Casorati, l’ordine dell’attesa

7 Aprile 2025

È un martedì mattina e c’è coda agli ingressi di Palazzo Reale. La popolarità di Casorati mi coglie di sorpresa. Mi illudevo di appartenere a un club di pochi iscritti che invece conta molte persone, ma in fondo perché non dovrebbe? Alla morte di Casorati nel 1963 Carlo Levi, che se ne dice in qualche modo allievo, descrive il suo mondo “come un’operazione magica”. Ma in cosa consiste quella magia? Insomma, perché piace Casorati?

La mostra (a cura di Giorgina Bertolino, Fernando Mazzocca, Francesco Poli, fino al 29 giugno, catalogo Marsilio Arte) riporta l’artista a Palazzo Reale dopo più di trent’anni e si presenta come un’antologica piuttosto completa, anche grazie alla collaborazione con l’Archivio Casorati. L’allestimento segue un criterio cronologico e nelle prime sale racconta gli esordi dell’artista nei suoi rapporti con Venezia, dalla partecipazione alla Biennale del 1907 (con il Ritratto della sorella Elvira) alla frequentazione fin dal 1911 dei giovani sperimentatori che animano le mostre a Ca’ Pesaro, in quegli anni uno dei laboratori più attivi dell’anti-accademismo italiano. È amico di Arturo Martini e Gino Rossi ma già nel 1913 scrive che si sente distante dalle loro ricerche, per esempio dai “bitorzoli” di Martini, forse alludendo così alle sue deformazioni espressioniste. Rispetto ai compagni capesarini, in effetti, Casorati è sempre accolto nelle gallerie e in altre sedi istituzionali, prima tra tutte proprio la Biennale, dove nel 1912 il suo Le signorine è un successo, per quanto scandaloso. Le donne ritratte nel quadro sono un’allegoria di quattro status al femminile; ma non è il tema simbolista delle età della donna a scandalizzare e nemmeno gli oggetti sparsi a terra a commentare misteriosamente il carattere delle figure, quanto uno specchio che svela un particolare della figura nuda, rompendo con il suo imprevisto la liturgia dello schieramento. La comparsa dello specchio è solo la prima di una lunga serie.

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F. Casorati, Le signorine, 1912, olio su tela (tecnica mista: tempera, glicerina, cera), 187,5 x 195 cm. Fondazione Musei Civici di Venezia – Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. © Felice Casorati by SIAE.

In questo periodo Casorati è un artista sulla soglia, conteso tra gli ambienti ufficiali e quello “ribelle” di Ca’ Pesaro, ancora incerto se insistere su una pittura florida alla Ignacio Zuloaga (un pittore spagnolo molto presente in Biennale), coltivare un decorativismo di ascendenza simbolista alla Klimt o proporre stilizzazioni più energiche, tipo quelle delle prove grafiche tra il 1914 e il 1915.

Poi arrivano la guerra, un grave lutto familiare e il trasferimento a Torino nel 1918. Le opere realizzate tra l’inizio e la fine della guerra abbandonano le presenze umane e sono accusate di “futurismo”, nel senso di un anticonformismo pretenzioso. Sono maschere, giocattoli, bersagli da tiro a segno in cui l’aria dalla Metafisica porta con sé uno dei concetti più discussi per parlare del lavoro di Casorati: l’attesa. Luigi Carluccio nel 1958 nota che nelle sagome e negli oggetti di Tiro al bersaglio (1919) c’è “un senso di movimento in attesa dello scatto; quasi che i ventagli delle pipe siano sul punto di agitarsi, i gusci d'uovo sul punto di rotare”. Un’attesa dinamica, perciò, che si trasforma presto in quell’attesa silenziosa ancora oggi definita come il tratto principale di Casorati.

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F. Casorati, Ritratto di Maria Anna De Lisi o Anna Maria De Lisi, 1919, tempera su tela, 141 x 140 cm. Collezione privata. Photo Credit: Pino Dell’Aquila. © Felice Casorati by SIAE.

Una sezione della mostra raccoglie opere come Una donna, Ritratto di Maria Anna De Lisi o L’uomo delle botti, tutti lavori realizzati tra il 1919 e il 1920 in cui la figura umana ritorna ma è come congelata. Anzi, sembra una cosa tra le cose, una statua lignea sbozzata e non ancora rifinita, comparabile alle sculture raffigurate come tali o alle scodelle, alle caraffe e a tutti i recipienti che a batterci sopra le nocche darebbero un suono sordo, come sordo e trattenuto è il rumore che produrrebbero gli ambienti di questi interni. Il punto di vista rialzato accentua le fughe prospettiche, rese vertiginose dai pavimenti a scacchi, e i protagonisti umani perdono centralità sin dalla loro disposizione nello spazio, quasi scivolati lungo quegli assi troppo impervi e assediati da elementi architettonici sempre leggermente sproporzionati rispetto a essi. Sarà forse questa la formula, il segreto delle sospensioni casoratiane: tensione architettonica degli ambienti, stranezza delle situazioni e raccoglimento rassegnato delle figure.

Eppure queste prove non sono salutate con favore. Recensendo un’importante collettiva del 1921 alla Galleria Pesaro, Enrico Somaré scrive che le immagini di Casorati sono troppo mentali, “si esprimono per sottintesi”, mentre su «Emporium» le sue tele risultano “sgradevoli e squallide” e un dipinto in particolare (Le due sorelle, non presente a Palazzo Reale) suscita addirittura fastidio: “Che significano quelle due Sorelle, messe lì nude, e d’una nudità tetra e geometricamente angolosa, l’una accanto all’altra?”.

Sì, che significano? Forse ci è di aiuto ancora Somaré quando nota, anche se in tono di rimprovero, che un nudo di Casorati pare “plasticamente assimilato alle cose che lo circondano”. Cosa tra le cose, appunto, in linea con le raccomandazioni del tanto ammirato De Chirico, che giusto un paio di anni prima chiedeva ai pittori di rivolgersi alle statue e ai calchi in gesso per “disumanizzarsi” un po’.

Ma Casorati comprende che questo incantesimo pietrificante in lui era avvenuto in modo troppo brusco e proprio a partire dal 1921 ne allenta i toni. Nel generale clima di ritorno a una classicità che ha i suoi modelli nel Rinascimento italiano, Casorati si dedica alla serie di ritratti della famiglia Gualino e ad alcune composizioni complesse, applicando negli uni e nelle altre diverse correzioni alla sua maniera precedente.

I ritratti, prima di tutto. Ritratti veri, somiglianti, di Riccardo Gualino, grande figura di industriale e anche collezionista e mecenate al pari della moglie Cesarina Gurgo Salice, raffigurata col nastrino da danzatrice (studia e pratica la danza libera di Isadora Duncan). Il colore non è più livido come alla fine del decennio passato, riempie i volumi producendo una specie di filtro luminoso, un chiaroscuro intenso che distende le superfici ed elimina i dettagli. Giorgina Bertolino ricorda in catalogo che di fronte alla nuova produzione di Casorati i commenti insistono spesso sul colore, sull’intensità cromatica intrisa di luce che, scrive Roberto Papini nel 1924, trasfigura le forme avvolgendole “in un’atmosfera limpida”.

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F. Casorati, Raja, 1924-1925, tempera su tavola, 120 x 100 cm. Collezione privata. Photo Credit: Matteo De Fina. © Felice Casorati by SIAE.

È come se ora i personaggi di Casorati vadano assumendo il calore umano che mancava, ma senza esagerare, mantenendo sempre un’incertezza sui loro connotati. Il volto, la scollatura, le mani di Cesarina hanno una levigatezza simile ai tessuti che indossa, mentre il caschetto del figlio Renato potrebbe essere l’opera di un parrucchiere come di un abile intagliatore del legno. Un’umanità immutabile eppure accostabile e persino tangibile, fatta di materiali a metà strada tra la carne e qualcosa che possa ricordarla: la splendida Raja (1924-1925), danzatrice amica di Cesarina, si avvolge in una stoffa in modo così ambiguo che sembra trasformarsi lei stessa nelle pieghe dei tessuti su cui poggia; la modella nuda in Conversazione platonica (1925), dice Maria Mimita Lamberti nel 1985, sembra l’innesto tra un corpo sensuale di donna e il calco in gesso di una Venere.

Lo spazio delle immagini, ricomposto entro dipinti che citano la ritrattistica rinascimentale, non è più vertiginoso o claustrofobico ma conserva un carattere anomalo. Dietro Renato Gualino la cortina rosa della tenda si apre, netta come un ritaglio, verso un luogo misterioso dove si incontrano due donne, un’antica Visitazione sovrapposta per un attimo a un momento quotidiano.

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F. Casorati, Silvana Cenni, 1922, tempera su tela, 205 x 105 cm. Collezione privata. Photo Credit: Pino Dell’Aquila. © Felice Casorati by SIAE.

Con le composizioni complesse Casorati affronta invece un tema che la pittura contemporanea aveva abbandonato, quello della creazione di un mondo coerente attraverso dipinti di notevoli dimensioni. In questi anni di rilettura del classico, il ritorno alla grande composizione è inteso spesso come un modo per superare l’estetica del frammento e della decostruzione tipica delle avanguardie e Casorati lo interpreta realizzando quadri solenni come pale d’altare. È il caso di Silvana Cenni (1922), nome di fantasia con cui l’artista designa la protagonista di uno dei suoi dipinti più noti. A metà tra l’abbandono spossato dopo una giornata di lavoro e la maestosità di una Madonna di Piero della Francesca, Silvana Cenni, scrive Paolo Fossati nel 1995, sembra attendere a occhi chiusi che si compia un rito. E a giudicare dagli oggetti “di scena” che si trovano ai suoi piedi, libri aperti e chiusi e fogli arrotolati, è un rito magico che può coincidere con la pratica stessa del ritratto, del trasformare la modella in una forma pittorica. A noi è concesso di assistere e aspettiamo insieme a lei, mentre una luce pomeridiana illumina la stanza.

Ancora un’attesa, dunque. Ancora i silenzi, l’immobilità. Ma per capire perché Casorati piaccia anche oggi, più che osservare i gesti con cui i suoi personaggi interpretano chi attende, occorre soffermarsi sul modo con cui l’artista costruisce l’intero impianto visivo.

Alla Biennale di Venezia del 1924 Casorati ha una sala personale che lo consacra. Meriggio (1923), tra le opere più emblematiche di questo momento di grazia, ci mostra una scena in cui tutto è al proprio posto ma nulla sembra esserlo, con tre figure nude, due al sole e una no, distese o sedute, orientate in tre diverse direzioni. In primo piano una strana natura morta composta da un paio di pantofole rosse e un cappello nero (da prete?), in alto a sinistra un pezzo di tenda bianco panna richiama nella consistenza e nel colore i due nudi stesi, mentre sulla destra la brocca di porcellana chiarissima fa rima coi volumi di uno dei due corpi. Anche grazie alla solita inquadratura rialzata, ogni elemento occupa una porzione visiva ben definita e sembra collocato nel suo spazio per una ragione, anche se non sappiamo quale.

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F. Casorati, Meriggio, 1923, olio su tavola, 119 x 130 cm. Trieste, Civico Museo Revoltella, Galleria d’Arte Moderna. Photo Credit: Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d’Arte Moderna, Trieste. © Felice Casorati by SIAE.

Non è l’attesa come una particolare disposizione delle figure umane, non sembra che attendano qualcosa. Ma è la forma stessa che Casorati riesce a dare dell’attesa, di una dimensione di quieta proiezione temporale in cui le cose e le persone si corrispondono, si somigliano. Un’attesa che sembra così allargarsi dal nostro punto di osservazione a tutto ciò che abbiamo intorno, come un tono comune che si stenda sugli elementi nello spazio e li ritrovi in un ordine assurdo eppure possibile, persino dolce al nostro sguardo.

È questa, allora, l’“operazione magica” di Casorati che ci affascina anche oggi. È un gioco di prestigio che ci attiva secondo canali familiari: nell’apparente insensatezza della vita quotidiana, il nostro sguardo attende (“tende a”) un’intonazione complessiva, quel lievito a volte impercettibile che la pittura di Casorati sa offrire accordando in ampi scenari elementi tra loro superficialmente estranei.

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F. Casorati, Tiro al bersaglio (o Tiro a segno), 1919, tempera su tela, 130 x 120 cm. Collezione privata. Photo Credit: Pino Dell’Aquila. © Felice Casorati by SIAE.

Se gli spazi si contraggono, ecco entrare in scena gli specchi che hanno il compito di estenderli, ricreando anche nei dipinti di ridotte dimensioni la disordinata coerenza delle composizioni maggiori. Come accade in Manichini (1924), un “quasi-ritratto” in cui i protagonisti sono due manichini così simili a volti umani che sembrano atteggiarsi come loro. È ancora il tema della somiglianza tra persone e cose inanimate, uno spaesamento alimentato dal gioco degli specchi (in cui si vede, cosa rara, anche l’artista) che crea un’attesa persino animista, quasi che in Casorati tutto possa prima o poi prendere vita.

Dalla fine degli anni Venti la sua pittura si fa di “seta opaca” (sono parole dello stesso Casorati) e appiattisce i volumi. In dipinti come Aprile (1930) o Ragazze a Nervi (1930) le superfici, coperte da una luce screziata, si distendono, si aprono a ventaglio, facendo anche riemergere lievi sproporzioni anatomiche come alla fine degli anni Dieci, ma con minore crudezza. Nasi, orecchie, soprattutto mani appena più grandi del naturale danno l’immagine di figure sempre in crescita, come di adolescenti le cui parti del corpo si trovino da un giorno all’altro più lunghe. E non è un caso che l’adolescenza sia spesso il soggetto dei dipinti di Casorati, secondo una dimensione di attesa che le appartiene in modi tipici e contraddittori.

In copertina, F. Casorati, Ragazze a Nervi, 1930, olio su tela, 140,6 x 101 cm. Fondazione Musei Civici di Venezia – Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. © Felice Casorati by SIAE.

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