L’Europa degli scrittori

10 Luglio 2024

L’idea è buona, anzi eccellente. E così è anche la trattazione dell’idea che si snoda in questo pregevole saggio di Paola Cattani, Un’idea d’Europa. Liberalismo, democrazia ed etica a inizio Novecento (Marsilio, 2024). Una idea di Europa. Quale idea per quale Europa? L’Europa vista dagli scrittori contemporanei tra le due guerre mondiali, da una prospettiva nuova quindi, inedita, stimolante. 

L’Europa degli scrittori

L’idea è quella di affrontare e illustrare la disamina della crisi dell’Europa liberale e democratica, le critiche, le asperità, le sconfitte, le rinascite dopo la seconda guerra mondiale, attraverso le parole di scrittori, letterati, poeti, filosofi. La crisi dell’Europa liberale di un secolo fa che in parte è anche, mutatis mutandis, la crisi delle nostre democrazie liberali alla fine di questo primo quarto di secolo.

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Europa, Crispijn van de Passe (I), c. 1589 - c. 1611.

Lo sguardo lungo dell’autrice del saggio, Paola Cattani, docente di Letteratura francese all’Università di Roma Tre, ci porta all’indietro di cent’anni e più, individuando già alla fine dell’Ottocento lo sgomento di chi constatava che il liberalismo non fosse all’altezza dei compiti sociali e politici che si era imposto, e che la simbiosi con la democrazia rivelasse la difficile conciliazione, allora come ora, di libertà e uguaglianza. Ne siamo – come negarlo? – pienamente eredi, anzi vittime, dal momento che entrambi i termini del binomio soffrono oggi di gravi problemi: la libertà è soffocata dall’apparato securitario al servizio della paura e condizionata da scelte economiche presentate come inevitabili e per le quali non esiste, dicono, alternativa. E l’uguaglianza viene in ogni momento stritolata dal pauroso allargarsi della forbice tra i bassi redditi di chi stenta a campare e gli introiti astronomici non intaccati dalla tassazione dei nuovi satrapi.

Il dibattito sui principi liberale e democratico

La tesi che Cattani svolge con chiarezza e in maniera ben documentata e anche intrigante e attraente, è che «la storia dell’idea di Europa tra le due guerre coincid[a] in gran parte ...con l’acceso dibattito sui principi liberale e democratico». Leggere quel che scrivevano in proposito Paul Valéry, Sigmund Freud, José Ortega Y Gasset o Edmund Husserl vuol dire riconoscervi parte delle nostre palpitazioni e dei nostri interrogativi, delle nostre stesse analisi, attese, soddisfazioni e delusioni. La ricostruzione storica di Cattani si presenta insomma sia rigorosa e attendibile sia fortemente proiettata sul presente al punto da apparire talvolta anacronistica nel sottolineare, tra gli altri, i dibattiti su individuo e comunità, o su contributo bellico e pacifismo. Ma si tratta forse soltanto della nostra sorpresa di fronte alle posizioni di personaggi che non si occupavano di politica in prima istanza, eppure avevano colto il peso e l’impegno, ma anche la gioia, di essere non soltanto cittadini di stati nazionali quanto pure membri di una comunità allargata, l’Europa, un’idea.

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Il liberalismo vi si presenta non tanto e non solo come una dottrina politico-economica. È anche, come è bene che sia, liberalismo etico, a sua volta illustrato, meglio che dal sostantivo, inficiato da incrostazioni di sensi, dall’aggettivo «liberale». Un po’ come nel caso di Michael Walzer nel suo recente Che cosa significa essere liberale (Raffaello Cortina, 2023). Nella lettura di Walzer, grande leftist e liberal, il pensiero liberale è pluralista, scettico, ironico, tollerante, magnanimo, nel senso quasi originale latino del termine. Essere liberali vuol dire essere non dogmatici, democratici e pluralisti. Walzer dichiara di essersi ispirato non a caso a Socialismo liberale, il libro di Carlo Rosselli stampato a Parigi proprio nel periodo tra le sue guerre, nel 1930 allorché il suo autore viveva in Francia per sfuggire senza successo alla persecuzione fascista. 

Il laboratorio concettuale

Esplorare il laboratorio del pensiero di quel periodo significa anche riflettere sui termini e gli strumenti concettuali con i quali riflettiamo e discutiamo a tutt’oggi i problemi europei e nazionali con taglio letterario però, come se la letteratura potesse, meglio e più della politica, contribuire alla pace e al progresso della civiltà. Persino i Congressi degli scrittori come pure gli incontri del Pen Club o lo stile e i contenuti delle riviste letterarie vengono sviscerati e analizzati quasi come eventi politici internazionali, e in qualche modo tali furono per la loro risonanza pubblica di luoghi di scambio e di discussione, di influenza e di legittimazione. 

Persino il pensiero politico di un «impolitico» quale Thomas Mann diventa terreno di analisi, con le sue critiche alla libertà liberale e democratica fino al 1922, quando il discorso Della Repubblica tedesca segnò la sua sofferta conversione da critico a difensore della democrazia. Lo sono gli scritti di Valéry e Musil, dei quali Cattani raccoglie e presenta le metafore dell’Europa dopo il primo conflitto mondiale: un forno incandescente pieno di «energia compressa» per Valéry, un «manicomio di proporzioni babiloniche» per Musil. Lo è il contributo di Ortega y Gasset con la sua illuminante definizione del liberalismo quale correttivo della democrazia in virtù del suo rispetto per le diversità individuali, la difesa delle minoranze, e soprattutto la teoria dei limiti del potere.

I limiti del potere

Anche questo un punto sottolineato da Michael Walzer nell’affermare che l’aggettivo liberale riconosce la limitazione del potere politico: non è vero che i politici eletti incarnano la volontà del popolo perché ne hanno ricevuto il mandato e possono fare quello che vogliono. Liberale è la difesa dei diritti individuali; è il pluralismo (dei partiti, delle religioni, delle nazioni); l’apertura della società civile e il diritto all’opposizione; la conciliazione delle differenze e l’accoglienza degli stranieri e molto altro. La mente liberale è scettica e curiosa, generosa, impegnata; è egualitaria senza essere egualitarista, nel senso che non pretende l’eguaglianza di tutti in tutto ma accetta una differenziazione decente dei redditi, regolati dalla politica fiscale, purché la ricchezza non diventi un modo per acquistare potere ma si limiti a comprare ciò che può essere giustamente comprato.

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Tra le posizioni degli scrittori di allora v’è pure spazio per le critiche «woke» all’imperialismo coloniale europeo, per es. nel recuperare, come fece Camus, la classicità greca di contro al culto della latinità imperiale celebrato in Italia dai fascisti e in Francia dalla destra di Maurras; e per le critiche al termine patria, rivolte da sinistra dagli scrittori che volevano dissociarlo dai concetti di nazione e di guerra strappandolo al vocabolario della destra. Anche il principio di difesa dell’individuo è ricordato, nelle voci di Neruda, Brecht, Aragon, come pure di scrittori dell’alveo liberale, nonché la trasformazione del concetto di individuo in quello di persona nel personalismo comunitario di matrice cattolica. 

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