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Occhio rotondo 50. Asfalto
Franco Fontana è un maestro del colore. Lo si vede nella mostra aperta a Roma al Musei dell’Ara Pacis (a cura di Jean-Luc Monterosso, Retrospettive, catalogo di Contrasto, fino al 31 agosto 2025). In molte delle sue fotografie, come ha scritto Caterina Mestrovich, “il colore non coincide con l’oggetto ma lo sopraffà”. Verissimo, tanto che spesso vi è difficile individuare il punctum barthesiano. Non ci sono persone, non ci sono gesti, non ci sono oggetti, ma solo la magnificenza del colore, un colore brillante dai toni saturi, carico e insieme steso, come se fosse smalto. Il colore, come si sa, non esiste, lo produciamo noi, e la luce naturalmente. Nel buio della notte non ci sono i gialli, i rossi, i blu, gli arancio prediletti da Fontana. Il colore è assente, anche se poi ci piace dire che non lo vediamo. Ma se il colore non si vede, che colore è? La fotografia di Fontana è fondata sul concetto di superficie: super facies. Lui ritrae “facce”, sia che si tratti di un gruppo di case a Los Angeles o di muri a Ibiza, per questo non è sempre giusto dire che non ci sono “espressioni”: le facce che il fotografo modenese ritrae non sono quelle di esseri umani, bensì di spazi. Si vede in un altro volume, Colore (a cura di Studio Fontana, Skira), all’inizio della sua carriera ci sono esseri umani, per quanto si tratti sempre di macchie di colore, come gli sciatori di “Appennino” del 1962. Alcuni dei suoi ritratti più affascinanti sono quelli che ha realizzato tra gli anni Ottanta e Novanta con il titolo “Asfalti”. L’asfalto è la superficie che ricopre la maggior parte delle nostre città. Quasi dovunque ha sostituito gli acciottolati e le lastre di pietra. Si tratta di una miscela di idrocarburi realizzata mescolando parti solide e parti liquide, che si chiamano bitume. Il colore dell’asfalto è il colore vero delle città, anche se non ce ne accorgiamo quasi mai perché, per quanto tanti guardino bene dove mettono i piedi, la maggior parte delle persone tiene lo sguardo fisso in avanti, o preferisce guardare verso l’alto. L’asfalto è sotto le suole delle nostre scarpe. Un oggetto umile e quasi indispensabile: senza, il fango invaderebbe le strade, come accadeva prima della sua introduzione; le automobili non potrebbero circolare. Fontana ha fotografato dei rettangoli di asfalto a Londra, a Los Angeles, a Torino e anche a Bologna. Si tratta di immagini pittoriche, in particolare quelle della West Cost, dove dominano le linee rosse e bianche, come se fosse un quadro dell’Espressionismo astratto. Quella che più mi ha interessato è stata scattata nella città emiliana e raffigura un riquadro d’asfalto con due quadrati– uno giallo e uno verde. Sull’asfalto, materiale tenero e insieme durevole, si scorgono i segni di vari pneumatici, impronte semi-visibili, poi un tratto di cordolo del marciapiede e un’ombra nera sulla sinistra di chi guarda. Uno dei due sotto riquadri è solo un disegno colorato di giallo sull’asfalto medesimo, mentre l’altro sembra un coperchio verde – per quanto non si veda tanto bene: tutto è piatto. Macchie di colore tutte e cinque, meno pittoriche delle altre fotografie nella sezione dedicata all’asfalto contenuta nel libro di Skira. Come in molte delle fotografie di Fontana qui c’è un uso ingannevole della prospettiva e un deliberato appiattimento della profondità di campo. Sono sempre superfici, e come tali piatte, quasi bidimensionali: il colore nei suoi scatti non è mai uno spessore, neppure se ricopre il muro di una casa. Perché Fontana ama l’appiattimento? Perché predilige la profondità del colore, la quale come si sa è un puro effetto ottico: c’è e non c’è. Caterina Mestrovich spiega bene in un suo testo incluso nel volume che tutto deriverebbe dal fatto che all’inizio della sua carriera Fontana aveva solo un obiettivo da 50 millimetri, cosa che non gli permetteva di selezionare i dettagli lontani; e questo poi l’aveva portato, nella fase di stampa, ad ingrandire i dettagli più vicini, tra cui le superfici colorate. Possiamo dire che il colore, protagonista della fotografia del maestro modenese, è in realtà un dettaglio: ritrae i colori in modo dettagliato, cioè alla lettera: tagliando, sia nell’inquadratura sia nella stampa. Forse il punctum di Fontana è il colore stesso. Come nella foto bolognese dell’asfalto si tratta di una texture, granulosa in quel tratto di marciapiede calpestato da pneumatici e ricoperto di macchie forse di unto. La parola texture ha due significati: “tessitura” ma anche “struttura”. Il colore dell’asfalto è grigio, la sua tessitura rugosa, poiché la sua struttura è composta di solidi, sono sassi frantumati, e anche di parti che nei mesi estivi tendono a liquefarsi. Si può dire che Fontana lavora con il colore come se fosse texture, cioè una struttura? Sì. È la struttura stessa delle sue immagini. Una struttura totalizzante e onnivora. Divora tutto quello che c’è intorno, salvo forse in questo scatto che ho scelto. Qui il colore si deve arrendere all’asfalto, alla sua pervasività bituminosa. Il grigio asfalto la vince su tutto, alla fine, come nelle nostre grigie città.
Franco Fontana, Asfalto, Bologna, 1985. © Franco Fontana
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