Destra e sinistra: attualità di una distinzione
Prima che l’estrema destra vincesse le elezioni italiane si usava dire, e da tempo immemore, «non esistono più destra e sinistra». È un refrain, questo, sul quale si è molto discusso, diventato senso comune con il finire della guerra fredda, quando in realtà «l’appello al popolo riportava la destra in campo come non era mai accaduto nelle democrazie europee del dopoguerra». Lo rileva Nadia Urbinati nella Prefazione dell’edizione del trentennale di Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica di Norberto Bobbio (Donzelli 1994), un libricino dal successo fulminante diventato un long-seller che, oltre alle innumerevoli ristampe, ha poi visto un’edizione del decennale nel 2004 e una del ventennale nel 2014. In estrema sintesi, quando il revanscismo della “nuova” destra prendeva la rincorsa si impose una lettura – diremmo oggi, forse – negazionista di quanto stava accadendo sotto gli occhi di tutti, in special modo nel mondo occidentale. Riprova ne è il fatto che il discorso pubblico degli ultimi anni ha accantonato questo luogo comune infondato tanto rapidamente quanto l’aveva adottato acriticamente in quella congiuntura che segnava una scomposta e diffusa ritirata della sinistra, di fronte all’avanzare di una destra inedita.
Nel 1994, infatti, quando l’opera di Bobbio vide la luce, «si registrava, da un lato, la riscossa liberista contro la democrazia sociale e, dall’altro, la collocazione della destra in una cornice nazional-populista», nota ancora Urbinati. È in questo contesto che Bobbio, «rifiutando di sottoscrivere un’idea già allora diffusa, ovvero che questa distinzione fosse destinata al tramonto», scrisse febbrilmente la sua opera: «l’obiettivo di Destra e sinistra era di confutare l’idea che queste categorie fossero anacronistiche»; non lo erano allora e non lo sono, a maggior ragione e a ragion veduta, nemmeno oggi, a quasi due secoli e mezzo dal principio di questa metafora spaziale.
È nella Rivoluzione francese che ha origine l’uso dei termini «destra» e «sinistra», intese in senso politico per indicare «posizionamenti» e relativi valori. Infatti nell’Assemblea nazionale legislativa che seguì la rivoluzione, dovendo semplificare, i «conservatori» sedettero casualmente a destra, mentre i «progressisti», altrettanto casualmente, a sinistra. Per duecento anni questa divisione tenne perfettamente: ogni essere umano con coscienza politica si sedette idealmente in un punto – più o meno a destra, a sinistra, o al centro – di quell’Assemblea che aveva fatto da matrice. Poi, due secoli più tardi, crollò il mondo comunista: era la fine della Guerra fredda. Il «secolo breve» di Eric J. Hobsbawm giunse al termine, non le categorie che ne avevano generato alcuni dei tratti fondamentali.
«Come fai a dire che quell’oggetto non è né bianco né nero se non hai la minima idea della differenza tra i due colori?», chiedeva Bobbio in Destra e sinistra. La sua lettura individua come carattere persistente della destra il ritenere «che le diseguaglianze tra gli uomini non solo non siano eliminabili o siano eliminabili soltanto soffocando la libertà, ma siano anche utili, in quanto promuovono la incessante lotta per il miglioramento della società»: la destra, in altri termini, per Bobbio considera le diseguaglianze «sacre o inviolabili, naturali o inevitabili». Mentre la sinistra «ritiene che possano e debbano essere ridotte o abolite». E questo al di là del diverso atteggiamento che possono avere nei confronti della libertà, che a destra come a sinistra è «il criterio per distinguere l’ala moderata da quella estremista», perché i regimi totalitari sono repressivi in entrambi i casi. Però, come Bobbio ha scritto in un altro studio dedicato proprio a Eguaglianza e libertà (Einaudi 1995) «non è contraddittorio immaginare una società di liberi ed eguali» mentre lo è «immaginare una società in cui tutti siano potenti o gerarchicamente superiori. Una società che s’ispira all’ideale dell’autorità è necessariamente divisa tra potenti e non potenti».
La sinistra lotta per l’uguaglianza, la destra per la superiorità; in breve: «La regola della sinistra è l’inclusione, salvo eccezioni, la regola della destra è l’esclusione, salvo eccezioni». E, sottolinea ancora Bobbio in Destra e sinistra, l’uguaglianza è «l’unico criterio che resiste all’usura del tempo». Naturalmente negli ultimi decenni sono molto cambiate le forme di partecipazione politica e di aggregazione: sono nati movimenti e partiti «mostruosi» nei quali coesistono tratti ideologici della destra e della sinistra (basti pensare al dilagare, negli ultimi lustri, del rossobrunismo; tendenza naturalmente non solo italiana), come già era accaduto con i fascismi e, in modo particolarmente evidente, con il nazismo delle camicie brune di Adolf Hitler, che nel 1920 decise di aggiungere l’aggettivo «nazionalsocialista» (Nationalsozialistische) al Partito tedesco dei lavoratori, Deutsche Arbeiterpartei. Ma, esattamente come negli anni Venti del secolo scorso, nessuna persona di sinistra – ed è un dettaglio centrale – riterrebbe oggi di sinistra né i nazisti di ieri né uno di questi odierni mostri «rossobruni» o comunque li si voglia definire. La «sinistra di destra» descritta dall’omonimo libro di Mauro Vanetti, edito da Alegre, è una «sostanza gelatinosa formata, in dosi variabili, da populismo, classismo, razzismo, sessismo e nazionalismo.
I sovranisti di sinistra sostengono che per uscire dalla crisi sarebbe necessario un ripiegamento all’interno dei propri confini, un ritorno alle idee di nazione e patria»; la «sinistra di destra», in questo frangente storico, utilizza termini come «cosmopolita» e «no border», de facto, alla stregua di insulti – al pari di «ultra-atlantista» – e invita a non criminalizzare l’operato di Minniti, e financo a dare ulteriori possibilità alla guardia costiera libica. Invita, in sostanza, a diventare nazionalisti: cioè di destra. Perché, ribadiamolo, «la regola della sinistra è l’inclusione, salvo eccezioni, la regola della destra è l’esclusione, salvo eccezioni».
A dispetto della paventata «crisi delle ideologie», dunque, la «diade» destra-sinistra è ancora qui, sebbene la destra abbia cannibalizzato una parte della sinistra con le sue parole-feticcio con la maiuscola su cui insistette Furio Jesi: a partire dalla Nazione – immaginata e inventata, naturalmente. Una categoria che sta assistendo, come tutto il “campo” cui compete, a un fiorire di pubblicazioni che in questi anni Venti puntano a metterla in discussione come già avevano fatto, esattamente quarant’anni fa, opere come Comunità immaginate di Benedict Anderson e L’invenzione della tradizione di Hobsbawm e Terence Ranger, o come propone il recentissimo repêchage einaudiano, a dieci anni dalla sua prima pubblicazione, di Culture globali. Una storia di omologazione e resistenza dal 1945 a oggi di Petra Goedde. E penso – in rigoroso ordine di apparizione in Italia, da aprile a settembre 2023 – a una pila di libri in lettura che si propongono di rovesciare un paradigma insospettabilmente ancora solidissimo: Mahmood Mamdani, Né coloni né nativi. Lo Stato-nazione e le sue minoranze permanenti (Meltemi); James Crawford, Maledetti confini. Storie di linee tracciate sul mondo (Bollati Boringhieri, recensito qui da Ugo Morelli); Anthony Pagden, Oltre gli Stati. Poteri, popoli e ordine globale (Il Mulino); e Gracie Mae Bradley, Luke De Noronha, Contro i confini (Add editore), con un eloquente sottotitolo nell’edizione originale: The Case for Abolition.
D’altra parte, se la destra di oggi può paventare una conquista manu militari dell’egemonia culturale, ribaltando anche l’asse valoriale della lunga storia repubblicana, lo può fare perché il suo vocabolario in qualche modo è diventato terreno comune, e lo scriveva Enrico Manera su “Doppiozero” in tempi non sospetti (era il 2011, e recensiva il ritorno in libreria di Cultura di destra di Furio Jesi, 1979): «l’insistenza sul linguaggio creatore di identità mostra il volto della moderna cultura di destra nella capacità di manipolazione delle comunicazioni e dell’immaginario, e svela la degenerazione della lingua come sintomo e causa al tempo stesso della sorda guerra civile portata dall’infezione reazionaria/nazionalista/fascista nel corpo delle società. La stessa degenerazione che rende l’anonimato della massa il combustibile per l’alimentazione del potere».
Ma la «sinistra di sinistra» resta, con tutte le sue anime, le sue discussioni, le sue fatiche. E finché ci saranno esseri umani «il cui impegno politico è mosso da un profondo senso di insoddisfazione e di sofferenza di fronte alle iniquità delle società contemporanee» questi «terranno in vita gli ideali che hanno contrassegnato», da quando esistono, «tutte le sinistre della storia», scriveva Bobbio trent’anni fa, aggiungendo che «l’appartenenza al comune gruppo umano è ciò che io considero il fondamento del valore ideale dell’eguaglianza».