Sir William Hamilton a Napoli
Nel settecento Napoli era più grande di Roma, era la città più ricca e popolosa della penisola italiana e, dopo Parigi, la seconda città più ricca e popolosa del continente europeo.
Ma, in quel secolo, Napoli è stata anche una capitale culturale d’Europa, in primis dell'archeologia, con le scoperte e gli scavi nei siti di Ercolano (1738) e di Pompei (1748) che hanno visto più volte la presenza in città di colui che fonderà in chiave moderna questa disciplina e, addirittura, la storia dell’arte: Johann Joachim Winckelmann.
Napoli, con il teatro d'opera più antico del mondo, è stata pure la capitale mondiale della musica del tempo, con la cosiddetta scuola musicale napoletana che vanta calibri quali Giovanni Pergolesi, Domenico Cimarosa, Giovanni Pacini, Giovanni Paisiello, Leonardo Leo, Niccolò Jommelli, senza parlare dei suoi conservatori (quattro dei quali istituiti nel cinquecento con la missione filantropico-sociale di tenere lontani i bambini poveri dalla strada educandoli al bel canto). Una capitale alla quale hanno guardato persino Händel, Haydn e Mozart, che, nel 1778, le ha persino reso omaggio ambientando proprio a Napoli e sulla sua costiera Così fan tutte. (Aveva scritto: “Ho un’indescrivibile brama di scrivere ancora una volta un’opera e quando avrò scritto l’opera per Napoli, mi si ricercherà ovunque… Con un’opera a Napoli ci si fa più onore e credito che non tenendo cento concerti in Germania.” E ha avuto ragione.)
Inoltre, la Napoli del XVIII secolo fu una delle mete più gettonate del Grand Tour, seconda solo a Roma, che non attirava esclusivamente i rampolli dell’alta società europea, ma anche savants, intellettuali e scienziati, interessati al Vesuvio e ai Campi Flegrei, e persino collezionisti di reperti antichi e di opere d’arte. È di uno di questi ultimi, il più illustre, di cui qui di seguito si dirà.
Né va omesso di ricordare che a reggere le sorti del regno ci fu Carlo di Borbone, un monarca illuminato, fautore delle arti, che, oltre ad aver promosso gli scavi di Pompei e di Ercolano, la fondazione dell’arazzeria napoletana, la fabbrica di arazzi presto divenuti famosi in tutto il mondo, nonché quella delle porcellane di Capodimonte e delle Scuole di Stato come l’Accademia napoletana del Disegno, istituì nella Villa Reale di Portici il Museo che raccoglieva i reperti di scavo rinvenuti nei due importanti siti archeologici, valorizzato dall’Accademia Ercolanese da lui stesso fondata e da questa raccolti nel fondamentale regesto in otto volumi, Antichità di Ercolano Esposte, pubblicati tra il 1757 e il 1792.
Ma Carlo di Borbone dopo quella di Portici, promosse pure la costruzione delle Regge di Capodimonte e di Caserta, del Real Albergo dei Poveri e, ovviamente, del Teatro San Carlo. Il che equivale a dire che in città si trovarono ad operare architetti del calibro del Vanvitelli, di Ferdinando Fuga, di Ferdinando Sanfelice, di Jacques-Germain Sufflot e molti altri.
Persino al debole figlio di Carlo, Ferdinando IV di Borbone, si deve qualcosa di eccellente in campo artistico, come il trasferimento in Palazzo Reale della fabbrica di arazzi e la fondazione della manifattura delle sete di San Leucio, concepita come una sorta di città ideale, oggi inscritta nel patrimonio dell’umanità UNESCO.
Come non ricordare, poi, la presenza a Napoli di Antonio Canova e di Giovanni Battista Piranesi? Inoltre, è a tutti noto come la descrizione delle bellezze artistiche di Napoli, presente nei diari di viaggio di molti voyageurs, rasenti il sublime nelle pagine di Goethe e in quelle di Stendhal.
Ma è di sir William Hamilton (1734-1803) che si vuole parlare. Per ben 34 anni, egli fu ambasciatore della monarchia inglese presso la corte di Ferdinando di Borbone, con le sue due mogli, prima Catherine Barlow e poi Emma Lyon.
Recenti studi hanno addirittura dimostrato come alla formazione del gusto classico che ha caratterizzato il XVIII secolo abbia concorso in modo determinante il tipo di educazione ricevuta dai giovani britannici e alla loro esperienza del Grand Tour, riconoscendo a sir William e alla sua attività di collezionista, di promotore culturale e di mercante d’arte un ruolo fondamentale. Siamo dunque di fronte a una figura di primo piano nella formazione del cosiddetto “gusto neoclassico” come lo ebbe a chiamare Mario Praz nel suo omonimo e imprescindibile saggio.
Ora, la mostra promossa da Intesa Sanpaolo, visitabile fino al 2 marzo 2025, alle Gallerie d’Italia di Via Toledo 177, intitolata Sir William e Lady Hamilton, curata da Francesco Leone e da Fernando Mazzocca (catalogo Skira Arte, pp. 271; € 39.00) ci offre l’occasione per approfondire la conoscenza di questo straordinario personaggio, in cui l’interesse antiquario si intrecciava con quello naturalistico, e ci permette anche di ammirare l’eleganza, la modernità, il cosmopolitismo e la raffinatezza della cultura napoletana coeva.
Nella rassegna, realizzata con il sostegno dell’Ambasciata britannica a Roma e dell’Ambasciata d’Italia a Londra e con il patrocinio del Comune di Napoli e dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, sono esposte 78 opere tra dipinti, ceramiche, sculture e manifatture provenienti da collezioni private e da importanti musei nazionali e internazionali che ci restituiscono pienamente il fascino di quella straordinaria stagione.
Figlio cadetto dello scozzese Lord Archibald Hamilton, governatore della Giamaica, e di Lady Jane Hamilton, figlia a sua volta del sesto conte di Abercorn e favorita di Frederick, Principe di Galles, ‘fratello di latte’ di re Giorgio d’Inghilterra (in quanto entrambi allattati dalla stessa balia), sir William si è formato al Royal College of St. Peter a Westminster, meglio noto come Westminster School, nel tradizionale sistema educativo britannico fondato sull’insegnamento della grammatica latina e sulla traduzione dei classici latini e greci che, come abbiamo detto, sarà alla base della nascita e dell’affermazione del gusto classico settecentesco. Per sempre cultore della classicità, anche sir William, così come molti suoi contemporanei, fu affascinato dallo spettacolo pirocrastico del Vesuvio e dei Campi Flegrei, affidandone al pittore Pietro Fabris la rappresentazione figurativa in un ciclo di tavole di detonante bellezza, poi raccolte in volumi intitolati Campi Phlegraei editi a Napoli nel 1776. Ad essi si aggiungerà nel 1779 un supplemento con un Account of the Great Eruption of Mount Vesuvius, illustrato da un’équipe guidata dallo stesso Pietro Fabris, che fu anche l’accompagnatore di Lord William nelle escursioni sul Vesuvio e sull’Etna.
La residenza privata di sir Hamilton in città, ed anche sede diplomatica dell’ambasciata britannica, era nel Palazzo di Giuseppe Paternò, marchese Sessa, di cui il lord inglese era affittuario. Situata nel prestigioso quartiere San Ferdinando (a Via Santa Maria a Cappella vecchia), come tutte le dimore nobiliari sorte in quel rione, urbanizzato tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento, godeva di una splendida vista sul Golfo di Napoli. Per poterne meglio beneficiare, sir William, emulo degli usi della nobiltà partenopea, fece costruire all'ultimo piano del palazzo una bow-window che guardava alla Riviera di Chiaja. Il modo di arredare le dimore degli inglesi residenti a Napoli nel XVIII secolo, e dunque anche casa Hamilton, frequentata non solo dai viaggiatori suoi connazionali, ma anche da famosi stranieri, come Casanova, Goethe e Mozart, si può ammirare in due ritratti, visibili in mostra, eseguiti da David Allan durante il suo soggiorno napoletano, Sir William Hamilton e Catherine Hamilton nel loro appartamento a Napoli, datato 1770 e Ritratto di sir William Hamilton, datato 1775, nonché in due dipinti di Pietro Fabris raffiguranti una Scena di scherma e un Concerto nel salone della casa napoletana di Lord Fortrose, amico degli Hamilton.
Così F. Hacker nel suo saggio, scritto in occasione della imprescindibile mostra Civiltà del ‘700 a Napoli, tenutasi a Capodimonte nel 1979:
“Il Palazzo Sessa sotto Pizzofalcone, dove [sir William] visse e conservò le sue collezioni di vasi per trentaquattro anni, fu visitato da ogni importante viaggiatore a Napoli. Non è esagerato considerarlo come il centro culturale della città, e più di ogni altro collezionista privato, Hamilton contribuì a rendere Napoli famosa come centro di studi sulla antichità e di vita internazionale.”
Nella sua collezione i vasi greci arrivarono ad ammontare a settecentotrenta esemplari. La sua raccolta “era aperta ai visitatori e in particolare agli artisti, perché potessero trarre ispirazione e giovamento da questi nuovi esempi di buon gusto antico.” (F. Mazzocca)
Il pittore tedesco Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, amico di Goethe, nel suo Della mia vita: viaggi e soggiorno a Napoli, così la descrive:
“La sua casa, luogo di riunione di tutta la gente di gusto, era adorna d'arte di ogni specie. Universalmente famosa è la sua collezione di vasi, in cui investiva molto, per allargare la conoscenza del buon gusto del disegno greco. All'inizio ne aveva solo pochi, che mi mostrava spesso con grande gioia, esaltando la semplicità e tuttavia la grande profondità di sentimenti delle loro raffigurazioni. Aveva anche cammei e quadri antichi. […]
Un'altra stanza con balcone, che stava al piano superiore in quell'angolo da cui si gode l'ampio panorama sul golfo, era stata da lui stesso costruita e adornata in modo ingegnoso e sorprendente. Il balcone andava tutt'intorno all'angolo così che in quel semicerchio si abbracciava un panorama immenso; l'altro semicerchio era composto dalle pareti interne della stanza. Queste e le porte erano ricoperte di grandi specchi, in cui si rifletteva il circondario. Se ci si sedeva sui divani che erano disposti tutti in giro, si credeva di star seduti all'aperto su di un cocuzzolo roccioso al di sopra del mare e della terra. Questo era il luogo prediletto di Hamilton, nel quale era solito leggere.”
Nella Biblioteca Nazionale di Napoli si conserva un disegno datato 1782 con a margine questa didascalia: ‘Pianta del Cabinetto, o Loggia con divano esposta a Mezzogiorno nell’appartamento superiore del Palazzo del Cavalier Amilton Ministro plenipotenziario del Re d'Inghilterra presso S. M. il Re delle due Sicilie in Napoli.’ Il progetto è a firma dello stesso sir William.
Persino Goethe restò ammaliato dal panorama che si godeva da lassù, al punto da avere scritto: “La vista può dirsi senza uguali: ai nostri piedi il mare, di fronte Capri, a destra Posillipo, sul fianco la passeggiata della Villa Reale, a sinistra un vecchio palazzo dei Gesuiti e, più lontano, la costa di Sorrento fino a Capo Minerva. Difficilmente si troverebbe qualcosa di somigliante in Europa.”
“Fu da questo ambiente che Giovanni Battista Lusieri, l’artista romano prediletto da Hamilton giunto a Napoli tra il 1781 e il 1782, dipinse all’acquerello tra il 1789 e il 1791 il primo e più straordinario panorama che la storia dell'arte ci ha tramandato. Il dipinto, dispiegato su sei fogli di carta che sviluppano quasi tre metri di lunghezza e realizzato con l’intersezione di coni ottici, fu ultimato nel giugno del 1791 e spedito immediatamente in Inghilterra. Hamilton, forse, voleva mostrare ai suoi amici inglesi la meraviglia del luogo dove aveva scelto di vivere per sempre.” (F. Leone)
In realtà quest’opera era parte di un dittico, l’altra veduta dalla stessa bow-window era rivolta a destra e ritraeva la Certosa di San Martino e Castel Sant’Elmo. Nota dai documenti, purtroppo oggi è perduta.
La terrazza di Palazzo Sessa, frequentata da Giovanni Battista Lusieri, da Thomas Jones e da John Robert Cozens, fu teatro di sperimentazioni pittoriche sui generi artistici della veduta e del paesaggio che hanno dato vita a “una nuova concezione della pittura ‘on the spot’ che ha anticipato l’Ottocento” (F. Leone)
E nella rassegna alle Gallerie d’Italia molte di queste sono esposte in mostra, insieme a quelle di Joseph Wright of Derby e di Saverio Della Gatta e a quelle di altri artisti spesso ospiti di sir William e comunque da lui sempre incoraggiati. Si può anzi affermare che sia stato merito dell’interesse dell’ambasciatore britannico per questo genere pittorico se Napoli divenne uno dei più fecondi laboratori della creazione del paesaggio moderno.
Fu poi Lord Hamilton a suggerire, nel 1785, alla regina Maria Carolina d’Asburgo Lorena, moglie di Ferdinando di Borbone, figlia dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e sorella della regina di Francia Maria Antonietta, la creazione di un giardino all’inglese nel parco della Reggia di Caserta, seguendone lui stesso anche la realizzazione. “Fu lui, consigliatosi a Londra con il famoso naturalista Sir Joseph Banks, a lungo presidente della Royal Society, a scegliere il botanico e giardiniere John Andrew Graefer per realizzare il progetto.” (F. Leone) Per la parte delle architetture, vi collaborò Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi. Pare che la regina fosse entusiasta dell’idea di questo giardino, nel quale investì il suo patrimonio personale, perché con esso sperava di oscurare il Petit Trianon di Versailles, commissionato da sua sorella Maria Antonietta.
Per contribuire alla diffusione della conoscenza della bellezza, nel 1772 sir William, da quello stesso anno membro della Society of Antiquaries, aveva deciso di vendere la sua prima collezione di vasi al British Museum (la venderà per ottomila sterline, con il contributo economico offerto dal Parlamento britannico), non prima di averli però censiti e riprodotti. Ne nacquero i quattro famosissimi volumi Antiquités étrusques, grecques et romaines. Tirées du cabinet de M. Hamilton, che contenevano 436 tavole incise, di cui 179 acquarellate in rosso e nero con ritocchi in bianco e azzurro. L’opera, realizzata nella stamperia di Francesco Morelli a Napoli tra il 1767 e il 1776, suscitò un impatto formidabile sulla successiva produzione delle Arti Decorative, in modo particolare sui vasi dei due geniali fabbricanti di ceramiche inglesi Josiah e Thomas Wedgwood.
“Per l’indisponibilità di Winkelmann, cui in un primo tempo Hamilton si era rivolto, la grandiosa impresa venne affidata a Pierre-François Hugues, conosciuto come il barone d’Hancarville, una di quelle geniali e affascinanti figure di avventurieri che hanno attraversato il secolo di Cagliostro e di Casanova. […] L’eccellente veste tipografica, l’assoluta qualità delle illustrazioni realizzate da una esperta équipe di incisori e acquarellisti cui aveva fornito quasi tutti i disegni l’ancora poco noto, se non per il suo impiego nell’arazzeria, Giuseppe Bracci, arrivarono a un tale risultato da impressionare Winckelmann che, dichiarando che non s’era mai pubblicata un’opera di tale specie, ne riconosceva l’originalità anche per il fatto che poteva fornire un decisivo contributo al perfezionamento dell’arte moderna.” (F. Mazzocca)
Fu in seguito alla conoscenza di quest’opera che Winckelmann tornò a Napoli nel 1767, ospite dell’Hancarville, il quale lo accompagnò a visitare tutti i siti archeologici campani, primi fra tutti Ercolano e Pompei.
Così ha dichiarato lo studioso tedesco: “Il celebre preteso barone d’Hancarville mi è stato di non poco giovamento nelle mie ricerche, come pure l’ambasciatore inglese Hamilton, grande amatore e conoscitore di antiquaria, con cui ho fatto vari piccoli viaggi.” Purtroppo Winckelmann, che pure aveva deciso di occuparsi dei vasi di Hamilton non poté farlo, perché fu assassinato l’anno successivo, a Trieste, per mano di un ladro (oppure fu vittima di un complotto politico? Le indagini continuano).
Nel 1782 era morta la prima, amatissima, moglie di sir William, Lady Catherine Barlow. Questi, dopo un lungo periodo di vedovanza, si risposò nel 1791 con Emma Lyon, più giovane di lui di 31 anni. Emma, ex cameriera, ex ballerina, ex attrice e modella prediletta del ritrattista inglese George Romney, era stata l’amante del nipote di sir William, Charles Francis Greville, il quale, volendosi liberare di lei in vista del proprio matrimonio con una nobildonna, nell’aprile del 1786 l’aveva mandata a Napoli, perché tenesse compagnia allo zio. La bellissima Emma ottenne un grande successo personale alla corte di Napoli, diventando ‘intima’ della regina Maria Carolina. Si dice che Lady Emma abbia avuto varie e disinibite relazioni extraconiugali, la più famosa e longeva delle quali con l’ammiraglio inglese Horatio Nelson, ospite, tra l’altro, a Palazzo Sessa e poi, dopo il ritorno di sir William al Londra, nella casa che egli aveva affittato a Piccadilly.
Su questo menage à trois si è scatenato il gossip internazionale più sfrenato, che perdura ancora oggi, avendo investito persino la letteratura – dalla Sanfelice di Alexandre Dumas (1865), al Volcano Lover di Susan Sontag (1992) e oltre –, il teatro e il cinema.
Alla corte del re di Napoli, Lady Emma divenne celebre per i suoi tableaux vivants chiamati Attitudes, che ebbero grande successo e divennero una moda europea del tempo. In essi, la moglie di sir William, in un misto di prosa, di danza e di recitazione, drappeggiandosi addosso scialli e abiti in foggia classica, interpretava personaggi femminili della storia, della letteratura oppure tratti dall’arte greca e romana, quali, ad esempio, Medea, Circe, Cleopatra, oppure divinità, come una delle Baccanti, e molti altri. Tra gli ammiratori di queste sue performance ci fu persino Goethe.
Nella mostra al Palazzo del Banco di Napoli, si può assistere alla proiezione di un video realizzato dalla Fondazione Cineteca Italiana con una sequenza di immagini cinematografiche che raccontano la storia e il mito di Lady Hamilton. Ma soprattutto se ne può ancora ammirare la bellezza nei numerosi ritratti esposti.
Nel 1800 sir William Hamilton fece ritorno in Inghilterra; morirà a Londra il 6 aprile 1803 avendo lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte, quale divulgatore del ‘gusto neoclassico’.