George Hoyningen-Huene, arte e glamour

5 Febbraio 2025

Al contrario di quel che fece Man Ray, di certo lui non avrebbe mai fotografato una modella fasciata in un lussuoso abito di lamé seduta su una rustica e spiazzante carriola di legno da muratore, per quanto imbottita. E neppure si sarebbe impegnato a crearequei fondali di plastica luccicante, che amava usare Sir Cecil Beaton ai tempi delle sue prime foto di moda. «Realizzo progetti teatrali, dipingo e scatto fotografie, tutto allo stesso tempo» amava infatti dichiarare quest’ultimo. No, nonostante George Hoyningen-Huene fosse amico sia di Man Ray che di Beaton, per lui ogni scatto doveva basarsi sulla perfezione dell’inquadratura, sull’uso sapiente delle luci e delle ombre, il tutto all’insegna della bellezza e dell’armonia compositiva, senza cadere in uno stile fotografico preconfezionato e valido per ogni occasione. Considerato da Richard Avedon «un genio, il maestro di tutti noi», viene ora celebrato a Milano – in anteprima assoluta – questo autore che potremmo davvero definire come un “mito della fotografia”, tuttavia relegato ingiustamente nell’ambito esclusivo di quella di moda. Ma la grande antologica milanese, George Hoyningen-Huene. Glamour e avanguardia (Palazzo Reale, a cura di Susanna Brown, fino al 18 maggio 2025, catalogo Moebius edizioni, € 39), permette finalmente di correggere tale visione limitante del suo lavoro. Divisa in varie sezioni, la mostra ripercorre la sua carriera, offrendoci le sue più celebri foto di moda, ma anche quelle di teatro o dei viaggi nell’amata Grecia e in vari paesi arabi, per poi arrivare al cinema e ai ritratti delle star di Hollywood quando si trasferirà negli USA.

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George Hoyningen-Huene Divers, Horst and Lee Miller, Swimwear by Izod, 1930 © George Hoyningen-Huene Estate Archives.

Nato a San Pietroburgo nel 1900 (morirà a Los Angeles nel 1968), Hoyningen-Huene gode di origini famigliari con tutte le carte in regola per trasformarlo molto presto in un maestro del glamour. Era infatti figlio di un barone estone, nominato capo scudiero dello zar Nicola II, mentre sua madre era la figlia dell’ambasciatore americano in Russia. Data la posizione sociale decisamente poco proletaria, la famiglia fu costretta a fuggire dopo la rivoluzione del 1917, per trasferirsi stabilmente a Parigi nel 1920 (città di elezione per gli aristocratici russi in esilio). Una Parigi in pieno fermento artistico e culturale, dove Hoyningen-Huene, coltissimo e poliglotta, allievo del pittore cubista André Lhote, non fatica a entrare nel circolo degli artisti surrealisti, a frequentare Man Ray, Salvator Dalí, Jean Cocteau e altri personaggi del bel mondo culturale parigino. Tuttavia, i suoi esordi nell’ambiente del fashion e la sua collaborazione con Vogue cominciarono un po’ sottotono, come disegnatore di capi d’abbigliamento e di fondali per le fotografie di moda. Poi fu incaricato in prima persona per gli scatti e da quel momento partì alla grande la sua carriera e la collaborazione con le più importanti riviste dell’epoca, come “Vogue” e “Vanity Fair”. Un successo ulteriormente consolidato grazie all’incontro con Horst P. Horst, compagno di vita con cui fonde amore, poi amicizia, passione per la fotografia e per i viaggi. È, per altro, merito di Horst – a sua volta grandissimo fotografo ed erede dell’archivio di George Hoyningen-Huene se oggi possiamo ammirare le opere del nostro barone fotografo, stampate con il raffinato procedimento del platino-palladio in grado di restituire un’ampia ricchezza di sfumature e far emergere ogni dettaglio.

Attento alla lezione geometrica e minimalista che veniva dal mondo del funzionalismo e del costruttivismo, ma anche ispirato dall’arte classica, curiosamente Hoyningen-Huene diviene presto famoso per una serie di fotografie dedicate a costumi da bagno, ovvero quanto di meno fashion produceva la moda, ma indice di un preciso cambiamento culturale. Negli anni successivi alla prima guerra mondiale, infatti, un’ondata di passione per il naturismo valorizza gli sport, gli esercizi fisici all’aria aperta, le vacanze al mare e quindi il nuoto. Così, in una sua immagine del 1929 due essenziali scalette da piscina funzionano da elemento geometrico-costruttivo attorno alle quali compaiono due donne e un uomo in costumi da bagno dello stilista Lucien Lelong. Basata su una costruzione compositiva modernista, tale opera, giocata su un sottile e preciso equilibrio tra pieni e vuoti, ricorda l’articolazione spaziale cara a Le Corbusier e a Mies van der Rohe. Come nelle loro architetture, in questa immagine, s’intrecciano infatti ragion geometrica e ritmo poetico; ma aleggia pure un che di metafisico, tanto le figure paiono simili a sculture immobili, poste lì, in quelle pose ben studiate, per comporre un perfetto gioco di tensioni visive. La sua immagine senz’altro più famosa è però Swimwear by Izod (1930) meglio conosciuta come Divers (Tuffatori). In un’atmosfera sospesa e cristallizzata, un uomo e una donna – con i costumi della marca Izod che s’intravedono appena – campeggiano seduti e ben composti nel centro dell’inquadratura mentre osservano l’orizzonte lontano. Tutto pare immobile, come se il tempo non scorresse più e noi potessimo identificarci in queste due figure perfette per immergerci nel silenzio. Che i due pensino prosaicamente a tuffarsi – come dichiara il titolo – non ce lo s’immagina proprio: se mai, grazie al loro simmetrico guardare verso l’infinito, creano un senso di attesa e di mistero che ci immobilizza davanti all’immagine. E pensare che Divers (come peraltro l’immagine precedente) non venne certo scattata sul trampolino di una piscina o di un molo che puntava verso l'oceano, bensì sul tetto dello studio di Vogue Paris. I modelli androgini di Huene sedevano sopra il clamore degli Champs-Elysées, mentre l'impressione di un cielo immoto e terso che incontrava il mare in un orizzonte nebbioso era ottenuta mettendo fuori fuoco una bassa balaustra. In una sola immagine Huene condensa il massimo della perfezione estetica e dell’eleganza, l’indecifrabile e il mistero. Un concentrato di bellezza che fin da subito trasformerà tale immagine in un’icona: verrà usata per la copertina di un libro, come biglietto d’auguri, come poster… Tutti questi geometrici equilibri Huene li metterà però tranquillamente in discussione quando gli capiterà di fotografare alcuni abiti, simili a pepli greci, creati dalla bravissima Madeleine Vionnet, una stilista famosa per i suoi innovativi tagli di sbieco che permettevano alle stoffe di aderire morbidamente ai corpi. In questo caso Huene fa riemergere tutta la sua passione per l’arte greca e crea due immagini dove la modella Sonia Colmer (Pygimas dresses, 1931) sembra far resuscitare i fregi di Fidia, tanto le sue immagini, con le pieghe delle vesti increspate e danzanti, paiono cariche di ritmo, armonia e vitalità. “Vogue” sarà talmente entusiasta di queste immagini da accompagnarle con un ampio commento: «il fotografo ha orchestrato l’intera scena per offrirci ancora una volta, in un nuovo mezzo, la simmetria, l’equilibrio, il senso di volo contenuto e lo stesso magnifico drappeggio che ha incantato il mondo fin da quel giorno lontano in cui sorse il Partenone».

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George Hoyningen-HueneJosephine Baker C.1929 © George Hoyningen-Huene Estate Archives.

Monumento greco per eccellenza, a cui poi Huene dedicherà numerose fotografie quando, tra i suoi innumerevoli viaggi, si recherà anche nell’amata Ellade. Dopo il libro Africa Mirage: The Record of a Journey (1938), frutto di una spedizione nel continente africano con un gruppo di esploratori amatoriali realizzerà infatti Hellas. A Tribute to Classical Greece (1943), in collaborazione con il poeta Hugh Chriholm e il critico Alexander Koiransky. Il libro, ricco anche di una raccolta di brevi testi di autori antichi e moderni che rendono omaggio alla Grecia classica, venne venduto a soli dieci dollari a copia, a favore dell’organizzazione di beneficenza “Friends of Greece”, che portava cibo e aiuti ai greci, all’epoca sotto la pesante occupazione delle potenze dell’Asse (mentre Atene e le città principali erano affamate sotto il diretto dominio nazista, la maggioranza della Grecia si trovava sotto il controllo italiano e in parte bulgaro). L’immagine della copertina del libro è forte e significativa: in primissimo piano campeggiano infatti due blocchi di possenti colonne doriche come a indicare che la Grecia resiste, si oppone all’invasione, e che la forza e l’importanza della sua antica civiltà saranno sempre alla base della nostra.

Suddivisa in aree tematiche, la mostra dà purtroppo poco spazio alle straordinarie fotografie di viaggio di Huene. In compenso – nella sezione “Tra jazz e ballets russes: sogni di bellezza nella Ville Lumière” – ben evidenzia il suo profondo rapporto con il frizzante e innovativo mondo dello spettacolo parigino. Qui campeggia una seducente immagine della vedette Josephin Baker, prima celebrità nera ad apparire su un giornale importante come “Vogue”; ma soprattutto offre spazio al bellissimo e carismatico danzatore e coreografo Serge Lifar. Nato a Kiev nel 1905 (il suo vero nome era Serhij Mychajlovyč Lyfar), fuggito a Parigi nel 1922 proprio per studiare danza, dopo la morte del fondatore dei celebri Balletti russi Djagilev, di cui era l’amante, venne chiamato a continuarne l’opera divenendo maître de ballet dell’Opéra di Parigi e principale danzatore. Oltre a valorizzare – ovviamente – la figura maschile nella danza, tra le innovazioni di Serge Lifar ci sarà anche quella di chiamare i più importanti artisti dell’epoca per disegnare le scenografie e gli abiti dei ballerini. Nello spettacolo Bacco e Arianna, Huene, ad esempio, immortala Lifar assieme alla grande ballerina Olga Spesivceva, nei costumi realizzati addirittura da Giorgio de Chirico, mentre con le braccia creano una fantastica composizione simile a una stella a raggiera. Tale movimento della danza, probabilmente considerato l’apice dello spettacolo, curiosamente verrà fotografato quasi identico anche dal fotografo Boris Lipnitzki. Ma in questo “quasi” passa la differenza tra una buona fotografia e un capolavoro. In quella di Lipniztki, forse perché ripresa dal basso durante lo spettacolo, Lifar sembra scivolare all’indietro e di conseguenza il corpo della danzatrice finisce per assumere un “peso” e una presenza eccessiva nella composizione, creando un effetto un po’ scomposto. Invece, nella fotografia di Huene, tanto geometrica ed equilibrata da sembrare fatta in studio (ma forse lo era davvero), i due ballerini appaiono carichi di personalità e al contempo simili a sculture immobilizzate in gesti rotatori. Il loro corpo non è più quello di due esseri umani, ma incarna la danza stessa e la perfezione di una composizione rigorosa e innovativa.

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George Hoyningen-HueneSerge Lifar and Olga Spessivtzeva as Bacchus and Ariadne, 1931 © George Hoyningen-Huene Estate Archives.

Certamente, Huene, per quanto versatile, non si fa certo sostenitore di quella «bellezza convulsiva, erotico-velata, esplosivo-fissa», propugnata da Breton, da cui si sente lontanissimo. Sa però raccogliere le influenze e lo spirito surrealista, creando fotomontaggi, inusitati raddoppiamenti con l’uso di specchi o inserendo nelle proprie fotografie volti di enigmatici e sofisticati manichini. In un’immagine, ad esempio, ritrae Lee Miller, una delle sue modelle preferite (nonché poi a sua volta grande fotografa) mentre come una maga avvolta nell’oscurità osserva una flessuosa, elegantissima e miniaturizzata Agneta Fischer chiusa in una sfera di cristallo. Riuscirà a farla uscire dalla sua bolla o a predirle il destino? In un’altra, del 1939, realizza un fotomontaggio surreale, inserendo Salvator Dalí e la sua “musa” Gala, mentre abitano l’inquietante ed enigmatico paesaggio di un quadro creato dallo stesso Dalí. A dispetto del titolo, Il momento sublime (1938), tale opera, tra una lumaca, un rasoio e un enorme telefono rotto e corroso, per di più appeso a un ramo morto che penzola sopra un piatto di uova fritte, appare decisamente più cupa che sublime, anzi sembra evocare l’ombra della guerra incombente sull’Europa. Un conflitto che Huene aveva già predetto con acume, dopo aver sentito per caso a Berlino (nel 1932) un discorso di Hitler, che aveva trovato «l’incarnazione dell’odio, della vendetta e della sete di sangue», aggiungendo, da vero maestro del gusto, che il suo «tedesco era grezzo e volgare». Un po’ a causa della guerra, un po’ perché invitato a collaborare con l’americana rivista “Harper’s Bazaar”, Huene si trasferisce a New York. Per Bazaar farà migliaia di ritratti di dive del cinema: in mostra, tanto per citare le più famose, ci sono quelle di Rita Hayworth, Marlene Dietrich e Katherine Hepburn. Soprattutto dovrà e riuscirà a stare al passo con i cambiamenti della fotografia e dell’industria della moda: l’introduzione dell’uso del colore grazie alla nuova pellicola Kodachrome, l’avanzare del più pratico ed economico prêt-à-porter e soprattutto la concorrenza di numerosi nuovi fotografi, tra cui Martin Munkacsi con i suoi scatti dinamici e spontanei in stile fotogiornalistico (in mostra presso la galleria Paci contemporary, Brescia, fino al 30 marzo) o Louise Dahl-Wolfe con le sue fotografie en plein-air.

Bravissimo nel comporre fotografie dove il colore veniva usato in modo armonico e assumeva un’importanza determinante, in un momento in cui per lui «la moda era diventata abbastanza monotona», ecco che sarà proprio la sua capacità di usare il colore in modo eccelso a offrirgli una nuova stimolante opportunità: quella di entrare nel mondo del cinema come consulente del colore. Man Ray, che negli stessi anni si trovava negli USA, decide che per lui «la California era un deserto, che non ci sarebbe mai stata una piena accettazione delle mie idee e del mio lavoro» (Man Ray, Autoritratto, Abscondita, 2014). Per Huene invece inizia un nuovo percorso carico di soddisfazioni, illustrato nell’ultima sezione della mostra “Hollywood e l’incanto del cinema”. Su invito del regista George Cukor, con cui sviluppa una lunga e affettuosa collaborazione, s’impegnerà infatti in sei suoi film per trovare le giuste combinazioni di colori nelle scenografie e nei costumi. Huene ovviamente attingeva non solo al suo buon gusto, ma anche alle sue vaste conoscenze della storia dell’arte. Così, quasi come un piccolo omaggio al suo legame con Sophia Loren e all’Italia, proprio alla fine della mostra si può vedere uno spezzone del film Il diavolo in calzoncini rosa, dove l’attrice appare sulla soglia della sua camera da letto di fronte a una parete celeste, indossando un corsetto azzurro, una leggera sottoveste bianca e calze grigie. Accostamenti di colori e scelte degli abiti che lo stesso autore dichiarò essere state ispirate dal dipinto Nanà (1877) di Edouard Manet. Insomma Hoyningen-Huene per tutta la vita portò l’arte nella fotografia e la fotografia al livello dell’arte.

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George Hoyningen-Huene Lee Miller and Agneta Fischer1932 © George Hoyningen-Huene Estate Archives.

George Hoyningen-Huene. Glamour e avanguardia, a cura di Susanna Brown,
Palazzo Reale, Milano, fino al 18 maggio 2025,
Catalogo Moebius edizioni € 39

In copertina, George Hoyningen-Huene, Portrait of the Dalís in L'Instant Sublime, 1939 © George Hoyningen-Huene Estate Archives.

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