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Speciale

Occhio rotondo 52. Campo

30 Marzo 2025

Un campetto stretto tra le case a Polizzi Generosa, un comune siciliano abbarbicato in cima a una collina posta a 900 metri sul livello del mare. L’immagine è presa dall’alto da un giovane fotografo che vive a Palermo, Antonino Costa. Dai segni tracciati sul terreno sembra uno spazio destinato al gioco della pallamano, per via della dimensione delle porte e per le misure canoniche dello spazio: 40 metri di lunghezza e 20 metri di larghezza. I campi da gioco – calcio, prima di tutto, ma anche basket, pallavolo, pallamano – attirano da sempre i fotografi. Ne ricordo solo due: uno scatto di Luigi Ghirri raffigura un campo da calcio fotografato a distanza durante una partita immersa nel buio nella notte; poi uno di Mario Cresci, che ritrae un campo del medesimo gioco di giorno senza giocatori. Cercando meglio negli archivi fotografici si trovano tante foto scattate da autori americani di campi da basket vuoti o con giocatori dilettanti, spesso sono giovani di colore. Perché i fotografi sono attirati dai campi da gioco? Per via dei segni che si trovano tracciati sul terreno, almeno credo. Possiedono qualcosa di particolare, perché con le loro linee bianche determinano una divisione spaziale; meglio: danno un senso geometrico ai rettangoli in cui si gioca. Forse più i campi da calcio e da pallamano che non quelli in cui si esibiscono giocatori o giocatrici di pallavolo oppure i tennisti. La rete interrompe in qualche modo quella geometria; è troppo presente a definire lo spazio in due parti. Negli altri campi gli atleti corrono invece in modo continuo avanti e indietro, avanzano e arretrano, spesso si scontrano, si toccano. C’è una mescolanza continua nel momento in cui iniziano le partite, e poi le due reti sull’estremità opposta del campo: porte e canestri. 

L’universo in cui si gioca è diviso in spazi dove è possibile fare, o non fare, certe cose, come stabiliscono i regolamenti. Nella foto scattata da Costa colpisce l’ordinamento delle linee, la divisione in tre del campo, i tre cerchi (al centro e delle due rispettive aree) e poi quella di rigore, che nel calcio non è arrotondata come qui, ma rettangolare. La forma ordinata possiede qualcosa di magico, e forse anche di cosmico: sembra un ordine che cala dal cielo sulla terra per determinare coi suoi segni le regole dell’azione di gioco. Ogni gioco possiede qualcosa di magico: permesso e insieme proibito. Sono le tracce sul suolo che riportano sulla superficie del terreno qualcosa che appartiene all’astratto delle regole. Ogni regola, poi, possiede una valenza superiore, celeste, potremmo dire. Lo ha spiegato Roger Caillois interpretando gli aspetti iscritti in ogni gioco: agon, la competizione; alea, il fato; mimicry, il divertimento; ilinx, la vertigine. Ecco: la vertigine che propone ogni gioco, che impone e pure suppone. Penso che quelle tracce bianche così nette e precise, così geometriche, servano a contenere la vertigine manifestando il Supremo Ordine del gioco. Nella fotografia di Costa s’aggiungono il muro e le case attorno al campo, meglio dietro: l’abitato che si nasconde al di là della parete. Questa poi sembra ricavata da uno spazio del passato, un edificio di cui resta solo questo muro perimetrale. Qualcosa che c’era e ora non c’è più. C’è una dualità: il disegno ordinato del campo di pallamano e il disordine della costruzione che vi è rimasta. E dietro ancora i tetti e gli altri edifici. Inoltre, la foto, essendo presa dall’altro, non ci dice cosa c’è dall’altro lato del campo, con che cosa confina lo spazio del gioco. 

C’è qualcosa d’aperto dal lato in cui si trova il fotografo? Oppure no? Non è semplice desumerlo. L’immagine suggerisce che il campo di pallamano è uno spazio aperto, in cui muoversi liberamente, a cui sembra opporsi lo spazio occupato dalle case, dalle varie superfetazioni che si intuiscono nell’abitato. Insomma, qualcosa di aperto opposto a qualcosa di chiuso, un luogo di libertà dentro lo spazio costruito del paese. Sarà per questo che il campetto ha attirato lo sguardo di Costa? Penso di sì, o almeno così sembra suggerire a chi guarda questo lembo di Polizzi Generosa. Dietro a tutto ci sono anche le colline, lo spazio, quello sì aperto, in tutte le direzioni, lo spazio del paesaggio, e dopo ancora delle nuvole basse che coronano e separano là all’orizzonte quello che c’è dietro ancora. Il mondo non finisce lì. Ma l’occhio del fotografo si ferma a un certo punto, poiché anche lo sguardo ha un limite. In questo modo Costa ci ha raccontato molto del territorio che ha percorso con la sua macchina fotografica in mano, nella sua Sicilia.

La fotografia è di ©Antonino Costa.

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