Magnum: viaggio dentro l'America
Fermo immagine: New York, terrazza del MOMA, 22 maggio 1947. Cinque fotografi – già nella storia – Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David “Chim” Seymour, George Rodger e William Vandivert, provenienti da nazioni, esperienze e formazioni diverse, tutti sopravvissuti ad alcuni dei momenti più feroci della Seconda guerra mondiale, hanno in mente un progetto speciale, capace di trasformare la professione del fotoreporter in modo radicale. Dopo lunghe discussioni e qualche bicchiere di champagne (così narra la leggenda), ecco le regole, poche e chiare: rispetto per il soggetto fotografato, grande qualità della fotografia e il diritto di essere proprietari dei negativi per non perdere il controllo sulla circolazione delle immagini, ma anche per rendere esplicito il carattere individuale del linguaggio. Affacciati da quella terrazza newyorchese, questi pionieri del fotoreportage fondano l’agenzia cooperativa che rivoluzionerà per sempre il modo di fare giornalismo: Magnum Photos.
A questo punto i cinque decidono di spartirsi (letteralmente) le aree di lavoro nel globo: Henri Cartier-Bresson va in Oriente, David Seymour in Europa, William Vandivert in America, George Rodger in Medio Oriente e Africa, mentre Robert Capa ha piena libertà d’azione nel mondo.
Così dalla fine degli anni Quaranta non c’è area o conflitto che Magnum non abbia documentato, dando vita a una poetica che ha fatto scuola. A cominciare dalla riflessione sull’importanza del mezzo fotografico come strumento per veicolare messaggi civili e politici, come contributo al sostegno di una causa che va ben oltre l’impegno professionale. “Un altro modo di raccontare”, l’ha definito John Berger.
Alla condivisione di valori si affianca un’adesione comune a pratiche fondamentali nella definizione del fotogiornalismo moderno, come la necessità di non alterare l’immagine e di accompagnarla da una dicitura che ne ricostruisca il contesto. Tutti elementi che contribuiranno a elevare il mezzo fotografico a strumento consapevole al servizio dell’informazione pubblica.
Negli anni Magnum è cresciuta grandemente, accogliendo in sé autori del calibro di Elliott Erwitt, Eugene Smith, René Burri, Marc Riboud, Sebastião Salgado, Martin Parr, Alessandra Sanguinetti e gli italiani Ferdinando Scianna e Paolo Pellegrin. Ha saputo adattarsi ai mutamenti che hanno segnato profondamente il linguaggio della fotografia degli ultimi decenni, così il bianco e nero non è più il codice privilegiato degli autori che ne fanno parte. Dalle Leica tanto amate da Capa e Cartier-Bresson si è passati alla circolazione di massa istantanea e in tempo reale delle immagini digitali realizzate con gli smartphone. D’altronde, la caratteristica primaria di Magnum è stata proprio quella di nascere al punto di incontro tra le due anime più presenti nella fotografia della prima metà del Novecento, quella artistica (incarnata soprattutto da Cartier-Bresson) e quella reportagistica (di Capa). Quel peculiare incontro tra artista e documentarista continua a definire ancora oggi Magnum e caratterizza non solo ciò che si vede ma anche il modo in cui lo si vede.
Questa doppia anima emerge anche scorrendo il monumentale bellissimo volume Magnum America, edito da Contrasto, la casa editrice diretta da Roberto Koch, che, con la sua attività di editore, curatore, critico, come nessun altro ha contribuito a fare conoscere in Italia l’opera degli autori della Magnum.
Un libro – curato da Peter van Agtmael e Laura Wexler e costruito attingendo all’archivio della storica agenzia – che “fotografa” gli Stati Uniti dagli anni 40 ai giorni nostri, dalla Seconda guerra mondiale, con le immagini di Wayne Miller, fino ai nostri anni – le lotte per i diritti civili, l’11 settembre del 2001, il terrorismo – con le fotografie di maestri come Elliott Erwitt, Martin Parr, Philip Jones.
Come si legge nella nota dei curatori: «Questo libro che associa “Magnum” alle idee sull’“America” negli “Stati Uniti”, ha l’opportunità e la responsabilità di analizzare tale lascito. Perché la fotografia non è stata solo un modo di lavorare negli Stati Uniti; qui, la fotografia ha fissato un’idea di America con cui fare i conti. Magnum negli Stati Uniti può essere esaminata in base a quanto si sia avvicinata a quell’idea”».
Condensati in queste seicento immagini scorrono – fittissimi – ottant’anni di storia (o controstoria) di un Paese dalla natura caleidoscopica, e per questo inafferrabile nella sua anima più profonda, segnato da profonde e irrimediabili contraddizioni, a cominciare dal tema del riconoscimento dei diritti civili, che attraversa, come una lama, la sua società e che, a ben vedere, è il filo rosso che sembra unire tutte le immagini del volume. Tuttavia questa pubblicazione non cerca di presentare un’esaustiva storia fotografica degli Stati Uniti, ma si avvale dei reportage d’archivio per delinearne un ritratto visuale avvincente del passato e del presente.
Le fotografie di Magnum costituiscono la testimonianza visiva di alcuni dei miti più duraturi degli Usa, miti che ne hanno segnato la traiettoria nel corso del XXI secolo. Ogni sezione mostra i momenti che identificano ottant’anni di storia, con lo sguardo e il linguaggio specifico, volta per volta, di un fotografo dell’agenzia; vi sono poi reportage collettivi, che offrono un focus più approfondito su un importante evento storico – come appunto le lotte per i diritti civili o l’11 settembre – e infine, servizi individuali di ampio respiro, in cui gli autori hanno seguito per mesi o anni una vicenda sviscerandone le problematiche e i protagonisti.
Magnum America ci fa compiere un viaggio dentro un Paese che è entrato prepotentemente nel nostro immaginario visivo, ma che solo apparentemente pensiamo di conoscere, influenzati anche dal cinema e dalla pubblicità, che ci fanno “abitare” gli Stati Uniti quasi quotidianamente. Solo moltiplicando i punti di vista, come avviene in questo libro, è possibile farsi un’idea più chiara dell’America, dal Dopoguerra agli anni Venti del nuovo millennio. Dalle immagini in bianco e nero degli anni Quaranta, che raccontano la cosiddetta indipendenza dei colonizzati che alimenta il movimento per i diritti civili, il consolidamento del femminismo e la cultura pop americana, passando alla violenza delle grandi metropoli negli anni Settanta e ai movimenti di protesta contro la guerra in Vietnam, ai decenni di benessere economico degli anni Ottanta con Ronald Reagan e poi nei Novanta con Clinton, segnati anche dalla Guerra Fredda prima e dai conflitti sempre più accesi in Medio Oriente poi. Fino agli ultimi anni, con le immagini a colori che raccontano la caduta e la rinascita di un presidente divisivo come Donald Trump, le ferite mai del tutto guarite di questo Paese: le minacce alle libertà individuali, le tensioni della società multietnica, la tragedia della sanità privata, gli scandali finanziari e i rischi di una catastrofe energetica e ambientale. Il tutto raccontato da angolazioni e con stili diversi, che riflettono, nello spirito Magnum, la cifra individuale di ciascun autore, rendendo davvero efficace la rappresentazione visiva di questo Paese multicentrico.
Tante sono le immagini degne di nota. Dalla sociologia visiva on the road delle grandi fotografie a colori di Harry Gruyaert lungo le highway che collegano l’est e l’ovest degli Stati Uniti, con i suoi distributori di benzina, le gas station, luoghi senza storia che raccontano molto di questo Paese, alle immagini violente di Bruce Davidson riprese nella metropolitana di New York all’inizio degli anni Ottanta. E ancora: l’attenzione al dettaglio che si fa memoria nell’esplorazione visiva del francese Raymond Depardon; lo sguardo carico di pietas di Alex Webb che dal 1975 al 2001 ha fotografato lungo il confine tra Stati Uniti e Messico, vagando per quello che allora sembrava una sorta di paese a sé stante: un luogo di perenne transizione, dove migranti, turisti, lavoratori, consumatori e contrabbandieri andavano e venivano. E poi l’intensità e la crudezza dello sguardo di Eugene Smith, tra i maggiori fotografi del Novecento, con le sue splendide immagini di Pittsburgh,
Questi sono solo alcuni degli autori presenti in questa multiforme ricognizione visiva dell’America, avvalendosi dei reportage della storica agenzia.
Come si legge, ancora una volta, in uno dei testi del volume: «I fotografi di Magnum sono cresciuti di pari passo con l’evoluzione del linguaggio fotografico. Le loro immagini migliori non sono mai state illustrazioni di punti di vista predeterminati; sono risposte a domande che i fotografi portano con sé: i decenni di fotografie riprodotte in questo libro riflettono le scoperte che hanno fatto lungo il percorso. Dovremmo vederle nel loro insieme non come un racconto autorevole dell’America/USA, ma come un’espressione di ciò che ha motivato ciascuno di loro, nel corso del tempo, a presenziare la storia. Il fotografo di Magnum per eccellenza intende ancora la fotografia come un orologio per vedere».
“Magnum America”, a cura di Peter Van Agtmael e Laura Wexler, Contrasto, 2024, pp. 472, Euro 99,00.