Un decalogo della Resistenza e della Liberazione
1. La Resistenza è stata disobbedienza. Una moltiplicazione di atti di sovranità individuale nel vuoto lasciato dall'8 settembre, contro il potere assoluto e il sopruso; contro un’idea di mondo violenta ed escludente, che in un contesto di guerra mondiale e di occupazione brutale si poteva combattere, finalmente, anche con le armi.
2. La Resistenza è stata movimento di liberazione. Dal fascismo, dopo vent’anni di dittatura, e dall’occupazione nazista, per venti mesi di saccheggi; da un modello di società arcaico e strutturalmente iniquo, per molte/i tra coloro che combatterono, sparando per non doverlo più fare – è stata una possibilità di emancipazione anche in termini di mentalità.
3. La Resistenza è stata guerra alla guerra. Quando questa arrivò in Italia, dopo essere stata esportata in Africa e in Europa, il movimento di liberazione contribuì significativamente a farla finire, anche grazie a chi la guerra di guerriglia l’aveva conosciuta da occupante: sono migliaia i militari che avevano fatto le guerre fasciste e che cambiarono idea.
4. La Resistenza è stata educazione alla politica. Per i ventenni di allora, cresciuti integralmente nel ventennio e renitenti all'arruolamento imposto dal fascismo repubblicano, darsi alla macchia e combattere significò anche scoprire nitidamente le ragioni per cui lo stavano facendo; lo stesso accadde alle loro coetanee, non soggette ai bandi di leva e dunque le “vere” volontarie a tutti gli effetti di quella generazione.
5. La Resistenza è stata una polifonia. Vi presero parte ragazzi e ragazze e uomini e donne di ogni ceto sociale – dai contadini agli aristocratici –, credo politico – dagli anarchici ai monarchici – e religioso – atei e di diverse confessioni –, e di ogni nazione – da tutti i continenti –, che combatterono insieme, con e senza le armi, rivelandosi una prefigurazione del futuro ordine democratico; mancavano solo i fascisti rimasti tali fino alla fine.
6. La Resistenza è stata un esercito di volontari. Una vasta minoranza armata, che, in un intreccio di spontaneità e organizzazione, nella primavera del 1945 contava ormai oltre duecentomila combattenti, contribuì a sconfiggere il fascismo nel paese che l’aveva inventato, formalmente coordinata dal CLN e unificata nel Corpo volontari della libertà, e riconosciuta anche dagli Alleati.

7. La Liberazione è stata la resa dei conti. Una minoranza di questa vasta minoranza – chi aveva vissuto gli anni del regime in galera, al confino, in clandestinità o in esilio, chi aveva combattuto in Etiopia, in Spagna, in Francia, in Jugoslavia o in altre resistenze europee – animata da spirito di giustizia vide il fascismo sconfitto dopo averlo fronteggiato ovunque.
8. La Liberazione è stata radicalità. Nessuna trattativa era possibile con i fascisti della Repubblica sociale, Stato fantoccio caotico e controllato dai nazisti, che infierirono ferocemente a oltranza contro le comunità e quando si resero conto che era finita provarono a fuggire; non poteva che finire così.
9. La Liberazione è stata un’insurrezione. Ogni 25 aprile si celebra questo: il punto di arrivo di un movimento plurale e polifonico, il momento culminante in cui il nord Italia insorge, dimostrando una strabiliante capacità di coordinamento e gestione, in quell’ultimo mese di guerra in cui 125 città si liberano da sole prima dell’arrivo degli Alleati.
10. La Liberazione è stata una spinta di riscatto umano. “Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là ci si ribadisce la catena”. Alla fine aveva già scritto tutto Italo Calvino in Il sentiero dei nidi di ragno (1947), nel celebre discorso del commissario “Kim”. E un decalogo della Resistenza e della Liberazione, ancora oggi, non si può che chiudere così:
– La stessa cosa, intendi cosa voglio dire, la stessa cosa... – Kim s’è fermato e indica con un dito come se tenesse il segno leggendo; – la stessa cosa ma tutto il contrario. Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là ci si ribadisce la catena. Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un'umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L'altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell'odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo.
In copertina foto @gettyimages.
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