#2 / Perché Freud è ancora necessario

23 Ottobre 2019

Freud necessario

Claudia Baracchi

 

Freud, o del creare raccordi: tra visibile e invisibile, veglia e sonno, passato remoto e possibilità future, principio di realtà e sogno, individuo e tessitura della vita. Freud, o della forza di unire, tracciando corrispondenze tra mondi all’apparenza lontanissimi, eppure risonanti nel pathos della discontinuità. Molte sue intuizioni restano imprescindibili, tra cui il nesso disagio e disturbi della memoria, l’attenzione al piccolo e trascurabile, la dimensione terapeutica dell’espressione, della parola che dà voce, del ricordo, della ripetizione. Non meno necessari sono certi suoi modi: la libertà di avventurarsi (anche errando) da non specialista in ambiti di ricerca diversi, il movimento fuori da ogni disciplina nota, l’audacia immaginativa, la capacità di cogliere l’arte e la letteratura come vie conoscitive non meno della scienza.

Ma quello che, particolarmente oggi, mi sembra del tutto necessario, è l’esercizio consapevole di sopportare in sé elementi divergenti, di comporre conflitti di improbabile risoluzione. Non solo la teorizzazione dell’ambivalenza, dell’Unheimlichkeit che inquieta l’interiorità, ma lo sforzo di sostenere l’insostenibile, di affermare le differenze in quanto differenze, di tenerle insieme in tensione. Questo nella sua portata tanto psichica quanto politica. Come quando, tardi nella vita, Freud, europeo orgoglioso e al contempo disilluso, in Mosè e il monoteismo immagina il gesto originario dell’ebraismo, e per estensione della cultura europea, provenire da fuori, dal non ebreo e non europeo: da un egiziano in fuga. Edward Said trovò questo “irrisolto senso di identità” uno dei lasciti più “fruttuosi” di Freud: cura il senso di alienazione in patria e apre a quella che Freud chiamò una “nuova patria più ampia”. Ampia quanto il mondo. Un mondo che resta a venire, in cui le differenze non siano solo da superare, o da tollerare, ma vissute come infinita ricchezza.

 

Claudia Baracchi, analista filosofa, insegna Filosofia morale all’Università di Milano-Bicocca, fa parte di Sabof (Società di analisi biografica a orientamento filosofico).

 

Un guerriero d'altri tempi

Clementina Pavoni

 

Sigmund Freud fu un combattente, un guerriero d’altri tempi, un eroe antico: un profeta del Vecchio Testamento come lo definisce Jung.

Nella Interpretazione dei sogni, riferendo il racconto del gesto di sottomissione del padre di fronte al cristiano che lo insulta in quanto ebreo gettando il suo bel berretto di pelliccia nuovo in mezzo alla strada, il piccolo undicenne si ribella e sovrappone all’immagine del proprio padre il gesto eroico di un altro padre, in qualche modo mitico: “A questa situazione […] ne sovrapposi un’altra, molto meglio rispondente alla mia sensibilità, la scena cioè in cui il padre di Annibale, Amilcare Barca, fa giurare al figlio davanti all’ara domestica che si vendicherà dei Romani. In Psicopatologia della vita quotidiana dichiara: Sulla storia dei Bàrcidi probabilmente pochi lettori la sanno più lunga dell’autore. Quindi davvero un amore, un’identificazione per il grande nemico dei romani, l’eroe fenicio, dello stesso ceppo del popolo ebraico.

 

 

Freud condusse per tutta la vita un confronto serrato con l’immagine della morte, una sorta di lotta da cui non si esce se non sconfitti, come Annibale. 

Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo, è l’esergo dall’Eneide di L’interpretazione dei sogni. Anche Freud, come Dante, si accompagna a Virgilio per il viaggio nelle ombre dello sconosciuto, del remoto, dell’inconscio. In qualche modo nel mondo dei morti.

Ma una piccola vittoria sulla morte Freud la mette a segno nel suo scritto Al di là del principio di piacere quando intravvede nelle cellule germinali di alcuni microorganismi l’immagine di una potenziale immortalità. E nella psiche di ciascuno la lotta e l’impasto tra le due pulsioni, di vita e di morte. Una lotta per la vita che Virginia Woolf testimonia nel suo incontro con Freud molto malato ed esule a Londra: “Un uomo molto vecchio, rattrappito e danneggiato […] con difficoltà di esprimersi, ma attento. Un immenso potenziale … un fuoco antico di cui rimane qualche guizzo”. 

 

Clementina Pavoni, psicologa analista, è membro ordinario dell’AIPA e presidente del Laboratorio analitico delle immagini (LAI).

 

L’altra metà del pensiero

Romano Màdera

 

Prima ancora delle teorie, la scoperta epocale di Freud è la pratica del colloquio analitico: un luogo e un tempo scavati fuori dai vincoli della comunicazione ordinaria. La stanza e l’ora dell’analista sono un enclave libero e protetto nel quale può esprimersi e riconoscersi la dialettica delle Maschere Sociali e dei Doppi Impresentabili con il loro corteo sintomatico. Perché l’incontro/scontro sia possibile serve una persona, l’analista, che, rinunciando all’espressione e al riconoscimento della sua vita personale, metta a disposizione se stesso per rendere possibile l’espressione e l’autoriconoscimento dell’altro, in uno spazio sgombro dalla minaccia della condanna. 

Per primo Freud ha liberato la potenza di senso, svalutata e compressa, della dimensione simbolica depositata nelle forme degli scarti del linguaggio, dei gesti, delle immagini, del sogno. Pur senza arrivare alla piena rivalutazione del pensare figurale/simbolico rispetto a quello logico/concettuale, ha delineato, nell’analisi del testo onirico, i lineamenti di una grammatica e di una sintassi del procedere per metafore e metonimie, per anfibolie e sincronie.

Infine ha scoperto, senza volerlo, in una trovata da serendipità, il modo per interrogare possibilità di senso che nascono dall’esperienza biografica, quando le vie tradizionali hanno cominciato a farsi afone. Ha offerto così, a una antichissima e nuova filosofia come modo di vivere, il suo alveo più promettente.

 

Romano Màdera, analista filosofo, fa parte dell’AIPA, del LAI e di SABOF.

 

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