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Occhio rotondo 49. Coppie
Più coppia e amorosa di così non si dà. Forse solo quella del bambino o bambina sulle spalle della mamma. Ma l’esperienza quotidiana ci insegna che capita più spesso che sia il padre a mettere a cavalcioni sulle proprie spalle il figlio, o la figlia, piuttosto che la madre. Questa, poi, ritratta da Pino Varchetta, non è esattamente una coppia, ma un’unità composta di due parti fuse insieme nel profilo scuro. La silhouette è davvero bella: il padre che guarda in alto e il piccolo che fa la medesima cosa, un po’ più in alto di lui – ecco la posizione dei figli: alti sulle spalle dei giganti. Anche il mobile di Alexander Calder è composto di tante silhouette rotonde che galleggiano nell’aria appese alle aste di metallo, consuete nella scultura aerea dell’artista americano. Il termine Silhouette è un nome proprio, appartiene al ministro francese delle Finanze che a metà Settecento era noto per la propria parsimonia, quasi tirchieria, ragione per cui, quando venne di moda la consuetudine di realizzare dei ritratti di profilo delle persone ottenuti ritagliando semplicemente una carta nera, fu immediata l’attribuzione del nome del ministro al gioco: pagate le tasse, delle persone restava solo la sagoma.
Varchetta, fotografo d’occasioni e colpi d’occhio, ha fissato con la sua fedele macchina fotografica a Palazzo Vela a Torino nel 1983 questa immagine. Appartiene a un libro che reca come titolo Sguardi d’amore. Coppie per l’arte (testi di Anna Ferruta e Giuseppe Civitarese, La Vita Felice, p.126). Si tratta di un volume composto recuperando nel vasto archivio del fotografo scatti che raffigurano coppie fissate in luoghi espositivi (musei, gallerie, biennali o altro). Sono immagini del due, e le coppie sono colte in una delle posture che paiono interessare l’autore: mentre guardano, soprattutto opere d’arte (quadri, sculture, fotografie, allestimenti, oggetti, architetture), in un arco di tempo che va dall’estate del 1981 alla primavera del 2024. La fotografia che apre il bel libro permette a Giuseppe Civitarese, psichiatra, di citare Donald W. Winnicott, il pediatra e psicoanalista inglese, autore di un libro fondamentale come Gioco e realtà, e del concetto di “oggetto transizionale” – è la celebre coperta di Linus. Civitarese osserva che il fotografo guarda sempre una coppia che guarda, in questo caso il genitore e la figlia o il figlio: “come il bambino di Winnicott scruta il volto della madre, cercando di vedere come viene riflesso da essa, o meglio, vivificato ed esistito”. Insomma, si tratta di un doppio sguardo e in qualche misura di un atto di voyerismo.
Ora, se è vero che tutta la fotografia è un atto del guardare selettivo e curioso, che presuppone non solo uno che ha guardato – il fotografo – e un altro, o altri, che guardano – gli spettatori –, nel caso di questo breve ma efficace volume c’è un triplo piano, le persone ritratte, tutte intente a guardare. Viene allora da chiedersi se il titolo del libro, Sguardi d’amore, si riferisca allo sguardo di chi guarda le opere d’arte o allo sguardo stesso di Varchetta. Civitarese ha perfettamente ragione nello scrivere che quando andiamo a visitare una mostra o un museo noi facciamo l’“esperienza di esistere”: cerchiamo di trovare nuove e più felici forme d’esperienza. Lo psichiatra aggiunge anche che l’esperienza del guardare le opere d’arte introduce una “sorta di segreta continuità tra esseri viventi, oggetti concreti e oggetti immateriali”. Sta parlando del rapporto tra noi esseri viventi e le opere che guardiamo? Credo di sì. O forse sono piuttosto le opere ad essere degli “oggetti concreti”, mentre noi osservatori siamo “oggetti immateriali”? Entrambe le cose, mi vien fatto di dire: c’è uno scambio continuo tra le persone e le opere.
Le opere sono anche “persone”, per questo ci piacciono così tanto; l’acquisto delle cartoline in mostra, o al museo, e lo scatto fotografico – entrambi rettangoli che raffigurano le opere che ci piacciono –, derivano dal pensare che ci portiamo via le “persone” che ci aggradano. Le opere sono vive. E viva è la coppia simbiotica padre e figlio, o figlia, di questa immagine. Quello che non vediamo è invece il fotografo. Di lui ci resta piuttosto lo sguardo. Pino Varchetta, non a caso, è anche uno psicoanalista e il guardare chi guarda forse ha a che fare con il suo lavoro quotidiano. Che lui sia un curioso, è ben evidente: curioso di curiosi. E perciò anche un fotografo di secondo o di terzo livello, un meta-fotografo. Niente di più ovvio alla fine, visto che noi guardiamo ogni giorno altri che guardano, salvo che Pino Varchetta ne ha fatto una passione da eterno curioso con la macchina fotografica a tracolla quando viaggia per diporto. Lo interessa non solo cosa guardano quelli che fotografa in mostra, ma anche e soprattutto come osservano. Quasi tutte le coppie di questo libro guardano in modo amoroso. Amoroso degli amorosi? Direi di sì.
Giuseppe Varchetta, Alexander Calder, Palazzo a Vela, Torino, 1983.
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