Colorato, fratto, diviso / Mario Schifano, America 1970

22 Aprile 2019

Il 15 marzo 1970 Mario Schifano si imbarca a Roma su un volo di linea diretto negli Stati Uniti. Ha trentacinque anni ed è già a suo modo una leggenda nel mondo dell’arte, della letteratura, e anche della musica; i Rolling Stones gli hanno dedicato da poco Monkey Man. Vive un momento di grande creatività, di pigra febbrilità, come la definisce acutamente Giorgio Vasta, che coglie così uno degli aspetti salienti della frenesia artistica di Schifano. Ha un’idea in testa, fare un film. L’argomento: gli alieni. Per questo vuole compiere una serie di sopralluoghi in America, paese dove si suppone che, a partire almeno dal 1950, possano essere stati identificati gli extraterrestri. Va a Washington al Pentagono, poi in Virginia, quindi a San Francisco, visita la sede centrale della Bank of America, si reca a Los Angeles, a Los Alamos; e a Huston e a Cape Kennedy, da cui partono i missili spaziali.

 

 

Quale luogo migliore per cogliere gli alieni se non quello? Da pochi mesi, i terrestri hanno posto piede sulla Luna e allora perché “loro” non possono essere arrivati da noi? L’ossessione dell’extraterrestre segnerà tutti gli anni Cinquanta e Sessanta. Mario Schifano ha scritto il trattamento del film con Tonino Guerra, sceneggiatore di molti film di Fellini; vi ha collaborato anche Nancy Ruspoli, una ragazza francese, che è stata sposata al nobile Dado Ruspoli, da cui ha avuto un figlio. Schifano, innamorato di lei, l’ha voluta come “public relation” nella trasferta americana. Di Nancy è il diario che accompagna questo viaggio ora restituito in un libro davvero interessante, che include le fotografie scattate dall’artista durante il viaggio: Mario Schifano, America 1970, Humboldt Books (con testi di Francesca Zanella, Giorgio Vasta e Nacy Ruspoli). Appena saliti sull’aereo a Roma, volo che fa scalo a Parigi, la hostess rimprovera Schifano, annota Nancy: invece d’allacciarsi la cintura continua a fotografare la sua compagna di viaggio.

 

 

Lei registra su un’agenda tutto quello che accade disegnando e incollando immagini sulle pagine. Con loro c’è Antonio Altoviti, direttore di produzione, cui lei confessa di aver conosciuto Mario da poco tempo: il 1° gennaio l’ha incontrato la prima volta, il 28 è stata a cena a casa sua, dove c’era anche Alberto Moravia; il 3 febbraio un altro incontro a casa di amici comuni; il 10 Mario gli ha quindi telefonato per proporle di collaborare allo script del film: Human Lab; il 27 fa quindi parte del gruppo in procinto di partire. Il 26, aggiunge, ha fatto un sogno, che riferisce nel testo incluso nel volume (There’s no Place like Home): ha sognato tutto il viaggio, durava secoli, e volavano sempre, ma senza ali. La storia pensata da Tonino Guerra e Nancy è interessante: un uomo riproduce la moglie mediante una macchina ideata per rifare ogni cosa. Ne esce Eva, una sorta di robot di carne, che imita solo quello che vede. Mary, la moglie, è disperata per questa intrusione e si mette alla ricerca dello scienziato per trovare una soluzione. Desidera un figlio dal marito e vuole sapere quando sparirà il suo doppio. Parla con lo scienziato, quindi rientra a casa serena. I due coniugi lasciano Eva davanti alla televisione e vanno in camera a fare l’amore. Eva vede sul televisore una scena di violenza: una donna pugnala un uomo. Va in camera da letto e pugnala il suo creatore. Mary cerca di scappare, ma viene raggiunta e uccisa.

 

 

Alla fine Eva si gonfia e si affloscia tra un mucchio di rifiuti. La storia fa venire in mente un racconto di Primo Levi, Alcuni applicazioni del Mimete, compreso nella raccolta Storie naturali, pubblicata solo quattro anni prima, nel 1966, in cui c’è una storia del genere. Un uomo usa il Mimete, un duplicatore, per riprodurre la moglie, ma poi capisce che non è il caso di vivere con due donne, e perciò duplica se stesso per dare un compagno alla nuova creatura. Alla fine si capisce che i due originali ora non sono più marito e moglie, ma che l’uomo originale s’è accoppiato con la nuova creatura creata, e il suo sosia con la moglie in carne e ossa. Levi ha scritto un finale più ottimistico di quello pensato dallo script, e sicuramente anche più umoristico. Non è detto che gli autori del trattamento abbiano letto il racconto dello scrittore torinese: la storia del duplicatore era nell’aria nel corso degli anni Sessanta.

 

 

Nel suo diario Nancy gioca con le due donne del film progettato, Mary e Eva, e parla di se stessa a seconda dei momenti come identificata nella Mary dolce e remissiva oppure nella Eva terribile. Si è tagliata i capelli prima della partenza per “cambiare faccia” e ci scherza sopra. Schifano la ritrae in molte foto, tra cui una a tavola, subito dopo aver pranzato, con i piatti davanti. Le fotografie sono il centro del libro, anche se il diario di Nancy e la sua agenda non sono da meno. Nel 1978 l’artista ha esposto queste immagini in una mostra alle Scuderie del Palazzo della Pilotta a Parma; il titolo era Mario Schifano fotografo.

 

 

La stampa delle fotografie è avvenuta su carta baritata e ai sali d'argento; e così si presentano nel libro di Humboldt Books. Argentate hanno un’aria molto curiosa. Sono prima di tutto delle pitture per via di quel contrasto tra il nero delle cose raffigurate e il riflesso chiaro prodotto dal fondo argento. Pitture e fotografie allo stesso tempo. Tutto è alieno in quegli scatti; hanno il sapore dell’innaturale. Le immagini sembrano dei piccoli specchi, che riflettono parte della luce attorno e la rimandano all’occhio dell’osservatore. Non un riverbero che acceca, ma qualcosa che confonde e rende il tutto inafferrabile. Questo è l’effetto pittorico. C’è inoltre un altro aspetto molto interessante. L’argento era all’epoca – fine anni Sessanta – il “colore” degli oggetti spaziali: missili, capsule, scafandri. Così il tono argentato non nega la nitida perfezione della innovazione, che Schifano vede nelle istituzioni americane; è la luce prodotta dagli alieni. Le persone ritratte, compresa la stessa Nancy, appaiono creature strane, personaggi giunti dallo spazio. I grandi computer della banca e dell’ente spaziale o l’insegna con l’aquila imperiale americana del Departement of Defense, sembrano immersi in una luce strana, metallica.

 

 

L’America, che emerge da queste foto, in cui predominano tagli veloci e scorciati, come scrive Francesca Zanella, è il prodotto del gesto pittorico di Schifano: visione impressiva e dinamica. C’è sempre un po’ d’ironia, come nel ritratto di una capsula spaziale, adagiata sul carrello, e accanto l’uomo su una panca che le gira le spalle; oppure la teca con la sovrascritta “Pinocchio”, vista allo Space Center della NASA, di cui parla il testo di Vasta. Dappertutto c’è Nancy, la Eva e Mary dell’artista, che scrive: “16 marzo. Mattina: Al Pentagono di Washington, nei lunghi corridoi, negli uffici, davanti alle medaglie d’onore sapevo di sembrare la distratta Eva, ma dietro al mio sorriso sentivo presente l’angoscia di Mary”.

 

 

Torna nel suo scritto sulla duplicazione prevista nel trattamento cinematografico: avviene dentro uno strumento che somiglia a una bara. Il 22 marzo sono a Hollywood. Nancy riflette e cita Laing, l’autore dell’Io diviso e di Nodi. Riguardo lo psichiatra annota: “il Sig. Lapalisse delle moderne relazioni umane dice delle cose così giustamente giuste”. Schifano scatta molte foto e Nancy gli chiede cosa farà di questi ritratti che le scatta. Arrivano il 28 marzo a New York: nevica. Due giorni dopo sono a Roma: l’odore di primavera, e il sole che la ubriaca. Le foto di Schifano hanno una forza dirompente, tipica della sua arte. Sono assertive, un modo di rendere presente il suo sguardo e i sui gesti, in particolare i ritratti di Nancy.

 

 

I fogli di agenda disegnati da lei possiedono invece qualcosa d’infantile e di poetico insieme, per quanto sia proprio la giovane Nancy a paragonare Mario a un bambino: “somiglia a mio figlio di due anni”. Nei suoi taccuini lei ripete il motivo del cuore: colorato, fratto, diviso. Un cuore decisamente pop, come quel viaggio in America alla ricerca di degli alieni, che in definitiva erano proprio loro due: Mario e Nancy.

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