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Calvino legge Conrad

12 Febbraio 2024

Italo Calvino apre e chiude la sua attività letteraria con Joseph Conrad. Risale infatti al 1947 il suo primo vero saggio di letteratura, la tesi di laurea sullo scrittore anglo-polacco, e nell’ultimo, Lezioni americane, uscito postumo nel 1988, compare nuovamente un richiamo a Conrad, nell’appendice Cominciare e finire, un testo mirato a sottolineare l’importanza dell’incipit e del finale nelle opere letterarie. Qui, Calvino cita l’inizio e la conclusione di Cuore di tenebra: in entrambi i passaggi l’oscurità avvolge Londra, evidenziando una circolarità nella storia, un viaggio nel mistero dell’animo umano. Richiama anche l’avvio di Lord Jim, con la descrizione del mestiere di fornitore marittimo del protagonista, in un porto dell’Oriente, e la sua etica del lavoro ben fatto, punto di partenza per far comprendere poi, nel corso della narrazione, il contrasto con i suoi sogni spezzati di eroismo sul mare. 

Nella tesi di laurea Calvino sottolinea il “linguaggio leggero e lineare” di Conrad e la sua “ostinata ricerca del mot juste”, elaborazioni stilistiche che esalta compiutamente e con estrema coerenza nelle Lezioni americane: la prima nella lezione dedicata alla Leggerezza, la seconda nel capitolo dedicato alla Rapidità: “una paziente ricerca del mot juste, della frase in cui ogni parola è insostituibile, dell’accostamento di suoni e di concetti più efficace e più denso di significato”.

Alla fine della sua vita e di un lungo lavoro sulla scrittura, Calvino torna quindi su Conrad, sulla sapienza descrittiva di mari, porti e città, e sulla precisione e fluidità dello stile evidenziate tanti anni prima nella tesi. 

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Joseph Conrad 1904, foto di George Charles Beresford.

Nel suo lavoro giovanile Calvino, dopo essere partito dagli studi di Emilio Cecchi sullo scrittore anglo-polacco (in Scrittori inglesi e americani), giunge poi a valutazioni critiche del tutto personali. Cecchi, ad esempio, aveva sottovalutato Robert Louis Stevenson, giudicandolo leggero rispetto alla profondità del pensiero di Conrad. Calvino invece esalta la fluidità e la capacità evocativa di Stevenson e, dopo averlo accostato a Conrad per qualità letteraria, contrappone la nitida linearità del primo a certe disarmonie della macchina narrativa conradiana. Nella tesi, nonostante l’evidente e spesso esplicita ammirazione per lo scrittore, Calvino vuole comunque perseguire l’obiettività e il giusto distacco propri del lavoro di ricerca e critica letteraria. Condivide l’ammirazione di tanti lettori per le descrizioni dei paesaggi marini, di tempeste come di bonacce, ma sottolinea anche l’abilità di Conrad nel raffigurare porti e città, le loro affascinanti peculiarità, e alcune imprevedibili oscurità. I grandi studi critici su Conrad erano ancora tutti da scrivere – Ian Watt, Cedric Watts, Zdislaw Najder, e da noi Mario Curreli e Richard Ambrosini – ma la dissertazione accademica meriterebbe davvero di essere pubblicata: chi ama e conosce le opere di Calvino resterebbe sorpreso dalle contiguità con tante sue opere, non solo Lezioni americane, ma anche Il sentiero dei nidi di ragno e Le cosmicomiche. E chi ama Conrad, troverà finestre aperte e stimoli di ogni genere.

Non solo quel primo lavoro critico, ma anche il primo consistente testo narrativo, Il sentiero dei nidi di ragno, pubblicato nel 1947, porta il segno di Joseph Conrad. La dedica, “A Kim, e a tutti gli altri, evoca apertamente quella di Conrad in La linea d’ombra: “A Borys e a tutti gli altri che hanno varcato nella loro prima giovinezza la linea d’ombra della loro generazione”. Kim lotta e guida altri giovani nella guerra partigiana, Borys, il figlio maggiore di Conrad, combatte in Francia durante la Grande Guerra, contro una Germania aggressiva e autoritaria.

Nel primo dopoguerra l’editore Bompiani avvia una grande impresa editoriale: la pubblicazione dell’opera omnia di Conrad, con traduzioni discutibili ma accompagnate da interessanti saggi di critica letteraria. La casa editrice Einaudi cerca di contrapporre a questo monopolio la pubblicazione di alcune opere significative, con traduzioni più accurate, ad esempio Racconti di mare e di costa (1946) e La linea d’ombra (1947); quest’ultima contiene una prefazione di Cesare Pavese, che resta ancor oggi una delle più illuminanti descrizioni dell’etica conradiana: “Conrad mantiene davanti all'enigma, all'angoscia del vivere, una ironica e rassegnata alterezza; alza le spalle e a denti stretti, se pur non convinto, sta sulla breccia e dà una mano, sempre distaccato, sempre corretto. I piccoli uomini che, febbricitanti e risoluti, tengono duro in questo racconto sulla bella nave stregata – gli umili e sorridenti che, senza un gesto, s'immolerebbero per i compagni – escono da una stirpe di coraggiosi, non di santi”.

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Pieno accordo quindi, da parte di Pavese, con le idee di Calvino su Conrad, salvo un’unica importante divergenza sul valore di Lo specchio del mare: una raccolta di saggi sulla navigazione, in buona parte biografici, che secondo Pavese non ha il fascino delle sue opere di narrativa, mentre Calvino ne apprezza la chiarezza e la precisione, una passione per il lavoro sul mare densa di competenza e scevra di retorica, l’assenza della eccessiva verbosità di alcuni romanzi.

È del 1954 invece il primo articolo pubblicato su un quotidiano, I capitani di Conrad (L’Unità, 3 agosto 1954). Qui Calvino svela il suo interesse giovanile per scrittori avventurosi come Conrad e Stevenson “ma non avventurosi soltanto: quelli per cui l’avventura serve a dire cose nuove degli uomini, e le vicende e i paesi straordinari servono a segnare con più evidenza il loro rapporto con il mondo, e immagina di posizionarli uno accanto all’altro nella sua libreria ideale, nonostante le differenze di stile e scelte di vita. Sente poi la tentazione di spostare i libri di Conrad accostandoli a quelli dei “romanzieri analitici, psicologici, dei James, dei Proust, dei ricuperatori indefessi d’ogni briciola di sensazioni trascorse”. Infine, decide di lasciarli dove sono, con Stevenson, “con Stendhal che gli assomiglia così poco, con Nievo che non ci ha niente a che vedere. Perché, se a molte cose sue non ho mai creduto, al fatto che fosse un bravo capitano ho creduto sempre, e che portasse nei suoi racconti quella cosa che è così difficile da scrivere: il senso di una integrazione nel mondo conquistata nella vita pratica, il senso dell’uomo che si realizza nelle cose che fa, nella morale implicita nel suo lavoro, l’ideale di saper essere all’altezza della situazione, sulla coperta dei velieri come sulla pagina. Questo è il midollo di leone della narrativa conradiana”.

Calvino è felice della notorietà di un autore che ama da molti anni, ma c’è un problema. Conrad è lontanissimo dal marxismo e dalle idee del giornale su cui scrive, L’Unità, ed ecco che con un approfondimento non necessario su un piano strettamente letterario, ma probabilmente inevitabile in quel contesto giornalistico, Calvino sottolinea le idee conservatrici dello scrittore, contestualizzandole però nel momento storico e nelle sue esperienze di vita, e definendolo una sorta di rivoluzionario ante litteram per l’innovativa creatività del suo stile, forse per giustificare la sua passione di fronte al giornale e ai lettori. Sia la critica sia l’assoluzione appaiono troppo sbrigative: Conrad giudicava le libertà individuali del mondo anglosassone un solido baluardo contro l’autoritarismo della Germania prussiana e della Russia zarista, e sugli orrori del colonialismo Heart of Darkness e il racconto An Outpost of Progress  svelano più di tanti pamphlet. Calvino però esce bene dalla strettoia dialettica in cui si è cacciato, cogliendo uno dei temi centrali dell’opera di Joseph Conrad: “Vedeva l’universo come qualcosa d’oscuro e nemico, ma ad esso contrapponeva le forze dell’uomo, il suo ordine morale, il suo coraggio. Di fronte a una valanga nera e caotica che gli rotolava addosso, a una concezione del mondo gravida di misteri e disperazioni, l’umanesimo ateo di Conrad resiste e punta i piedi come MacWhirr in mezzo al tifone”.

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Joseph Conrad, Tifone, l'edizione Einaudi del 2018 . L'acquerello in copertina è di Nicola Magrin.

Riprende e rielabora il tema, un anno dopo, in Il midollo del leone, relazione sulla storia del romanzo letta a Firenze il 17 febbraio 1955 per la sezione fiorentina del Pen Club su invito di Anna Banti, ripetuta in seguito in varie città italiane. Sarà poi pubblicata su Paragone, n. 66, nel giugno 1955: “L’uomo è per Conrad sospeso tra due immagini del caos; quella della natura, o del cosmo, un universo buio e senza senso; e quella del fondo oscuro dell’uomo, del suo inconscio, del suo senso del peccato. Conrad non si ferma a indagare l’una o l’altra; i suoi eroi sono coloro i quali, nonostante l’una o l’altra, riescono a portare in salvo la nave. Essere all’altezza della situazione, sulla tolda della nave come sulla pagina, è l’ideale morale di Conrad”.

La scelta etica di resistere all’abisso, alle tenebre del male e dell’irrazionale, viene illustrata con chiarezza in un’intervista del 1967,  a cura di Giuseppe Mazzaglia (in Il Punto della settimana), in cui Calvino parlando del “senso impareggiabile dell’individuo in mezzo a tutto il resto che hanno Stendhal, Conrad, Hemingway, dell’individuo in mezzo alla storia, al lavoro, all’amore, alla società in movimento, agli impegni umani, alla morte, il loro limpido delineare destini decisi dalla volontà, sconfitte virili, ambizioni e colpe” (…) conclude che  “questo è forse il miglior modo di scrivere”.

È noto il rapido ritratto di Conrad che Calvino compone rispondendo alle Nove domande sul romanzo che la rivista Nuovi Argomenti aveva posto ad alcuni scrittori italiani (n. 38-39, maggio-agosto 1959): “Amo Conrad perché naviga l’abisso e non ci affonda”. Il mondo visto come abisso di irrazionalità e di oscurità, dove si può e si deve lottare per salvare se stessi e chi abbiamo accanto, con autodisciplina, coraggio, lealtà, per dare un senso, una dignità alla nostra esistenza. In una lettera a Pietro Citati del 12 settembre 1970, così scrive Calvino commentando l’articolo Un cuore di tenebra, pubblicato dal suo interlocutore su Il Giorno: “Molto bello lo scritto su Conrad, perfetto quanto all’abisso ma non bisogna trascurare la parte dell’ordine: lui sempre oppone l’ordine all’abisso, ma l’abisso vince sempre, (o se non vince – come nel Tifone – resta il più forte)”.

L’interesse per Conrad non è stato saltuario, ha accompagnato tutta l’attività letteraria di Calvino. Negli anni Sessanta ad esempio, i racconti Distanza dalla luna e soprattutto Tempesta di sole, e i capitani di navicelle spaziali Vhd e Qfwfq, echeggiano apertamente vicende e capitani di Conrad: Tifone, ma anche Lord Jim e Al limite estremo.

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La tesi di laurea di Italo Calvino su Joseph Conrad, foto di Giuseppe Mendicino. Per gentile concessione dell'Archivio storico dell'Università di Torino.

Nel 1980, nella raccolta di saggi letterari Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, dedica a Conrad un intero paragrafo di un testo a lui particolarmente caro, Natura e storia nel romanzo, più volte rielaborato a partire dalla prima stesura del 1958. I capitani e i marinai di Conrad vivono sospesi tra la paura di una natura immensa, oscura, senza fine e senza scopo, e l’insicurezza, i sensi di colpa, il buio che hanno dentro di sé. Salvare la nave e i propri compagni, governare il timone sino alla fine, questo è ciò che cercano di fare.

Nella tesi di laurea Calvino aveva elogiato Lord Jim per rigore e capacità di introspezione, rilevando però una certa ingenuità nel ritratto del protagonista e un’andatura non sempre fluida. Con gli anni, quelle riserve giovanili svaniranno. All’inizio degli anni Ottanta, riprende a lavorare sulla traduzione di Lord Jim, di cui aveva tradotto i primi otto capitoli alla fine degli anni Quaranta. Non riuscirà mai a completarla. 

Nel 1897, nella prefazione a Il negro del Narciso, Conrad così delineava lo scopo che si prefiggeva quando scriveva romanzi e racconti: “Il mio compito, quello che sto cercando di assolvere, è riuscire, con il potere della parola scritta, a farvi udire, farvi sentire; è soprattutto riuscire a farvi vedere”. Cent’anni dopo, Calvino, nel suo testamento poetico dedicherà alla visibilità la quarta lezione americana, e sottolineerà che la forza delle immagini visuali è alla base della scrittura. 

La tesi di laurea di Italo Calvino su Joseph Conrad è consultabile presso l’archivio dell’Università degli Studi di Torino e l’archivio dello scrittore alla Biblioteca nazionale di Roma. Per ulteriori approfondimenti consiglio Maria Josefa Calvo Montoro, Joseph Conrad/Italo Calvino, o della stesura di una tesi come riflessione sulla scrittura, Forum Italicum, 31.1 (Spring 1997), pp. 74-115 e Martin McLaughlin e Arianna Scicutella, Calvino e Conrad: dalla tesi di laurea alle Lezioni Americane, in AA.VV., “Italian Studies” – Anglistica Pisana XIV (1 – 2), 2017.

martedì 13 febbraio 2024 ore 11
Biblioteca Fabrizio Giovenale 

Il barone rampante
con Francesca Caputo

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