Giovanni Pintori, la grafica è arte
C’era anche Giovanni Pintori (1912 –1999) tra gli allievi dell'ISIA (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) di Monza, unica scuola post diploma di ‘Arti e Mestieri’ allora in Italia, e scuola unica, fondata nel 1922 dalla Società Umanitaria di Milano, nella Villa Reale, un anno prima delle Biennali di Arti Decorative e Industriali Moderne, alle quali era connessa, e che diverranno poi le Triennali. In quella scuola, Pintori ebbe come compagni di studio i suoi conterranei Salvatore Fancello e Costantino Nivola. Li chiamavano i Tre sardi, come fosse il titolo di un romanzo di Dumas, tutti e tre bravissimi, i migliori della scuola, tutti e tre che han fatto poi molta strada, e tutti e tre che furono reclutati da quel talent scout che fu Adriano Olivetti.
La scuola di Monza era “quanto di più simile al Bauhaus l'Italia potesse offrire negli anni Trenta. Una scuola che si affrancava dalla Scuola d'Arte del Castello Sforzesco, baluardo di un liberty ormai monumentale che poggiava su un credo positivista. All'ISIA il pane modernista è spezzato da docenti come Edoardo Persico, Giovanni Pagano e Marcello Nizzoli che già collabora con la Olivetti”. (In merito vedi l’articolo di Saibene)
Tra gli altri, ad insegnare sia al corso di grafica, scelto da Nivola e da Pintori, che a quello di scultura, frequentato da Fancello, ci furono pure Raffaele De Grada, Pio Semenghini e Marino Marini.
Dei Tre sardi, l’unico che continuerà a lavorare per Olivetti sarà Pintori, perché Fancello purtroppo morirà in guerra mentre Nivola sarà costretto a rifugiarsi in America per sfuggire alle leggi razziali che avevano colpito sua moglie Ruth Guggenheim.
Ora, il m.a.x. museo di Chiasso dedica una mostra antologica a Giovanni Pintori, in cui sono esposti, con un criterio tematico-cronologico, oltre trecento pezzi fra schizzi, bozzetti, disegni, carte intestate, manifesti e pubblicazioni varie. Con il titolo Pubblicità come arte, che prende spunto da un pensiero di Elio Vittorini, è stata curata da Chiara Gatti e Nicoletta Ossanna Cavadini, e sarà visitabile fino al 16 febbraio (catalogo di Silvana Editoriale, con contributi di diversi studiosi; pp. 336; € 38.00). Da marzo a giugno 2025, la rassegna si sposterà poi al MAN Museo d’Arte Provincia di Nuoro, suo co-ideatore e depositario di una parte dell’archivio Pintori, che lo stesso Giovanni gli donò sul finire degli anni ottanta.
La produzione creativa del maestro oristanese del graphic design è stata piuttosto vasta, avendo spaziato dai manifesti, alle locandine, dalla corporate identity ai logotipi per le imprese, fino ai disegni per piastrelle. Già dall’età di 24 anni egli inizia a collaborare con l’Ufficio Tecnico Pubblicità Olivetti, diretto prima da Renato Zveteremich, poi dall'ingegnere-poeta Leonardo Sinisgalli, diventandone lui stesso il responsabile nel 1940 e addirittura l’Art Director dieci anni più tardi, carica che rivestirà fino al 1967, legando il suo nome all’immagine dell’azienda di Ivrea.
“L’ufficio pubblicità è nato intorno a me piano piano” ha dichiarato Pintori “perché allora non c’erano studi pubblicitari, non c’era un mestiere. Perché la pubblicità la facevano i pittori”.
Amico di Adriano Olivetti, non solamente suo collaboratore, Pintori, in quegli anni frequenta assiduamente anche il gruppo di intellettuali che gli gravitava attorno, quali Vittorio Sereni, Elio Vittorini, Giulio Einaudi, Giancarlo de Carlo, Franco Fortini, Nicola Chiaromonte, partecipando di quel clima intellettuale d’eccezione.
Per l’industria di Ivrea, Pintori ha creato il logo, manifesti, pagine pubblicitarie, insegne esterne, stand, entrati a buon diritto nella storia internazionale della grafica. Per non parlare poi degli allestimenti bisettimanali per le vetrine del negozio Olivetti di Milano, in Galleria Vittorio Emanuele diventate “un appuntamento fisso per i milanesi curiosi di conoscere i risultati della collaborazione tra letterati come Elio Vittorini e artisti come Lucio Fontana, Pintori e i suoi compagni di lavoro”. (Saibene)
Così ha dichiarato lui stesso: “Sin dai primi messaggi ho adottato un linguaggio grafico che si opponeva al gusto della stilizzazione banale che costituiva la regola della tecnica pubblicitaria di allora. Con la campagna dello Studio 42 è nata veramente la fisionomia della pubblicità Olivetti”. (G. Pintori, Memoria autobiografica, in Milano 70/70, 1972, p. 169)
L’unicità e l’assoluta modernità, anzi l’assoluta contemporaneità del linguaggio grafico di Giovanni Pintori consistono senza dubbio nel prevalere in esso del cromatismo, nel permanere nel suo segno della traccia della sua manualità, del suo gesto e nel dinamismo che presiede all’intera composizione, cui fanno spesso da struttura complesse costruzioni geometriche e una solida cultura figurativa. A un uso assolutamente creativo e innovativo del lettering e della fotografia, si aggiunge la sua propensione culturale per il modernismo e la sua predilezione per il minimalismo e per la leggerezza, avverso la ridondanza compositiva, greve di forme e di segni, che connotava invece la grafica a lui coeva. Egli, infatti, preferisce sottrarre, anziché agire per addizione, veicolando il messaggio attraverso simboli e metafore: ne risulta che l’oggetto in scena, spesso unico e solo, sempre su campo monocromo, diventa concetto. In questo consiste la sua modernità, anzi la sua atemporalità, grazie alla quale i suoi lavori non hanno perso, col trascorrere del tempo, né l’efficacia comunicativa e neppure la bellezza. Sono classici, insomma, connotati dalla kalogakathia di cui parla Platone: sono belli ed efficaci, sono immagine e sono al contempo pensiero.
A proposito del colore, così ha dichiarato lui stesso: “La grafica è un linguaggio, e il linguaggio ha bisogno di movimento: uno dei fattori fondamentali del movimento dell’opera grafica è appunto il colore, nei suoi toni, nelle sue combinazioni e nei suoi contrasti”.
Nel guardare i manifesti e le copertine di Giovanni Pintori, a me pare di percepire addirittura delle sonorità, come se segni e colori, sinesteticamente, emanassero impulsi musicali, in un crescendo che va dal silenzio quasi metafisico della Studio 42, fino allo scoppiettio pirotecnico della Tetractys, passando attraverso il suono tamburellante del pallottoliere di Elettrosumma 14; il sottofondo dei rumori metropolitani, clacson compresi, di Number; fino allo scroscio degli zampilli della Lettera 22; ai suoni xilofonici del typing della Lexikon e a quelli già heavy metal della Diaspron. Tanto per citarne qualcuno.
Pintori inoltre fu autore di nuovi alfabeti di caratteri dattilografici e progettò numerose copertine del periodico Notizie Olivetti, diretto da Libero Bigiaretti, per il quale scrisse pure alcuni articoli e, tra il 1951 e il 1969, firmò diciannove edizioni del famoso calendario Olivetti (che ha anticipato di dieci anni quello di Pirelli), dedicato a temi e protagonisti del mondo dell’arte. In quello di Georges Braque (1958), fu lo stesso Braque a scegliere le immagini per ogni mese, (cfr. G. Pintori, Visita a Braque, in Notizie Olivetti, 1957, p. 24).
Pintori amava la pittura e non ha mai smesso di dipingere, anche se lo faceva in segreto, tuttavia non voleva che le due attività quella di grafico e quella di pittore si confondessero. Così ha dichiarato: “Non ho mai confuso, né tentato di confondere il linguaggio della pubblicità grafica con il linguaggio della pittura, per la ragione fondamentale che credo nel valore autonomo e nella dignità artistica dei grafici”. E ancora: “Amo il mio lavoro, con il quale esprimo me stesso, precisamente come i miei amici pittori, scultori e architetti esprimono sé stessi nel linguaggio delle loro arti”.
“Pubblicità come arte”, era lo slogan creato da Elio Vittorini nel 1939 nella famosa introduzione al volume voluto da Adriano Olivetti per diffondere i criteri guida della campagna pubblicitaria di quell’anno. “Certo, dietro queste tavole” ha scritto Vittorini, “c’è uno scopo che resta, in definitiva, quello comune di ogni pubblicità. Pure, gli autori delle tavole hanno lavorato senza tenerlo presente, tenendone presente uno molto più immediato: creare immagini che riuscissero a durare nell’uomo e a vivere in lui. È lo stesso scopo altamente ambizioso di un poeta o di un pittore. Ma se solo l’arte può qualificare, e far durare, far vivere, ottenere l’impegno dell’uomo, la pubblicità deve essere arte”.
La stagione di Pintori con Olivetti si conclude nel 1967, con una sua mostra personale a Tokio, anche se per un certo periodo egli continuerà a collaborare con l’industria di Ivrea come professionista esterno. Da quella data, realizzerà progetti per Pirelli, Gabbianelli, Ambrosetti e Parchi Liguria e dal 1981 collaborerà anche con l’azienda di trasporti Merzario, sebbene da questa decade fino alla morte preferirà dedicarsi alla pittura, come se nel suo nome Pintori ci fosse scritto il suo destino: Nomen omen. O meglio, per dirla con Vittorio Sereni:
“Pintori, bel nome per uno che fa il grafico con un senso squisito del colore e che in segreto dipinge.
[… ] All’uomo, tolta qualche ferma convinzione e una precisa coscienza professionale, non si cavano molte parole sul suo lavoro e sul significato che gli annette. Interrogato in proposito vi dirà tutt’al più che ‘la grafica non è sottopittura’, ma semplicemente altra cosa dalla pittura, con un suo linguaggio autonomo e in rapporto sì con la pittura, ma che non sia ‘di contaminazione o di tentazione pittorica’. Vi lascerà capire che dicendo questo non intende la grafica pubblicitaria come un’arte applicata, ma proprio come un’arte di cui avverte il condizionamento d’origine e insieme la possibilità di liberare le risorse latenti contenute nell’oggetto o prodotto che le viene proposto.” (Prove per un ritratto, in rivista Pirelli, XXI, 1968)
Nella sua lunga carriera, con i suoi lavori Pintori ha partecipato a mostre prestigiose in tutto il mondo e ha conseguito numerosi premi e riconoscimenti internazionali. Dal 1953 è entrato a far parte dell’AGI (Alliance Graphique Internationale) di cui diventerà presidente per l’Italia e nel 1984, la rivista giapponese Idea lo ha inserito nell’elenco dei trenta designer più influenti al mondo.
L’evento espositivo svizzero ha visto la collaborazione delle istituzioni prestatrici, fra le quali l’Associazione Archivio Storico Olivetti e Fondazione Adriano Olivetti di Ivrea, i Musei Civici di Monza, oltre ad aver beneficiato di importanti prestiti di collezioni private, fra le quali quella del figlio Paolo Pintori.
Insieme ai manifesti, alle copertine di libri e riviste, alle fotografie, la rassegna propone una ricchissima raccolta di bozzetti e di disegni preparatori che permettono di seguire, passo, passo, l’iter creativo di ogni lavoro, in un trionfo di colori e di invenzioni geniali che lasciano ancora oggi a bocca aperta per la loro modernità.
Vorrei concludere con una nota privata, con un ricordo personale dell’opera di questo straordinario artista. Un suo lavoro, infatti, ha accompagnato la mia adolescenza fin oltre la soglia dell’età adulta ed è riferita alla sua collaborazione con le ceramiche Gabbianelli, di cui aveva ridisegnato il logo e progettato il decoro di molte piastrelle. Una di queste, disposta in sequenza lineare a formare una greca all’altezza dello sguardo sulle pareti azzurre del mio bagno di ragazza, ha salutato l’inizio di ogni mia giornata. Dipinta a mano con un motivo a vortice, disegnato direttamente con il colore, recava ancora in sé la traccia del gesto dell’artista, la cui intensità ed energia ho imparato ad amare fin da allora. Richiamava l’idea del gorgo, del vortice, delle polluzioni dell’acqua sorgiva, ma anche il moto ondoso, in un continuo divenire che aveva la cifra del panta rei di Eraclito. O almeno, a me, fresca di studi classici, lo suggeriva e mi faceva iniziare bene la giornata. Potere evocativo dell’immagine che Giovanni Pintori conosceva molto bene e di cui si avvaleva con delicata maestria.
Ho trovato traccia di questa piastrella nell’archivio del Centro di Documentazione dell'Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica di Sassuolo e mi piace condividerla qui.
In copertina, Giovanni Pintori ritratto nel suo studio milanese, 1960/70; ph. Ugo Mulas.