Cini Boeri, il film di una vita

9 Aprile 2025

‘La Cini’, come era chiamata nell’ambiente degli architetti milanesi Maria Cristina Mariani Dameno, coniugata Boeri (1924-2020), “nelle case in cui ha vissuto ha sempre voluto vedere fuori”.

A dichiararlo è Tito, uno dei suoi tre figli, all'autrice della piccola monografia che la collana Oilà dedica alle donne. La edita Electa, con la direzione di Chiara Alessi e progetto grafico di Leonardo Sonnoli. Oilà “è un'esclamazione rivolta alle donne e al loro lavoro” si legge sulla quarta di copertina. “Il titolo riprende una celebre strofa della canzone socialista La lega, poi entrata nel repertorio delle mondine”.

E mai collana avrebbe potuto essere più appropriata per l’architettrice partigiana (leggi qui su Doppiozero) quale è stata Cini Boeri. Il piccolo volume (pp. 96, € 12,00) si intitola Con assoluta autonomia ed è firmato da Cristina Moro, da qualche anno impegnata a ordinare e a catalogare l’immenso archivio della Cini.

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Copertine del libro di Cristina Moro e del documentario di Maddalena Bregani dedicati a Cini Boeri.

“In lei è sempre rimasto costante”, scrive la Moro “il desiderio di poter osservare la potenza dell’esterno, la connessione con il fuori, che può ancorare alla realtà o metterla in pausa, come gli scontri dei manifestanti visti dalle finestre su piazza Sant’Ambrogio o come il mare contemplato in silenzio dalla Casa Bunker, con l’immancabile sigaretta fra le dita”.

Mi piacerebbe chiamare spaziosità, in senso longhiano, questa attitudine della progettista milanese, presente in molti dei suoi lavori, non solamente di architettura ma anche di design, che corrisponde alla sua necessità interiore di ‘guardare oltre’, se riferito alle case, ma anche di ‘guardare attraverso’, se riferito alle cose.

Delle case ha ben detto la Moro, delle cose, si può riscontrare questa attitudine nel suo oggetto di design più famoso, la poltrona Ghost, realizzata per Fiam Italia, nel 1987, in collaborazione con Tomu Katayanagi, generata da un solo foglio di vetro curvato e piegato, la cui trasparenza si lascia attraversare dallo sguardo. Ma la si può riscontrare anche in un altro suo progetto, di un anno più giovane, la Libreria girevole da tavolo in legno di pero, prodotta da Pierluigi Ghianda e caratterizzata anch’essa dalla spaziosità, per la quale, come nella miglior tradizione dello spazialismo milanese di Fontana e degli altri, non vi è alcun diaframma che separi l’al-di-qua dall’al-di-là delle baguette che delimitano il profilo dell’oggetto, ma anch’esse si lasciano attraversare dallo spazio, dall'aria e quindi dallo sguardo.

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Cini Boeri seduta sulla sua poltrona Ghost, prodotta da Fiam, 1987; Libreria girevole da tavolo in legno di pero, prodotta da Pierluigi Ghianda, 1986.

Oltre ad essere stata una delle prime donne a laurearsi in architettura al Politecnico di Milano (insieme ad Anna Ferrieri, a Franca Helg e a Gae Aulenti) e ad essere stata una delle più rinomate e talentuose professioniste di caratura internazionale, Cini Boeri ha generato tre figli altrettanto geniali e famosi: Sandro (1950), giornalista pluripremiato; Stefano (1956), archistar di fama mondiale e attualmente presidente di Triennale; Tito (1958), celebre economista, professore e direttore del Dipartimento di Economia della  Bocconi.

Se l’architettrice milanese fosse vissuta, nel 2024 avrebbe compiuto cento anni.

Lo scorso aprile, per celebrare il suo compleanno, la Triennale, in collaborazione con l’Archivio Cini Boeri, diretto dai suoi nipoti Giulia e Antonio Boeri, e con l’Area Biblioteche del Comune di Milano, le ha dedicato una mostra, intitolata Cini Boeri nella Biblioteca del Parco. Curata dalla stessa Cristina Moro è stata allestita nella Biblioteca del Parco Sempione, in quello straordinario edificio ‘sperimentale’, per fortuna non demolito come purtroppo lo furono molti altri costruiti in occasione delle varie Triennali, questo progettato quale ‘Padiglione di soggiorno’ da Ico Parisi e Silvio Longhi nel 1954, in occasione della X edizione dell’esposizione internazionale.

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Uno scorcio della mostra dedicata a Cini Boeri, allestita da Triennale dal 15 al 28 aprile 2024 nella Biblioteca del Parco Sempione; a sinistra la libreria girevole.

E il 19 dicembre scorso, alla Fondazione Prada, è stato presentato al pubblico il documentario La casa di Cini Boeri, per la regia di Maddalena Bregani, in cui, nell’arco di un’ora, si narra delle ‘case’ in cui la Cini ha vissuto e lavorato, e di quelle che ha progettato, a partire dalla sua abitazione storica, in Piazza Sant’Ambrogio a Milano, fino al suo buen retiro, la casa-bunker, da lei progettata sull’isola della Maddalena, dove era solita rifugiarsi, per fuggire dalle frenesie milanesi, per pensare, per progettare, per disegnare, per essere un tutt'uno con il cielo e con il mare e per godersi la crescita dei suoi figli.

Prodotto da The Blink Fish, in collaborazione con l’Archivio Cini Boeri e con il Comune di Milano, il docufilm raccoglie suoi frammenti di vita “a partire dai racconti e dai ricordi di chi è stato al suo fianco tra relazioni professionali, intellettuali e affettive”.

Accanto alle voci dei suoi figli e dei suoi nipoti, ci sono quelle della giornalista Chiara Dal Canto, dell’architettrice Laura Griziotti, dell’architetto Rem Koolhaas, della studiosa di Design Chiara Alessi, della designer Petra Blaisse, della curatrice del dipartimento di Design e Architettura del Museum of Modern Arts di New York Paola Antonelli e del musicista Ludovico Einaudi, amico di famiglia della Cini. Qualche anno fa le voci avrebbero potuto essere molte, ma molte di più, per esempio, avrebbero potuto esserci quelle degli amici e dei collaboratori suoi coetanei, ma si sa, tempus fugit e se le è portate tutte via con sé.

Nel docufilm, Chiara Alessi, seduta al centro del Triennale Design Museum, tra i pezzi iconici del Good Design italiano, ci racconta del fondamentale apporto della Cini a questa disciplina.

“Cini Boeri è milanesissima, anche i suoi studi sono milanesissimi. Lei prima frequenta il Liceo Manzoni e poi si laurea al Politecnico nel 1951. Ma ancora prima di discutere la tesi di laurea, viene invitata nello studio di Gio Ponti, con questa lettera che è conservata nel suo Archivio:

Gentile Cini,
ha voglia di lavorare?
È sgobbona?
Si sente di sgobbare?
Se sì, mi telefoni lunedì.”

E la coraggiosa rispose.

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Dopo Ponti, Cini Boeri lavora alla Philco, una società americana che importava in Italia le prime cucine componibili. Un giorno, ad un Salone del Mobile, Marco Zanuso la invita a collaborare con lui. Nello studio di Zanuso, la Cini rimane dodici anni, prima di mettersi in proprio e aprire uno studio tutto suo. Naturalmente, in Piazza Sant’Ambrogio.

Da Zanuso, Cini Boeri dichiara di aver appreso una lezione importante, quella di un’architettura pensata per assolvere ai bisogni della società e aggiunge: “I valori che ho trasmesso ai miei figli sono i valori del sessantotto, del settanta. I valori per i quali loro lottavano erano valori reali. Ciò che andava demolito, andava veramente demolito. Se io avevo una matita in mano e progettavo, questa era la mia arma”.

“Gli anni della ricostruzione”, continua poi la Alessi mentre nel film scorrono le immagini di Milano, della Torre Velasca, del grattacielo Pirelli, delle piazze e delle strade cittadine “sono anni di grande ottimismo. C’è un impegno del mondo della cultura, della società civile, del mondo delle aziende e naturalmente del mondo del progetto a creare una nuova città. Cini Boeri lavora tantissimo anche nel design. Fa più di duecento progetti. Il suo è un design che se da una parte eredita la scuola di Zanuso, il modernismo, il bel design, il rigore, la funzionalità, il razionalismo, dall’altra parte rompe completamente con questo canone, introducendo degli elementi che costringono a capire che qualcosa sta cambiando. Quando progetta il Serpentone, dice:

Ho progettato un divano da cui i vecchi [intendendo i vecchi di mentalità], sarebbero caduti”.

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Del Serpentone, nel filmato ci parla anche Laura Griziotti, collaboratrice storica della Cini: “Il Serpentone non ha bisogno di rivestimento. È un divano stampato con un cuore di poliuretano rigido e delle lamelle che permettevano di modulare la seduta”.

“È una struttura a fisarmonica” aggiunge la Cini “che dava la possibilità di curvarlo in una maniera o nell’altra con estrema facilità. Questo voleva dire muoverlo nel soggiorno come si voleva. Farne due pezzi, con un raggio di un metro o di due metri, quindi con una forma più raccolta o meno raccolta, per più persone, per meno persone”.

Si tratta, dunque, ancora una volta, di un progetto d’arredo che ha a che fare con lo spazio, che non si ‘adatta’ semplicemente ad esso, come accade con gli arredi comuni, persino con quelli di design, ma lo crea, imponendosi plasticamente quasi fosse una architettura nell’architettura.

Nel docufilm della Bregani le voci e le immagini di oggi si intrecciano con quelle della protagonista, registrate e riprese in vari momenti della sua vita, ma soprattutto tratte da una sua conversazione filmata nel 2003 nella storica casa in Sant’Ambrogio dal critico d’arte Hans Ulrich Obtist, in un montaggio che agli occhi di noi pubblico fa apparire gli eventi come se accadessero in un eterno presente, al punto che, usciti dal locale dove si è proiettato il film, ci si aspetterebbe di imbattersi nella protagonista, uscita fuori prima di noi a fumarsi una sigaretta.

Era bella la Cini, oltre che brava, ma soprattutto era sgobbona, come piaceva a Gio Ponti, con il quale aveva iniziato la propria carriera professionale e del quale ha detto lei stessa: “era abbastanza differente dagli altri, era un uomo molto poetico, aveva un senso dell’arte e della poesia notevole. Per noi era una luce”.

Ecco, questo senso dell’arte e della poesia, questa luce che lei ha amato nel suo maestro sono stati spesso anche i tratti distintivi del suo lavoro. Soprattutto nella casa Bunker, così chiamata dagli abitanti del luogo, poi questo nome, che a lei era piaciuto, alla casa è rimasto. L’ha realizzata nel 1966 lungo il litorale scoglioso della Maddalena, sul Golfo dell'Abbatoggia, quasi roccia essa stessa, faraglionica emergenza in perenne colloquio con il flusso delle onde.

Di questa casa ha detto lei stessa: "La casa Bunker sintetizza al meglio il mio modo di pensare. La pianta ha quattro stanze, ognuna con il proprio bagnetto e una propria uscita verso il mare. Il mio concetto di abitazione è stato sempre questo: massima autonomia, cioè piena responsabilità nella fruizione degli spazi", sia collettivi che ad uso privato.

Nel film della Bregani, il genius loci di questa architettura si percepisce appieno.
C’è una scena in cui l’avvicinamento dal mare, l’approdo, ci fa arrivare lì con l’animo di un Ulisse che sbarchi finalmente ad Itaca.
Ma, è Itaca, o è la Maddalena?
In ogni caso, è casa, una casa da sogno.

Il film di Maddalena Bregani La casa di Cini Boeri sarà proiettato presso il Cinema Anteo dal 09 al 25 aprile, alle ore 20, in occasione della MILANO DESIGN WEEK 2025.

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