Studio Azzurro, testimone di storie
“Ho sentito questa leggenda da un mio antenato”
È così che Fesseha-Tsion, abitante di Bardà, inizia a raccontare la storia dei vicini bassorilievi di Ba’aatì Mariam a Giulio Calegari, in occasione delle campagne di ricerca del Centro Studi Archeologia Africana e del Museo Civico di Storia Naturale di Milano: “la gente crede che siano gli Angeli e Santa Maria, ma non si sa come e quando furono scolpiti” (Giulio Calegari, “Storie da invisibili silenzi”, in Studio azzurro, Portatori di storia. Portatori di storie, Mimesis 2023, pp. 74-83). Prima di rifugiarsi in una rassicurante ricostruzione storica dell’evoluzione di questo ciclo, Calegari si è posto in ascolto, per fare spazio ai significati culturali, spirituali e “immaginali” di questo luogo. È così che ha appreso come la relazione degli abitanti con le immagini di questo sito non sia mai stata di contemplazione: esse sono venerate, pregate, e le polveri della roccia grattate per essere mangiate a scopo terapeutico. Per comprendere, in senso sia razionale che sottile, si è quindi resa necessaria una postura, quella dell’ascolto sinestetico delle immagini, e soprattutto di coloro i quali, con esse, sono in relazione da sempre.
Portatori di storia. Portatori di storie è il volume inaugurale di ICONE-opere, serie dedicata alle ricerche artistiche contemporanee promossa da ICONE – Centro Europeo di Ricerca di Storia e Teoria dell’Immagine dell’Università Vita-Salute San Raffaele, diretta da Francesca Pola e Andrea Tagliapietra. Si tratta della prima e più completa pubblicazione che analizza nascita ed evoluzione della serie Portatori di storie del collettivo artistico Studio Azzurro, fondato agli inizi degli anni ‘80 da Paolo Rosa, Leonardo Sangiorgi e Fabio Cirifino. Incentrate sull'ascolto di comunità e territori, le opere esplorano il tema della memoria, della sua narrazione e trasmissione, restituendo le testimonianze attraverso installazioni ambientali e interattive, in cui è lo spettatore stesso, tramite il contatto e il gesto della mano, a interagire con gli elementi multimediali e i corpi-immagine dei testimoni, attivando la narrazione delle loro storie.
Concepire l’autorialità come un atto condiviso, e lo spaziare tra diversi media e discipline, sono da sempre una cifra stilistica di Studio Azzurro. E allo stesso modo, corale è anche la progettazione di questo volume, che unisce alla concezione visiva pensata direttamente dallo Studio e arricchita con immagini e materiali d’archivio da essi scelti per l’occasione, le diverse voci che, per poter ricostruire le origini e l’evoluzione dei Portatori di storie e restituirne la complessa stratificazione di significati, hanno analizzato la serie non solo tramite il filtro della storia dell’arte, ma anche di estetica, archeologia, museologia e neuroscienze: Giulio Calegari, Lidia Decandia, Roberto Diodato, Vittorio Gallese, Laura Marcolini, Pietro Montani, Andrea Pinotti, Francesca Pola, e ovviamente Studio Azzurro, attraverso le parole di Fabio Cirifino e Paolo Rosa.
Ed è proprio nei testi di quest’ultimo, alcuni dei quali inediti, che il senso di una ricerca artistica maturata attraverso le nuove tecnologie emerge come evidente: un dialogo con l’oggi non può prescindere, per Rosa, dai media tecnologici, vista la portata rivoluzionaria che essi hanno avuto e continuano ad avere non solo sui nostri comportamenti, ma anche sugli immaginari contemporanei. I media vengono però profanati: utilizzati non come filtri o interfacce, ma piuttosto come strumenti di connessione e potenziamento delle esperienze sensoriali.


La prima opera della serie risale al 2008: Sensible Map, una video-installazione interattiva realizzata a Casablanca, è stata l’esito di un workshop con artisti locali, in cui sono state ascoltate più di 25 persone; l’obiettivo era restituire l’anima complessa, visibile e invisibile, di una città, attraverso le storie di vita di chi la abita, e dare un senso simbolico e sentimentale ai suoi luoghi. Come per le strade, era così possibile allungare la mano e fermare uno dei passanti che camminavano proiettati sugli schermi, i quali, interrogati, potevano raccontare la loro storia, mostrando immagini di scenari biografici e affettivi; interrotto il contatto della mano, il racconto si interrompeva, e testimone e visitatore riprendevano nuove strade, portando dentro di sé l’esperienza di quell’incontro.
È Marcolini, collaboratrice diretta di Studio Azzurro per la direzione artistica, a illustrare come, fin dagli esordi, essi abbiano integrato ascolto e osservazione nei propri progetti, come testimoniato dalla prima produzione Facce di festa: un film girato a una festa milanese nel 1979 con diverse tecniche di ripresa, come la camera nascosta o le interviste, e che restituisce un ritratto spontaneo di uno spaccato della realtà giovanile alla ricerca di nuovi orizzonti di senso. Ma è alla fine degli anni ’90 che l’autrice fa risalire la svolta fondamentale per la nascita dei Portatori di storie, ovvero quando aumentarono le proposte di progetti dedicati ai territori, portando alla ricerca di nuove soluzioni espressive.
Evidenti sono infatti le radici del formato che saranno i Portatori di storie anche all’interno di quel filone di ricerca che per Studio Azzurro sono i musei di narrazione, che spostano il focus dalle collezioni a un più ampio concetto di patrimonio culturale immateriale: del 2000 è il “Museo audiovisivo della Resistenza”, realizzato a Fosdinovo e dedicato alla memoria della Resistenza italiana nella Lunigiana; a parete, i volti dei testimoni ingranditi ci pongono in una vicinanza destabilizzante, ma intima, mentre sui tavoli della memoria le sagome di album ospitano proiezioni di documenti che si possono virtualmente sfogliare con le dita, attivando così i racconti di resistenza e solidarietà. Ed è attraverso le parole di Decandia, docente di pianificazione e progettazione urbanistica e territoriale, che ci è possibile seguire la genesi e l’evoluzione di un progetto esemplare per comprendere come i Portatori di storie siano entrati nei musei di narrazione, ovvero il MATer di Mamoiada (2014), museo archeologico nell’entroterra sardo: su uno schermo trasparente che, al momento giusto, cela e rivela oggetti e reperti, passano come in una piazza cittadina i testimoni, raccontando non solo la storia tradizionale, ma anche quella spirituale, magica e invisibile di questi luoghi.
I musei di narrazione e gli ambienti sensibili, che pure facevano già parte della ricerca di Studio Azzurro, si rinnovano quindi attraverso il formato dei Portatori di storie, come individuato dalla storica e critica d’arte contemporanea Francesca Pola, portando alla ricerca di soluzioni espressive e linguistiche sempre nuove in relazione ai contesti. L’interattività viene infatti definita radicale, fondamentale poiché l’opera non può fare a meno del gesto del visitatore per compiersi, ma anche perché rigeneratrice di radici: non si assiste a una mera esposizione di fatti, ma, attraverso il gesto consapevole, si segna l’inizio di un processo comunitario tra chi racconta e chi ascolta. Il filosofo Montani sottolinea infatti come la dinamica dell'offerta presupponga la presenza di un destinatario pronto ad accoglierla. Una mano che offre, e una che accoglie.
Molti artisti hanno infatti cercato soluzioni alternative ai monumenti tradizionali come strumento di trasmissione della memoria, in quanto spesso essi scompaiono agli occhi dei cittadini ormai assuefatti alla loro presenza; ma ciò che distingue Studio Azzurro secondo Pinotti, docente di estetica, è la fiducia nel potere delle immagini proprio perché capaci di istoriare, figurare un racconto: un potere che essi non fanno altro che potenziare attraverso il dialogo con il video e le sue capacità narrative e interattive, dando la possibilità ai visitatori stessi, con il gesto della mano, di attivare dialoghi potenzialmente sempre nuovi, “senza cedere all’anestesia della ripetizione” (Andrea Pinotti, “Studio Azzurro, portatore di historia”, pp. 20-24).
Questo è il paradosso di Studio Azzurro: una multimedialità che parte dai corpi, e attraverso di essi si completa. Per rileggere questa dinamica, il neuroscienziato Gallese fa appello alle più recenti scoperte delle neuroscienze, che lo Studio ha forse, addirittura, anticipato: osservando i gesti o le emozioni altrui, si attivano dentro di noi i medesimi meccanismi neurologici. Il nostro corpo diventa quindi lo strumento per comprendere le esperienze altrui, fisiche o emotive, dentro di noi; ed è attraverso le possibilità inedite del medium tecnologico e l’incontro tra corpi reali e virtuali, che Studio Azzurro amplifica questa esperienza corporea e quindi relazionale. È proprio sulla ricerca della somiglianza che si basa Miracolo a Milano (2016), esposta nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale: attraverso specchi lungo le pareti, il visitatore poteva osservare l’immagine del suo volto, che presto si dissolveva per fare spazio a quello di un altro, in cui rispecchiarsi; le testimonianze raccontate erano quelle raccolte dal collettivo insieme ad associazioni che assistono i senza fissa dimora di Milano. Alleggeriti, i narratori volavano così nel grande affresco virtuale sul soffitto, eco alla scena finale del celebre film di De Sica.
Ed è in questo rispecchiarsi e nell’attiva assunzione di responsabilità che comincia il percorso. Attraverso i Portatori di storie non si ascoltano passivamente delle testimonianze, ma si diventa parte del loro svolgersi, che risuona in noi anche fuori dallo spazio espositivo. “Testimoni dei Testimoni” (2019) è infatti il titolo dell’ultimo percorso sensibile di questo volume: studenti e studentesse hanno voluto restituire la loro esperienza del viaggio della Memoria, facendosi carico delle testimonianze degli ultimi sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, di volti e voci portatori di memorie. Diodato, docente di estetica, si interroga proprio sul ruolo del volto come mediatore, il quale, solo, non basterebbe per rappresentare un'identità che si evolve: cosa riconosciamo di noi stessi nella foto di noi bambini il primo giorno di scuola?
Studio Azzurro instaura quindi strategie di incontro con l’altro senza la pretesa di afferrarne la totalità, ma creando piuttosto uno spazio di narrazione e ascolto, opportunità di costruzione e incontro tra comunità: i Portatori di storie non illustrano delle testimonianze, ma piuttosto aprono una possibile dimensione relazionale con un’alterità che non sia rassicurante, e faccia così spazio alla domanda di senso in cui le singole storie si compongono nella Storia, mettendo in discussione “ciò che sappiamo o crediamo di essere” (Roberto Diodato, “L’incontro col volto”, pp. 108-111).
