Galtrucco, protagonista di modernità

2 Marzo 2025

Quand'ero piccola, accompagnavo sempre volentieri mia madre ad acquistare le stoffe da Galtrucco. Sto parlando degli anni cinquanta, quando il sistema degli abiti confezionati, il cosiddetto ‘pronto moda’ (in francese prêt-à-porter), non aveva ancora preso piede e i vestiti li cucivano le sarte. Da Bovisio, prendevamo il treno delle Ferrovie Nord e, scese a Cadorna, andavamo a piedi fino a Piazza Duomo (allora la Metropolitana ancora non esisteva, la Linea 1, infatti, fu inaugurata nel 1964) e, dopo una sosta al negozio Mani di Fata, in Via Dante, per i miei abitini di bimba, eccoci da Galtrucco. Credo che il mio amore per i tessuti sia nato lì. Mi rivedo in estasi davanti a quelle vetrine, dove velluti, damaschi e sete cangianti erano drappeggiati da vetrinisti sapienti. E poi c’erano i tessuti stampati. La tecnologia aveva da poco messo a punto dei sistemi di stampaggio piuttosto evoluti che avevano ‘sdoganato’ i tessuti a stampa, facendoli assurgere a livelli fino a quel momento insperati e nelle vetrine di Galtrucco se ne potevano ammirare di strepitosi, spesso affini alle ricerche dell’arte figurativa coeva, dall’Informale all’Arte Nucleare. Per non parlare poi degli oggetti di design che facevano capolino tra le pieghe e le volute delle stoffe, tutti disegnati dal grandissimo Guglielmo Ulrich (Milano, 23 aprile 1904 – Milano, 22 gennaio 1977).

Un altro momento magico, che ricordo come se lo vivessi ora, era quando i commessi srotolavano le stoffe sui pianali dei banconi in mogano, in teak e in pergamena facendole frusciare, anzi facendole cantare, e invitando poi la cliente a toccarle, per apprezzarne “la mano” (con questo termine, nel linguaggio tessile si indicano la sofficità, la morbidezza e la voluminosità di un tessuto, valutati per il tramite del tatto).

Sebbene l’azienda Galtrucco non sia nata a Milano e abbia avuto negozi in molte altre città d’Italia, ha indubbiamente segnato per il capoluogo lombardo il primo step di quel percorso che presto l’avrebbe portata ad essere una delle principali protagoniste della moda milanese. Galtrucco e Milano, insomma, per molto tempo sono stati sinonimi. Il negozio di Galtrucco era la Moda. Il negozio di Galtrucco era Milano.

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Anni cinquanta, vetrine del negozio Galtrucco di Milano in piazza Duomo con tessuti e figurini, reparto donna e reparto uomo.

Ora il Comune di Milano e la Lorenzo Galtrucco S.p.A. hanno organizzato la mostra Galtrucco. Tessuti Moda Architettura. Visitabile a Palazzo Morando fino al 15 giugno 2025, è stata curata da Alessandra Coppa (architetto, giornalista e storica dell’architettura) Margherita Rosina (studiosa di tessile antico e contemporaneo) e Enrica Morini (storica della moda).

“La mostra è organizzata in due sezioni — ci informa Alessandra Coppa nel comunicato stampa — la prima dedicata alla comunicazione di Galtrucco attraverso i negozi, le vetrine, la pubblicità. Al centro di queste tre sale altrettanti totem iconici come il girasole in legno, insegna che campeggiava su tante strade della penisola tra gli anni ‘50 e ‘60. La seconda sezione è incentrata sui tessuti venduti e abbraccia sia i decenni della moda su misura che quelli segnati dall’avvento del prêt-à-porter”

Il suo primo negozio di stoffe, Lorenzo Galtrucco lo inaugura nel 1885 a Robbio Lomellina, nel Pavese, cui segue quello di Novara. Alla sua morte i figli continuano l’attività aprendo punti vendita a Torino, Milano, Trieste, Genova e Roma.

Per quello di Milano, siamo nel 1923, scelgono il Palazzo dei Portici Meridionali, che si affaccia su Piazza Duomo e su via Mazzini, firmato dal bolognese Giuseppe Mengoni, lo stesso architetto e ingegnere autore della Galleria Vittorio Emanuele e del progetto della piazza più importante del capoluogo lombardo, ancora oggi la più grande d’Italia.

Con affaccio dunque sul salotto della città, il negozio Galtrucco, tenace, resiliente, ha sede lì per settantotto anni, fino alla chiusura definitiva nell’autunno del 2001, superando la distruzione causata dai bombardamenti della RAF (che danneggiarono i palazzi di Piazza Duomo e la Galleria nella notte tra il 7 e l’8 agosto 1943) e il devastante incendio che lo investì il 5 marzo 1973.

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1864. Nuova piazza del Duomo ed adiacenze”, assonometria del progetto definitivo di Giuseppe Mengoni. La freccia rossa indica la posizione del negozio Galtrucco nel Palazzo dei Portici Meridionali; a destra le sue vetrine in una foto degli anni cinquanta, con i pezzi di arredo disegnati dall'architetto Guglielmo Ulrich, 1949. Oggi, al loro posto ci sono quelle di Mondadori.

Nel 1933, quest’azienda, protagonista di modernità, come ebbe a definirla Philippe Daverio, bandirà un concorso su Domus, una delle due maggiori riviste di architettura e di arredamento del tempo, fondata e diretta da Gio Ponti.

A vincerlo saranno in tre, tra questi i neonati BBPR (Banfi, Belgioioso, Peressutti e Rogers) autori, tra l’altro, della Torre Velasca, uno dei due più bei grattacieli di Milano, insieme al Pirellone di Ponti.

Ma la Galtrucco preferirà affidare a Guglielmo Ulrich il progetto, ben descritto sul nr. 79 della stessa Domus: “Banchi e scaffali in legno teak, pergamena e linoleum lucidato tonalità avorio – pareti e soffitto in intonaco Terranova – lesene a specchi – cornici in pelle – pannelli delle vetrine in lana – copriradiatori in cristallo e rame”. È Ulrich, allievo di Gaetano Moretti e di Piero Portaluppi, erede del loro amore per il dettaglio, il progettista di tutti gli spazi interni (sale di vendita, scale, salottini e gallerie) e dei singoli arredi del negozio di Milano. Per la produzione dei mobili da lui progettati, molto richiesti dalla clientela milanese (persino dai Necchi), negli anni trenta Ulrich fonderà addirittura la società ArCa (Arredamento Casa), così da sovrintenderne personalmente la cura dei particolari e la precisione esecutiva. I suoi mobili erano esposti in Via Montenapoleone nel negozio Scaglia.

Sarà in seguito sempre Ulrich, ormai divenuto l’architetto di fiducia della borghesia imprenditoriale milanese, a definire quell’immagine aziendale che, a partire dal 1949, dopo la ricostruzione postbellica, connoterà dapprima la Galtrucco meneghina e poi anche quelle di Roma Genova e Trieste, in collaborazione con Melchiorre Bega.

Sarà Ulrich a richiedere l’intervento dello scultore Fausto Melotti, in nome di quella “unità delle arti” allora così in voga. E Melotti realizzerà sia gli elementi decorativi in maiolica sulle pareti (i pannelli detti Cartocci) che i piedestalli di sostegno dei piani di vendita in teak.

Ulrich e Bega chiameranno invece Paolo De Poli a realizzare le gambe scultoree in rame smaltato blu dei banchi di vendita del negozio di Trieste (1953), anch’esse degli autentici capolavori.

Il numero 326 di Domus del 1949 ci racconta dei materiali che hanno caratterizzato lo spazio rinnovato dello show rom milanese, esteso su mille metri quadri, tra piano terra e primo piano: scaffali di teak e noce, tende tapparelle di produzione americana, ringhiere in ottone securit, pavimenti in travertino imperiale e gomma rigata verde, corrimani in mogano lucido e quinte sempre in mogano lucido.

Come ha scritto Luca Scacchetti, per Ulrich, nella progettazione dei negozi, “è lo spazio, il suo disegno, la sua godibilità, la funzionalità a condurre il gioco, in cui conta soprattutto la capacità di rimanere impresso al pubblico, e quindi l'unicità e il carattere, prima ancora di definire la disposizione di mobili e arredi. […] Egli muove pareti, ribassa soffitti, crea sfondati, soppalchi, nicchie, passaggi, cornici, ripetizioni, scandisce ritmi, introduce variazioni e così via; in sostanza costruisce un progetto di architettura d'interni pronto ad accogliere i suoi elementi di arredo, ma in qualche modo già finito prima di essi, con mattoni, intonaci, marmi, legni e vetri. […] Così i soffitti finiscono o partono da mobili, che finiscono in nicchie del muro, esso si ricopre dello stesso legno del fronte del bancone e non si capisce ove finisca l'architettura e dove inizino gli arredi. Gli stessi banconi, ancora architettura; la dimensione non è più quella dell'arredo, ma diviene quella di un piano orizzontale architettonico, retto da gambe che sono pilastri, colonne, setti e assomigliano spesso a balaustre in pietra cui si sia allargato il parapetto. […] Nei differenti negozi di Galtrucco (Milano del 1933 e poi del 1949, con Melchiorre Bega, a Roma del 1949, a Trieste del 1953, a Torino del 1952, Genova e Novara), tutti segnati dalla scelta d'incassare, incastonare, contenere la merce (le stoffe) nel muro, costruendo vere e proprie architetture per il tessile e dove il cedimento al morbido o al leggero, ovvero alle caratteristiche più comuni del tessuto e a quella che sarebbe stata la strada più ovvia, è concesso solo ed esclusivamente nelle vetrine su strada”.

E così, nello splendido flagship milanese di Galtrucco, crogiolo di modernità, la moda si fonderà con quello che sta già assumendo il nome di design: il negozio milanese di Galtrucco è, insomma, il felice araldo di quel destino che sta già per fare di Milano la capitale italiana (e presto europea) dell’una e dell’altra disciplina.

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Gli interni del negozio di Galtrucco di Milano, gli arredi di Guglielmo Ulrich con le basi dei tavoli di vendita in maiolica e, sullo sfondo della seconda fotografia, i pannelli decorativi detti i Cartocci di Fausto Melotti.

Nella mostra a Palazzo Morando si possono ammirare alcuni dei disegni originali del progetto di Guglielmo Ulrich, insieme ad altri di uno non realizzato di Luciano Baldessari (in prestito rispettivamente dallo CSAC-Università di Parma e dagli Archivi Storici del Politecnico di Milano) accanto ad abiti d’epoca originali, provenienti dall’Archivio Galtrucco e dall’archivio Ulrich di Milano.

Sono inoltre esposti alcuni dei più di 299 figurini conservati nell’archivio Galtrucco, molti opera della disegnatrice Bruna Moretti, in arte Brunetta, collaboratrice storica del negozio milanese, che per anni, su L’Espresso, accompagnò anche la rubrica Il lato debole di Camilla Cederna. Nel negozio ricostruito dopo i bombardamenti c’era addirittura una saletta con le pareti tappezzate dai suoi disegni.

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Guglielmo Ulrich, studio per gli arredi Galtrucco, 1934; uno degli espositori per figurini presente in mostra, realizzato nel 1949.

Una sezione della mostra di Palazzo Morando è dedicata ai tessuti realizzati da Galtrucco per i grandi brand della moda internazionale. I primi furono quelli per Pino Lancetti, il sarto pittore, che Palma Bucarelli, la grandissima direttrice della GNAM di Roma convinse a fondare una propria Maison. E poi, a partire dagli anni settanta, ecco quelli per Yves Saint Laurent, per Krizia, per Chloé (taluni disegnati da Karl Legerfeld fra il 1963 e il 64, altri recuperati da Chemena Kamali dall’archivio storico dell’azienda italiana per la sua pre-collezione primavera di quest’anno) e, non da ultimi, quelli per Giorgio Armani, che pensò i suoi abiti destrutturati ante litteram, anticipando la moda del futuro, come prima di lui aveva saputo fare solamente Coco Chanel.

Come si legge nel comunicato stampa: “Gli abiti in mostra provengono in buona parte dalla collezione di Palazzo Morando | Costume Moda Immagine che ha fornito scenografici vestiti da sera, leggeri capi da giorno, eleganti completi maschili, creazioni di Germana Marucelli e di sartorie degli anni Cinquanta.
La Fondazione Antonio Ratti di Como ha prestato un modello di confezione lariana la cui seta è precisamente documentata nei campionari Galtrucco. Da Torino provengono invece tre vestiti conservati nelle raccolte di Palazzo Madama e del Liceo Artistico Aldo Passoni, a testimonianza dell’eleganza e dell’importanza della sartoria del capoluogo piemontese”.

Per saperne di più:

La ricostruzione della storia di Galtrucco offerta dalla mostra milanese è stata preceduta nel 2020 dal volume Galtrucco. Una storia milanese, curato da Enrico Mannucci, con testi di Marco Cipelletti, Philippe Daverio, Giusi Ferré, Fulvio Irace, edito da Rizzoli, pp. 256, € 60.00.

Su Guglielmo Ulrich si consiglia il fondamentale testo di Luca Scacchetti, Guglielmo Ulrich, 1904-1977, Federico Motta Editore, 2009, pp. 509.

Su Melchiorre Bega: AA.VV., Melchiorre Bega,  Architetture, Interni, Allestimenti, Silvana Editoriale/IUAV,  2023, pp.248.

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