Una sinfonia per Dino Gavina
Ho qui sul tavolo il libro appena uscito dedicato a Dino Gavina (1922-2007). È tutto verde. Verde la stampa delle immagini ed anche quella dei caratteri dei testi. Verde, il colore preferito dal maestro bolognese, come erano verdi i suoi cataloghi, / come la rivista “Novalis” / come il biglietto per il compleanno di James Joyce. […] Evergreen il suo pensiero.
Ma se l'aspetto fisico del libro è dominato dalla monocromia (Pantone 5545), le voci narranti che lo compongono sono invece polifoniche. Sì, perché questo libro non è semplicemente ‘a più voci’ (il che ne farebbe una comune antologia), ma, come accade nelle sinfonie, in esso le voci narranti risuonano in variazioni di modulazioni di frequenza, di lunghezza, di tonalità, di altezza e d’intensità. Ed eccole articolarsi ora in frasi brevi, a volte brevissime, addirittura in titoli, altrove in periodi più lunghi, oppure in versi, in strofe, in paragrafi, ma mai in capitoli. Alcune voci sono sommesse, appena sussurrate, quasi esitanti (stupite? incantate?); altre sono stentoree; alcune sono declamanti, pompose, tonanti, altisonanti, altre invece son timide, ma più spesso audaci.
In certi casi le voci si camuffano da immagini e allora eccole comparire in fotografie di testi scritti.
Ci son persino dei jeux de mots un po’ dada.
Se le parole fossero suoni, ci sarebbe del Futurismo alla Luigi Russolo in questo libro su Gavina!
Certamente, dinamico com’è, anzi, “ultramobile”, questo libro a lui sarebbe piaciuto moltissimo.
Lo trovo l’omaggio perfetto a un ‘sovversivo’, quale Gavina stesso si proclamava; il giusto tributo a quello sherpa del design, che con coraggio ha osato tracciare nuovi, arditi cammini, mutando la storia della disciplina in attualità e gli oggetti anonimi in capolavori di design.
Questo libro si intitola O Gavina o niente (Silvana Editoriale, pp. 400, € 32.00) e lo ha scritto e concepito Marco Brunori, già curatore della strepitosa mostra che nel 2021 la GNAM ha dedicato a quel pioniere del Good Design italiano che aveva lo sguardo spalancato sul mondo e la poesia nel cuore (leggi qui su Doppiozero). Così Brunori: I racconti uno accanto all'altro compongono il libro come un vero stormo pensante, che può essere letto saltando qua e là o per intero.

Il titolo del libro, così categorico, ricalca il proposito formulato da Brunori fin da quand’era ragazzo, quando, venuto a conoscenza dell’opera di Gavina, si ripropose di lavorare per lui o per nessun altro. E ci è riuscito.
Marco Brunori. L’ALLIEVO PERPETUO
DA-DA-UNPA-PÀ
Marco Brunori. Il libro parla di lui, il dominatore di design, il sovversivo, a più voci, semplici e brevi narrazioni tenute insieme dal filo invisibile dell’affetto e dell’amicizia, che realizzano un carattere letterario impossibile da collocare in alcun genere.
Comparati tra loro, i vari ritratti di Gavina svelano i diversi modi in cui ognuno di noi ha interagito, e interagisce ancora con lui.
L’osservazione capovolta ci rende protagonisti e il gioco si fa divertente, dada.
Una raccolta eccentrica di ricordi, ma anche di vita presente, a cui partecipano immagini fotografiche evocative, libere da ogni compito descrittivo e antologico.
Tobia Scarpa. Ho conosciuto Dino Gavina alla Triennale di Milano nel 1960.
Mi fece subito pensare a un rapace che volava nelle altitudini. Mentre io restavo ad osservarlo dal basso.
Adele Cassina. Mio padre [Cesare] raccontava di Gavina come di un personaggio leggendario, uno di quelli che come lui non ce n’erano mai stati prima né ci sarebbero stati dopo. Nei suoi confronti provava non solo rispetto e ammirazione, ma anche un vero e proprio timore reverenziale, quasi come verso Dio.
Enzo Spadon. A Torino nel 1965 preparammo con Gissi la Mostra del Mare, per la quale Fontana realizzò un grande teatrino azzurro di un metro per due, tutto frastagliato. Lo aveva mandato a Gavina che lo avrebbe dovuto portare a Torino.
Io e Gastaldelli chiedemmo di che colore aveva fatto la cornice e Lucio rispose: “Azzurra. Come vuoi che la faccia? Nera, in lutto?”
Gavina, che nel frattempo l’aveva realizzata nera, disse: “È nera perché i temporali non sono mica azzurri in mare. Sono neri anche loro!”
Atos Gavina. Ho conosciuto soprattutto Pier Giacomo [Castiglioni]. L’ho incontrato spesso. In fabbrica veniva lui. Infatti, quando è nata la Poltrona Sanluca c’era Pier Giacomo.
Non so per quale motivo, ma tra Achille e Dino non correva molto buon sangue. Con Pier Giacomo facevamo una cosa, poi la modificavamo, la si rifaceva per cambiare le misure.
Quando nasce un prodotto viene fuori piano piano: lo abbozzi, lo sviluppi, fino ad arrivare a quello che si ritiene possa essere il risultato definitivo.
Giorgina Castiglioni. Lucio Fontana presentò Pier Giacomo Castiglioni all’imprenditore Dino Gavina alla X Triennale di Milano, che nel 1954 si proponeva di analizzare il tema dell’estetica del prodotto industriale. Questa straordinaria collaborazione inizia ufficialmente con il progetto della poltroncina Babela nel 1958, seguito dalla poltrona Sanluca nel 1959, dalla sedia Lierna nel 1960, dalla sede espositiva di San Lazzaro di Savena nel 1960, dalla Fondazione di Flos nel 1960, nonché dal negozio Gavina in via Durini a Milano e poi a Torino, dallo stabilimento Gavina a Foligno nel 1962. Dino Gavina è stato il più attento conoscitore, estimatore e divulgatore del lavoro di A&PG Castiglioni, della genesi e dello sviluppo dei loro progetti; è proprio questo il motivo che lo spinse ad annoverare mio padre Pier Giacomo Castiglioni tra i primi 10 designer del mondo.

Piero Gnudi. La passione per la bicicletta era una delle cose che mi accomunava a Dino. Ho avuto una Bianchi Campione del Mondo, poi ho comprato una Patelli.
Anche Dino aveva una Patelli. Lui correva e quando era ragazzo andava anche forte.
Per molti anni siamo andati in bicicletta il 1 gennaio anche se il freddo era tremendo, perché, come si dice, quello che fai il primo dell’anno lo fai tutto l’anno. Eravamo in tanti ad andare in bicicletta, il gruppo era composito, con noi c’era anche Romano Prodi.
Romano Prodi. Andavamo insieme in bicicletta. Ne abbiamo fatte di cose. […]
La bicicletta ci ha legati molto, perché non praticavamo semplicemente il ciclismo, con Dino chiacchieravamo, si andava in bicicletta. Ma i paradossi erano più numerosi delle pedalate.
Ci siamo mossi un po’ ovunque, a me piaceva spostarmi più verso la montagna, però si andava anche a Marina di Ravenna, a Comacchio, ma – ripeto - ricordo di più che le pedalate, i paradossi durante le pedalate.
Sandra Gavina. A Bologna nel dopoguerra mio padre andava in bicicletta come i suoi cugini, come tutti. Raccontava di aver avuto in quel periodo un amico che possedeva una macchina a carbonella.
Quando ha conosciuto la mamma aveva una piccola autovettura. Non ha mai avuto berline, a lui piacevano le macchine spinte, ma piccole e decappottabili.
Nel corso degli anni ha posseduto contemporaneamente auto differenti, che erano funzionali anche al lavoro dell'azienda. Tra quelle che nominava o che io ricordo c'erano una Jaguar, una Dyane, un Maggiolino e una Mini Morris, che era usata anche da Carlo Scarpa.
L'autovettura che ha guidato più a lungo è stata però la TR4, una Triumph di colore rosso. È stata la sua macchina, la macchina della sua giovinezza, quella di noi bambine. L'ha guidata per diversi anni prima di venderla.
Lorenzo Sassoli de Bianchi.
Dino: fulmine, freccia e fantasia tra le avanguardie del Novecento. Marcel e Man, sono i nomi che riemergono quando penso a lui, instancabile trascinatore.
Dino, candido folletto del design, innovatore e spirito ardente di passioni. Una mente nitida, innamorata della fantasia nella precisione.
Dino disegnava e ritagliava linee e cerchi, sottili contorni e volumi leggeri.
A Lucio Fontana suggerì i teatrini, da Carlo Scarpa apprese il rigore.

Danilo Eccher. Appena arrivato alla direzione della Galleria d'Arte Moderna di Bologna, fui messo subito in guardia sulle possibili aspre critiche di Dino Gavina, che con l'arte contemporanea aveva un rapporto di intensa e profonda conflittualità, al pari di un interesse e di un amore altrettanto viscerale.
Fu quindi con circospezione e sulla difensiva che incontrai Gavina la prima volta. L'idea che mi ero fatto combaciava perfettamente con la persona che avevo di fronte: un grande attore, linguaggio e movimenti sincopati, un leggero ingobbimento teatrale, uno sguardo penetrante e un tagliente fraseggio. Fu, ovviamente e come mi aspettavo, polemico e severo, eppure intuivo una certa simpatia, una violenza di facciata che oscurava un'ironia acuta.
Ci scontrammo com'era ampiamente previsto, ma fu altrettanto evidente che oltre l'apparente lontananza c'era un rispetto, una comprensione, forse una complicità che sfiorava nei dettagli.
Vittorio Sgarbi. Gavina, con la sua personalità vivacissima, aveva un occhio teso e addirittura determinante nella definizione del design contemporaneo. […]
Non puoi pensare che siccome il design è industriale, tu devi avere una visione meccanica della realtà senza fantasia, senza intelligenza e senza passione. Aveva intuito la necessità di tenere forte il nesso fra produzione industriale e creatività.
Per questo Gavina è stato il più illuminato dei produttori e degli animatori del grande momento in cui l'arte ha coinciso con il design.
Enrico Baleri. Non puoi affermare di conoscere la storia del design italiano se non hai conosciuto Dino Gavina e non ne conosci il suo vero colore e le sfumature, se non hai incontrato personalmente Dino Gavina in carne e ossa nelle sue affabulazioni almeno per un'intera giornata. […]
Gavina aveva solo certezze, mai dubbi, e te le spiattellava in modo semplice mettendoti in soggezione, lui piccolo e magro, segaligno, igienista, ti sovrastava sempre, qualunque fosse la tua statura.
La sua interiorità si manifestava a ogni parola, a ogni sguardo, senza esitazioni, con naturalezza, i suoi occhi erano luci sempre accese per ferirti quando lo riteneva giusto, per coccolarti le poche volte che approvava quello che dicevi. Il suo metodo era riprovarti, correggerti, stimolarti, più che confortarti. […]
Aveva lo sguardo di fierezza dei condottieri di un tempo, ti guidava sulle strade difficili e ti diceva come fare senza parole, con i gesti. Lui ti inventa Marcel Breuer, Man Ray e tanti altri quando nessuno li conosceva e dà vita a un mondo poi spesso utilizzato a sproposito nella storia del mobile e raramente a proposito da altri, pur facendo affari ancora oggi, prima che cultura.
Achille Bonito Oliva. Ho incontrato varie volte Gavina a Bologna.
Posso testimoniare su questo sfioramento, che nasceva anche da una sintonia di temperamento ludico di entrambi, ma anche, se posso dire, socratico, giocato sullo scambio.
Gavina, secondo me, è stato uno dei maggiori interpreti produttivi del boom economico. Ha inciso sul design, sulla sua storia e sulla sua distribuzione, in quanto non solo era un uomo accogliente, ma anche un uomo propositivo, e dalle tracce che ha lasciato si può vedere l'attinenza al design e all'arte contemporanea.
Nel suo rigore, lui si rendeva conto della verità che l'artista è creatore e che il design è creativo.
Mario Botta. Lo conosciamo come il sovversivo, che nei suoi biglietti da visita si presentava come Dino Gavina Sovversivo.
Questo spirito, diciamo così, anarchico, in realtà era il suo carattere e il suo profilo fondamentale, solo attraverso quest'idea di sovversione ha potuto in realtà creare. Perché io credo che lui sia un vero creativo del design contemporaneo, del design moderno italiano.
A Gavina va riconosciuto questo fiuto di una qualità specifica del design, che, ahimè, qualche volta è poi andata persa.
Leo Pedone. Prima che realizzassi il negozio Novalis, quando decisi di scegliere la Simon, Gavina mi disse: "Pedone, trovi un locale a Pesaro, al primo piano di un palazzo antico in centro, per esempio quello con gli archi che c'è in piazza".
"Signor Gavina, ma quella è la Prefettura, sarà difficile che il prefetto ce la dia".
Ci pensò un attimo: "Lei provi lo stesso".
Gavina era fatto così.
Per scoprire come era fatto Dino Gavina vale la pena di leggere tutte le testimonianze contenute in questo libro plurale, così come plurale era lui.

Alla realizzazione del volume ha contribuito la Cassina, che tempo fa aveva assorbito il catalogo Gavina, a sua volta oggi controllata, insieme a molti altri prestigiosi marchi del design made in Italy, dal gruppo americano Haworth.
L'immagine di copertina è un ritratto di Dino Gavina, a firma di Santi Caleca.
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