Niki de Saint Phalle: l'immaginazione esiste

29 Ottobre 2024

Nel cuore dell’Italia, fra il Lazio, l’Umbria e la Toscana, esiste una triangolazione di luoghi incantati, seppure un poco inquietanti. Non si tratta di paesaggi naturali, ma di siti costruiti, che sono ‘altro’ rispetto a quelli a cui ci hanno abituati la storia e il quotidiano. Sono posti, insomma, che, agendo, come fanno, sulla leva dell’emozione, ci lasciano stupiti, se non addirittura sbigottiti.

Il primo è un lucus, un bosco sacro animato da divinità terrifiche; il secondo è un ‘palazzo in forma di città’ pullulante di citazioni architettoniche e di memorie; il terzo, infine, è un giardino delle meraviglie, dove sicuramente Alice si sarebbe sentita ‘a casa’. In ordine cronologico di creazione, vien prima il Sacro Bosco di Bomarzo, che si trova in provincia di Viterbo, progettato nel 1547 da Pirro Ligorio; segue, in provincia di Terni, la Scarzuola, costruita tra il 1958 e il 1978 da Tomaso Buzzi, e infine, a Capalbio, in provincia di Grosseto, a chiudere il triangolo, c’è il Giardino dei Tarocchi, realizzato tra il 1979 e il 1996 da Niki de Saint Phalle,.

Se la letteratura ci ha abituati a godere del fantastico e del meraviglioso, a immaginare luoghi, a fargli prender forma nella nostra mente suggeriti dalle parole di Dante, dell'Ariosto, e poi su, su, fino a quelle di Collodi e Calvino, da quelle di Milton a quelle di Swift, fino a Jules Verne e a Lewis Carroll, nei luoghi di cui si è fatta menzione, è invece la fantasia dei loro autori a palesarsi davanti ai nostri occhi in forme già compiute e concrete. E se da un lato questa reificazione dell'immaginato ci solleva dall’onere (e dal piacere) dell'immaginare noi stessi, dall’altro ci inizia al sublime diletto dello stupore indotto dalle forme generate dalla fantasia altrui, a cui concorre il gigantismo dei manufatti che popolano questi luoghi, che ci seducono, nel senso latino del trarci a sé. Nel frequentarli, poi, si gode anche del sommo piacere dell’architettura, che, come ha insegnato Lewis Mumford, ci viene dal poter entrare dentro gli spazi, dal percorrerli nel loro interno, oltre che dall’ammirarli dall'esterno: dono felice che l’architettura ci fa. E se, come dice Le Corbusier  “La Costruzione è per tener su: l'Architettura è per commuovere”, questi luoghi colpiscono direttamente al cuore, scatenando emozioni che è difficile controllare.

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Niki de Saint Phalle, scorci de Il Giardino dei Tarocchi, 1979 – 1996, Capalbio.

Come s’è detto, autrice di uno di questi luoghi dell’emozione è Niki de Saint Phalle (1930 – 2002), che nel suo Giardino dei Tarocchi ha dato forma alle proprie gioie e alle proprie paure, sublimandole in creature/architetture enormi e coloratissime, a volte suadenti, rassicuranti, altre mostruose e addirittura inquietanti, ma capaci tutte di indurre empatia in chi si imbatte in loro. Nelle sue creazioni ci sono spesso “delle donne che piangono con tutte le lacrime disegnate a una a una come perle che dagli occhi scendono sul viso e lo circondano diventando collane.” (Lorenza Pieri)

Con questo suo lavoro, è come se Niki avesse voluto suggerire a tutti i visitatori del suo Giardino di affidarsi all’arte, come aveva fatto lei stessa per prima, che in essa, in essa soltanto, aveva trovato la forza per esorcizzare i suoi incubi, le sue paure, le sue visioni, superandoli, con il dare forma all’angoscia che la attanagliava fin dall’infanzia, a causa della violazione subita in seno alla propria nobile famiglia d’origine. Questa necessità di liberarsi dalle proprie ossessioni dando loro forma era così impellente in lei, così urgente il suo desiderio di insegnare anche agli altri la strada per l’affrancamento dai propri fantasmi interiori, da averla indotta a finanziare di tasca propria l’intera, costosissima impresa. Infatti, se si esclude la messa a disposizione del terreno su cui il Giardino sorge da parte della proprietà (famiglia Caracciolo, per il tramite di Marella, moglie di Gianni Agnelli e amica di Niki), l’artista non ha avuto mecenati, è stata lei il mecenate di sé stessa, come ha dichiarato: 

“Avevo il sogno di costruire un immenso giardino con sculture, ma ai giorni nostri non ci sono più i grandi mecenati. Allora mi son detta: Perché non pensare ad essere io il mecenate di me stessa? Ho dunque creato una scultura per un profumo da produrre in serie. Finanzio il giardino con il danaro che guadagno dalla vendita del profumo.” 

E così è stato. Infatti, gran parte dei costi del Giardino, che si sono aggirati intorno ai cinque milioni di dollari, li ha sostenuti la vendita di quel profumo dal flacone blu con due serpenti intrecciati sul tappo, oggi oggetto conteso dai collezionisti. La festa per il suo lancio è avvenuta il 30 agosto 1982 sulla 32° Strada di New York, organizzata dal suo amico Andy Warhol, con il nome di Street Festival of the Arts. Tra gli artisti intervenuti c’erano clown, acrobati che camminavano sui fili sospesi in aria, e maghi del Janus Circus e persino due incantatori di serpenti, con pitoni vivi. Su uno schermo gigante collocato in strada furono proiettati i film di Andy Warhol e le diapositive di alcuni lavori di Niki. Quella sera lei, che era stata indossatrice di Dior, vestiva un abito di quella Maison, appositamente creato per lei da Marc Bohan, che ne era il direttore artistico (lo fu dal 1960 al 1989, ed era anche amico storico e collezionista di Niki) e un copricapo coronato da due serpenti intrecciati. In una foto che la ritrae con Warhol, Niki tiene in mano la piccola scultura che sarebbe poi servita da modello all’azienda profumiera americana Jacqueline Cochran per la realizzazione del famoso flacone blu cobalto, recante sul tappo dorato gli stessi due serpenti intrecciati.

Quei serpenti che Niki “per tutta la vita aveva dipinto e scolpito e che simboleggiavano l’estate e l’incesto. Nella foto sorride fiera, consapevole di aver trasformato un trauma nella principale forma di sostentamento di un grande progetto artistico, politico [secondo Niki, a fermare la costruzione della centrale nucleare di Montalto di Castro è stata la grande Papessa dei suoi Tarocchi. NdA], esistenziale. Aver portato il più inconfessabile segreto privato a diventare risorsa per un magnifico spazio pubblico. Il suo dolore di bambina complice della sua più grande utopia di donna.” (Lorenza Pieri)

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Andy Warhol e Niki de Saint Phalle allo Street Festival of the Arts, a New York, organizzato il 30 agosto 1982 dal fondatore della Pop Art per il lancio del profumo con il quale Niki finanzierà la costruzione del suo Giardino dei Tarocchi. A destra il flacone del profumo.

Un altro incontro determinante per Niki, per la sua vita, insieme a quello con l’arte, è stato quello con Jean Tinguely, il suo grande amore, Jean che, indubbiamente, con l’arte coincide: Niki, Jean e l’arte sono, infatti, i tre termini di un trinomio inscindibile.

Anche Niki, come Jean, che ha creato magnifiche e ‘marchingegnose’ fontane urbane, ha sempre prediletto collocare le sue Nanas e le sue forme opulente in spazi aperti, sia di città che di campagna, purché colloquiassero con l’aria, con il sole, con la pioggia e con il vento, divenendo esse stesse parti della natura. E questo afflato cosmico di Arte e Natura, consustanziale alle opere dei due artisti, è stato molto ben compreso da Mario Botta: l’architetto svizzero, infatti, quando ha progettato il Museo Tinguely di Basilea, assistito dalla stessa Niki (erede unica e curatrice del lascito di Jean), ha voluto collocare nel giardino prospiciente l’edificio una fontana di Jean dirimpetto a una Nana di Niki, in eterno colloquio fra loro e con l’aria, con il sole, con la pioggia e con il vento.

Ecco alcuni dei pensieri di Jean sul Giardino di Niki:

“La sua creazione del Giardino dei Tarocchi in Italia è il più grande Festival di scultura che sia mai stato realizzato nel mondo. La sua creazione è la fusione totale tra colori e forme. […] Mentre tutti gli scultori sono decorativi, fanno scultura per l’architettura, Niki ha integrato l’Architettura nella sua scultura.”

Così, invece, ha detto Niki di Jean: “Jean era il movimento, io il colore”.

Niki de Saint Phalle era bellissima e dotata di una prorompente femminilità, ma era anche una artista a tutto tondo, una combattente dell’arte, che si misurava sul campo, costruendo le sue opere in prima persona: impastava il cemento, forgiava il metallo, modellava il poliestere (la cui respirazione le sarà fatale), saliva e scendeva dalle impalcature con l’agilità di una funambola e l’energia di un manovale. Così ha dichiarato: “Ho manie di grandezza ma le manie di grandezza femminili sono diverse. Voglio erigere sculture monumentali e continuare ad indossare bei cappelli.”

Niki non è stata una femminista militante, anzi, al contrario, le femministe storiche l’hanno spesso criticata, a volte addirittura attaccata, imputandole di coltivare troppo la propria bellezza, di essere vanitosa, di aver troppo a che fare col mondo della moda, di essere seduttiva, di avere troppi amanti, tuttavia lei ha offerto alla donna l’esempio di un’altra strada per liberarsi dal giogo della sudditanza al maschio, quella della creatività e dell’affermazione di sé per il suo tramite, senza mai rinunciare a quelli che sogliono essere definiti vezzi della femminilità. Unica donna a far parte del Nouveau Réalisme, ha detto: “Gli uomini hanno il potere, le donne la forza creatrice. Gli uomini hanno il fuoco, io voglio rubarglielo.”

E poi, a proposito del suo Giardino dei Tarocchi ha scritto:

“Il Giardino dei Tarocchi è un omaggio a quelle donne alle quali, per secoli, non è stato permesso di rivelare la loro forza e la loro creatività; e quando hanno osato farlo, sono state derise, schernite, represse, bruciate come streghe o rinchiuse in un manicomio."

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Niki de Saint Phalle, La Temperanza, modellino per la grande scultura dell’Arcano Maggiore del Giardino dei Tarocchi, 1985; Le tre Grazie, 1995.

Dopo la retrospettiva che il Grand Palais di Parigi le ha dedicato nel 2014, ecco ora Milano rendere omaggio all’artista franco-americana, con una strepitosa rassegna allestita al MUDEC fino al 16 febbraio 2025. E mai sede avrebbe potuto essere più consona, viste le ‘contaminazioni’ della sua arte di matrice europea con le forme e i messaggi dell’arte di altre etnie sparse ovunque nel mondo. Credo che la forza prorompente e universale delle creature di Niki de Saint Phalle nasca proprio da questo meticciato linguistico, capace di attingere alle emozioni ancestrali dell’essere umano, quelle stesse che rendono più che mai tutti gli individui della nostra specie uguali fra loro, ben oltre le sovrastrutture culturali dei singoli popoli.

Così scrive in catalogo Lucia Pesapane, curatrice tanto della mostra milanese di oggi, come di quella francese di dieci anni fa:

“I miti del mondo mediterraneo (l’Egitto, il Marocco, l’Italia e la Spagna) si intrecciano a simboli indiani o a quelli mesoamericani che Niki de Saint Phalle ebbe modo di conoscere durante gli anni vissuti a San Diego: sono questi i molteplici strati che compongono le sue opere e sculture e che ripercorrono una storia universale e plurale dell’umanità, senza più distinzioni tra Est e Ovest, tra centro e periferia, senza più dualismi, categorie o schemi binari. Il suo approccio relazionale alle culture ha fatto sì che la sua arte risultasse come un polilogo, ovvero come un confronto ricco e complesso, esito della fusione di culture e mitologie diverse. Questo supposto dialogo sembra oggi sempre più difficile da realizzare in una Europa che si dice multiculturale, ma che al tempo stesso nega sempre di più l’alterità. Per questo è importante capire l’opera di Saint Phalle come un metissaggio fecondo, che scaturisce da una fusione tra culture, rispettosa delle differenze. Può piacere o no, ma lo spirito artistico vola dove vuole”.

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Niki de Saint Phalle, Nana sul delfino, 1994; La stella, 1996.

La rassegna espositiva del MUDEC è stata realizzata da Sole 24Ore Cultura in collaborazione con la Niki Charitable Art Foundation. L’allestimento è di Corrado Anselmi Architetto e Caterina Saucluc; il progetto grafico è di Studio FM Milano.

Strutturato in otto sezioni, il percorso espositivo presenta al pubblico 110 pezzi, tra sculture e opere grafiche, ordinati con andamento antologico e cronologico all’interno di ciascuna sezione, in ognuna delle quali è indagato un tema o un periodo dell’iter artistico di Niki de Saint Phalle.

Video, fotografie e materiali d'archivio, aiutano a comprendere meglio la personalità complessa dell’artista, dalla sua difficile infanzia fino ai suoi ultimi anni di vita. 

Alcuni abiti della Maison Dior da lei indossati e molti scatti fotografici ne documentano anche la stagione di modella, iniziata per caso, come ha raccontato lei stessa:

“Avevo diciassette anni e andavo a ballare. Un giorno incontrai un uomo che dirigeva un'agenzia di modelle e mi chiese se ero interessata. Risposi di sì. Mi sembrava divertente perché ero vanitosa, narcisista e adoravo l'idea di fare soldi. Così ho iniziato la carriera di modella che avrei continuato fino a venticinque anni. Guadagnavo quindici dollari l'ora e questo mi sembrava fantastico. […] Era un modo semplice e veloce di guadagnare. Ma non l'ho mai preso sul serio e sapevo che non era qualcosa che avrei voluto continuare a lungo." 

Sebbene Niki dopo l’incontro con Jean Tinguely abbia smesso di fare la modella, per dedicarsi completamente alla propria arte, ha continuato a vestire in modo estroso dettando legge nel campo della moda, ma lo ha fatto soprattutto per sé stessa: “Penso che i miei stivali, i miei vestiti rossi e i miei travestimenti non siano altro che accessori delle mie creazioni, che esprimono il desiderio di trasformarmi in un oggetto. [...] Uso il mio corpo come una struttura di rete per fare scultura".

Dopo Bohan, le cui collezioni per Dior avevano preso spunto dall’arte di Niki de Saint Phalle, la disinvoltura con cui lei indossava abiti maschili, soprattutto lo smoking, ha influenzato persino Yves Saint Laurent che, grazie a lei, lo ha inserito nella sua collezione per la Maison parigina, rendendolo un must dell’eleganza femminile. Più di recente, persino Maria Grazia Chiuri è tornata a rendere omaggio allo stile di Niki nella collezione Dior prêt-à-porter primavera 2018, con abiti ispirati ai suoi colori e alle sue creature e quest’anno le ha dedicato una collezione Capsule popolata dai suoi mostri.

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Niki de Saint Phalle, carta dei Tarocchi, La Stella, 1997; copertina del catalogo della mostra al MUDEC.

Il catalogo della mostra milanese (pp.207, €. 34.00), edito da Sole 24Ore Cultura, contiene saggi e testimonianze di Lucia Pesapane, Raffaella Perna, Antonio Rocca, Bloum Cardenas, Laura Mathews, Jean Tinguely, Jesse Lerner, Niki de Saint Phalle, Sofia Gnoli.

Le citazioni di Lorenza Pieri presenti in questo articolo sono tratte da: Il giardino dei mostri, Edizioni e/o, 2019; Volevo un regno più grande. Niki de Saint Phalle, Collana Oilà, Electa, 2024.

In contemporanea con la mostra di Niki de Saint Phalle al MUDEC, all’Hangar Bicocca è allestita quella di Jean Tinguely, a cura della stessa Lucia Pesapane, con Camille Morineau, Vicente Todolí e Fiammetta Griccioli.

In copertina, Niki de Saint Phalle con le sue Nanas gonfiabili per la spiaggia. Ph. Bert Stern per Vogue, 15 aprile 1968. @ 2023 Condé Nast.

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