avvincente.

Leggi lo speciale sul 25 aprile e gli articoli di Doppiozero dedicati alla Resistenza.

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