Franco Brevini, esplorare la lontananza

4 Settembre 2024

È un libro sui viaggi questo di Franco Brevini, sulle partenze e sui ritorni, sulle distanze e sulle lontananze. In un mondo letterario spesso attorcigliato intorno al proprio ombelico, o magari alla propria piccola patria, La conquista della lontananza. Viaggi, incontri, scoperte spinge invece ad aprire le vele e andar via, ovunque. I venticinque capitoli racchiudono il passato e il futuro del viaggio: dalle prime esplorazioni agli assalti dei corsari, dalle partenze per studiare e conoscere il mondo a quelle per depredare e colonizzare, dal Grand Tour e dai viaggi di piacere alla fuga, individuale o collettiva, per salvarsi da guerre, desertificazione, carestie e dittature. E poi i viaggi verso mondi immaginari, lontani nello spazio e nel tempo, un filone letterario che ha appassionato e continua ad appassionare.

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La mole di informazioni contenute in ogni capitolo induce, dopo averlo letto, a posizionare il volume nello scaffale dei libri “vediamo cosa scriveva …  su questo argomento” o a portarlo nello zaino quando si parte, ovunque si vada. Franco Brevini, storico della letteratura, racconta sia i viaggi letti e studiati, e poi spiegati nelle aule universitarie, sia quelli vissuti in prima persona: al Polo Nord come in India, a Capo Horn come nel deserto del Sahara, nelle giungle del Borneo come negli altipiani desertici delle Ande. Raggiunge il Polo Nord a bordo del rompighiaccio nucleare russo Yamal, ma quando la nave riparte, una delle pale (ognuna del peso di sette tonnellate) dell’elica destra viene troncata di netto da un iceberg. Un incidente che gli riporta subito alla memoria l’avventura nel pack di Umberto Nobile e del suo equipaggio, la tragedia dell’Endurance, e altre. Il grave inconveniente obbliga a una sosta di tre giorni nell’Artico: incagliati nella banchisa a 89° di latitudine, distanti mille chilometri dalle acque libere dai ghiacci e con il satellitare di bordo guasto. Nessun rischio serio e imminente, ma in tutti gli uomini a bordo una tesa sensazione di fragilità di fronte all’imponderabile.

Buon alpinista, ha scalato montagne in tutti i continenti, dalle Alpi all’Himalaya, dalla Patagonia al Nord America, e ha percorso con gli sci l'Inlandsis, il deserto di ghiaccio di migliaia di chilometri che copre la Groenlandia. In Alfabeto verticale e in Il libro della neve aveva raccontato dure salite verso altezze perse tra roccia, cielo e ghiacciai, stavolta viaggia invece per estensione, spaziale e temporale, verso orizzonti lontanissimi. 

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Il rompighiaccio russo Yamal in viaggio nel pack.

Tanti gli scrittori-viaggiatori e i libri ricordati tra le pagine: Daniel Defoe e Robinson Crusoe, Conrad e Cuore di tenebra, Rudyard Kipling e L’uomo che volle farsi re, e poi Bruce Chatwin, Robert Macfarlane, Peter Matthiessen, solo per ricordarne alcuni.

La cultura che permea le pagine è storica, letteraria, scientifica e geografica, inevitabile quindi parlare di navigatori, di esploratori e di mappe. Come la Carta marina di Olao Magno, una meraviglia della cartografia, stampata in Italia nel 1539, che raffigura isole e coste con una precisione mai raggiunta prima, lasciando comunque spazio alla creatività, inserendo quindi velieri e mostri marini, cattedrali e castelli, alberi e soldati. 

Speculare alla precisione della ricerca in mondi sconosciuti, è il desiderio o la paura di perdersi. Uno dei capitoli più intriganti è proprio il tredicesimo, dedicato alla perdita della rotta, antico evento scatenante di tanti capolavori: l’Odissea, la Divina Commedia, i Viaggi di Gulliver, La ballata del vecchio marinaio. Scrive Brevini: “Oltre i percorsi noti, si dischiudevano i deserti, le selve e gli oceani, i favolosi spazi dell’avventura, dove nulla sembrava impossibile. Tuttavia, smarrire la «dritta via» significava anche vivere un’esperienza di sbandamento, perdere sé stessi e la propria identità.” Ed ecco che il piacevole intersecarsi dei verbi vagare e divagare può precedere la più complessa convergenza semantica rappresentata dal verbo errare, che può significare l’erranza ma anche l’errore. Possiamo perderci in un oceano come in una bufera di neve nella steppa, e qui l’autore cita Lev Tolstoj, Anton Cechov e Mario Rigoni Stern. 

Altrettanto intrigante il duplice significato del verbo partire, che può significare iniziare un viaggio ma anche dividere, separare. Pare scontato annotarlo, ma davvero ogni partenza è al tempo stesso un inizio e una fine; anche quando la nostalgia, il desiderio di tornare, pervadono l’anima del viaggiatore, il ritorno è inevitabilmente qualcosa di completamente diverso da come l’immaginava. “Non credo che si viaggi per tornare. L’uomo non può mai tornare allo stesso punto da cui è partito, perché nel frattempo, lui è cambiato”, così annotò il regista Andrej Tarkovskij.

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Franco Brevini a Capo Horn.

E anche la ricerca senza esito, senza raggiungere lo scopo che ci si era prefissati, non è detto che tolga passione e fascinazione. Brevini ricorda in proposito il libro di Peter Matthiessen Il leopardo delle nevi: il viaggio nel Dolpo, ultimo rifugio della cultura tibetana, alla ricerca delle blue sheep ma soprattutto del leopardo, si conclude senza mai avvistarlo. Nessuno scoramento, nessun senso di delusione, la vera bellezza del cercare sta nel desiderio, non nel suo appagamento: “Hai visto il leopardo delle nevi? No! Non è meraviglioso?”.

Un altro tema affascinante è anche quello del viaggio come serie di prove da superare, ricordiamo l’Odissea, l’Orlando furioso e i poemi cavallereschi, Don Chisciotte e tanta letteratura tra Ottocento e Novecento, emblematico il racconto perfetto di Joseph Conrad, La linea d’ombra.

Un manuale di viaggio quindi? Per cercare o magari per perdersi? No, l’autore sa tenere le distanze dalla materia narrata, non pone mai troppo in evidenza esperienze, sensazioni e valutazioni. Scorrono tutte davanti all’immaginazione del lettore, come in un caleidoscopio in perenne movimento, si può scegliere dove fermarsi, dare fondo all’ancora e approfondire, segnando le pagine con un lapis o un post it per non perdere spunti e riferimenti preziosi. Le citazioni sparse tra le pagine non esauriscono la curiosità, stimolano invece ad andare oltre, a una ricerca continua, verso una consapevolezza aperta al dubbio. 

La fascinazione del muoversi attraverso il globo non perde di vista i danni, a volte perenni, di scoperte e conquiste: interi popoli sterminati, immense e irreparabili devastazioni, di foreste, mari e montagne, sconvolgenti cambiamenti climatici e progressivo avvelenamento di acque e cibo. L’ultimo capitolo del libro, dal titolo Accrescimento e distruzione. Le ambivalenze del viaggio, è amaro e lucido, ogni frase appare utile e necessaria nello scandire e precisare problemi di grande portata, umana e politica. Brevini evidenzia come la dialettica tra accrescimento e distruzione, che ha caratterizzato la storia del viaggio, si sia progressivamente e pericolosamente sbilanciata verso un punto di non ritorno; citando Il punto di svolta di Fritjof Capra, avverte che la distruzione del paesaggio è sempre irreversibile, determina la sparizione del passato ma anche del futuro. Il simbolo di questa dialettica è individuato nella famosa immagine della divinità indiana Shiva Nataraja, le quattro mani a rappresentare in quattro punti cardinali: un danzatore cosmico in perenne movimento, in un moto che include creazione e distruzione. 

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Il rompighiaccio russo Yamal verso il Polo Nord.

La malinconia e la documentata preoccupazione delle ultime pagine inducono a riflettere sulla caducità delle meraviglie descritte e raccontate nei capitoli precedenti, sulla possibilità di perdere per sempre una bellissima storia di viaggi e di bellezza, di coraggio e creatività, e veder svanire ogni possibilità di un futuro sostenibile.

I timori per il presente e per l’avvenire non distolgono comunque dal desiderio di scoprire e di conoscere suscitato o rafforzato da questo libro di Franco Brevini, di vivere intensamente, tra passioni e disperazioni, usque ad finem. Tornano in mente gli intramontabili versi di Edgar Lee Masters: “Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;/ il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;/ l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti./ Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita./ E adesso so che bisogna alzare le vele/ e prendere i venti del destino,/ ovunque spingano la barca." 

In copertina, La Carta Marina di Olaus Magrus, 1539.

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