Speciale

Occhio rotondo 53. Catastrofe

13 Aprile 2025

Joel Meyerowitz è noto per le sue foto delle rovine delle Torri Gemelle, che ottenne di fotografare, lui solo tra i cacciatori d’immagini di New York. Il Word Trade Center ridotto a un frantumo metallico dall’attacco terroristico più incredibile del XXI secolo – il nuovo millennio battezzato nel segno della catastrofe e dei crolli – fu uno spettacolo terribile e affascinante, con i rivestimenti dei grattacieli ficcati a terra come un’archeologia del secolo precedente. Anche se il nome di questo maestro, nato nel 1938 nella Grande Mela, non fosse così noto, gli scatti dei resti del World Trade Center sono stati molto visti: i fotografi sono spesso degli “sconosciuti” conosciuti. Appaiono abbacinanti, soprattutto quelli presi di notte alla luce dei fari. La luminosità, come si può vedere in almeno un paio di queste immagini esposte nella mostra bresciana Joel Meyerowitz. A sense of Wonder. Fotografie 1962-2022 (a cura di Denis Curtis, Museo Santa Giulia 23 marzo-24 agosto), è incredibile: le macerie delle due torri sembrano emergere dal nulla, come se fossero incerte tra la loro decreazione e l’opposto, la creazione. Si tratta di una fine o di un inizio? Probabilmente di entrambi. Meyerowitz è un indubbio mago del colore. L’ha raccontato lui stesso per filo e per segno a Robert Shore in un libro tradotto in italiano, che contiene molte sue parole, La questione del colore (24 Ore Cultura, 2024). 

Era un aspirante pittore, un neo-artista dell’espressionismo astratto, un grafico, e lavorava in pubblicità come direttore della produzione quando un giorno vide il grande Robert Frank al lavoro. Subito gettò alle ortiche il vecchio mestiere e con lui la pittura, e si fece fotografo. Era il 1962 e la fotografia a colori non era ancora riconosciuta come oggi. Sembra incredibile: tutti, o quasi, i grandi fotografi usavano il bianco e nero. Anche i televisori allora erano così. Lui comprò una macchina e dei rullini. Gli vendettero pellicole Kodachrome e cominciò senza pensarci troppo. Poi, poco più avanti, ebbe un ripensamento e acquistò un’altra macchina per rullini in bianco e nero. Per un po’ fotografò con entrambe al collo: immagini della stessa scena o quasi, in due differenti versioni. Meyerowitz è un fotografo di strada, uno di New York, e la sua città è stata nel corso del tempo il suo principale soggetto, almeno agli inizi, ma anche dopo. Il racconto della sua carriera è interessante e anche come per un pelo non entrò subito tra i grandi della street photography. Dominava il bianco e nero anche lì, per cui è stato un precursore, involontario naturalmente. Il colore certo, ma nel suo caso sarebbe giusto dire: la luce colorata. Guardate questa immagine. Scattata ventisei anni prima del WTC a Provincetown in Massachussetts, ha qualcosa in comune con le foto delle Torri di NY. La luce, prima di tutto, e poi il colore. Possiede il medesimo tono livido delle foto del disastro. E allora cosa l’avvicina all’altra del disastro? 

Questa immagine raffigura una strada di sera, all’imbrunire o poco dopo, quando si accendono le luci artificiali. Allineate una dietro l’altra si scorgono cinque case, abitazioni bianche. Davanti agli edifici ci sono delle automobili, probabilmente quelle dei proprietari. Una sola ha le portiere aperte, da cui filtra una luce rossastra. Cinque case e un’auto che sembra una casa, o almeno che si propone come tale: entrate, accomodatevi!, sembra dire. Non è forse anche questo, a dispetto della forma regolare delle abitazioni, un luogo strano? E quel lampione sulla sinistra, quasi un’apparizione dal cielo: arrivano i marziani? Niente di più normale e abituale di questa provincia americana ritratta da Meyerowitz. Ma non sembra anche a voi che, nonostante la regolarità dello spazio, qui sia accaduto qualcosa? Non di roboante ed eclatante come nell’altra, certo che no; qualcosa di diverso invece, e tuttavia anche questo non è forse un luogo catastrofico, un luogo dove è già avvenuta una catastrofe o forse accadrà di qui a poco? Di quale catastrofe si tratta? Difficile dirlo. Forse vi allude quella macchina con le portiere aperte con il suo rosso che si contrappone all’azzurro del cielo. Perché ho pensato a una catastrofe? Perché l’auto spalancata si oppone alle forme geometriche delle case, che si ripetono in serie come se fossero un’equazione algebrica. C’è qualcosa di perfetto nello scatto di Meyerowitz, qualcosa che però sembra far vacillare la composizione. Il colore forse? L’immobilità della scena? L’assenza di persone, che invece altrove riempiono le immagini dell’autore di NY, i suoi scatti di street photography? C’è anche la disposizione in diagonale, che segue una prospettiva. Penso sia la luce violacea per quanto brillante, in qualche modo cianotica, come nelle foto dei rimasugli del WTC. La brillantezza di questa luce possiede la prerogativa d’attivare una premonizione: il palo e le due sfere luminescenti con il loro alone biancastro lassù di lato. 

Devo confessare che a farmi guardare questa immagine con uno sguardo simile è stata una rilettura recente di un racconto di Gianni Celati, Tempo che passa, incluso nella sua raccolta Narratori delle pianure (1985). Si racconta di una donna che tornando ogni giorno in auto dal lavoro passa davanti a delle villette della Pianura. Si accorge che lì c’è un silenzio diffuso che non è quello degli spazi aperti, “un silenzio residenziale che circonda i paesi e si spande nelle campagne”. Quando il libro di Celati uscì tanti anni fa in molti pensarono che lo scrittore avesse descritto un paesaggio che somigliava in qualche misura a quello del West americano, delle sue residenze abitative sparse nello spazio vuoto. Insomma, la Pianura italiana simile alle campagne di quel lontano paese. 

Non so se Meyerowitz avesse questa intenzione. Lui è semplicemente passato di lì e ha scattato questa, oltre ad almeno un paio di altre fotografie, a Provincetown. Una, poi, raffigura un passaggio tra due appartamenti, forse un motel, dove si vede uno spazio illuminato più o meno alla medesima ora della sera da una luce gialla, mentre in fondo si staglia un rettangolo blu, colore del cielo e del mare, e nuvole, o altro. Dentro c’è un telefono pubblico di quelli di una volta, a gettoni. Abbandono e solitudine, ma anche un ordine perfetto e niente che fa eccezione, salvo l’apparecchio. Ho l’impressione che qui il fotografo di NY abbia ritratto il vuoto della vita provinciale, che, come scrive Celati, è “qualcosa di infinitamente più ordinato, più minutamente organizzato di quanto si potrebbe mai immaginare: come una trappola complicatissima per tenere lontane le incertezze e le vergogne, eliminando ogni serietà dei fatti della vita”. Guardando le fotografie di Meyerowitz ai luoghi di provincia, diverse da quelle più celebri di città in cui accade di tutto, qui si sente che vuole parlarci di questa nuova solitudine, che è iniziata tanto tempo fa e che ancora ci circonda. Lo fa con quel colore, il suo, che rende così unici e preziosi i suoi scatti.

In copertina, Red Interior, Provincetown, Massachusetts, 1977 © Joel Meyerowitz
Leggi anche:
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 40. Lettera 22
Marco Belpoliti |  Occhio rotondo 41. Sguardo
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 42. Inabitanti
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 43. Scale
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 44. Autoritratto
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 45. Mano
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 46. Tundra
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 47. Occhio
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 48. Ritratto
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 49. Coppie
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 50. Asfalto
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 51. Bonsai
Marco Belpoliti | Occhio rotondo 52. Campo

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO
TAGGED: Joel Meyerowitz