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Paradossi e rigore / Regole regole regole

9 Maggio 2020

Questa primavera resterà impressa nella memoria come la ‘stagione delle regole’. Regole per lavarsi le mani (come, quando, quanto). Per mantenere le distanze. Per salutarsi. Per correre nei parchi, per visitare i parenti, per viaggiare. A queste regole comuni, ciascuno ne ha aggiunte di personali: disinfettare la spesa, i vestiti, le mascherine, togliere le scarpe, fare solo la spesa online.

 

Le regole sono indispensabili, non solo durante le emergenze ma anche nella vita di tutti i giorni. Possono essere pesanti ma, stranamente, ci rendono la vita più leggera. Le regole ci dicono chi siamo: seguire le regole in modo acritico è segno di scarsa autonomia e capacità di scelta. Rispettare troppe regole in modo ossessivo può manifestare addirittura un disagio mentale. Ma all’estremo opposto, l’assenza di regole rende le persone inaffidabili, e la convivenza sociale impossibile.

 

Tutta la vita in un certo senso è un equilibrio delicato fra regole e libertà. Libertà significa esplorare, sperimentare, scoprire che cosa ci piace e non ci piace, per poi scegliere ciò che è meglio per noi o per tutti. Le regole limitano la libertà imponendo comportamenti automatici: ‘se A allora B’, ‘nella situazione X fai Y’. Ma proprio per questo le regole ci semplificano la vita: ci fanno risparmiare tempo, danno stabilità e prevedibilità alle nostre azioni, e ci permettono di concentrarci sulle attività che meritano più attenzione — perché sono più divertenti, più creative, o solamente importanti. Ecco il primo paradosso: seguire le regole ci permette di essere più liberi.

 

Il secondo paradosso è più complicato: se la regola dice ‘fai Y’, e Y è effettivamente la soluzione migliore, allora la regola è inutile. Basta scegliere ciò che è meglio. Se invece Y non è ottimale, allora seguire la regola è sbagliato. Ma stiamo assumendo di sapere con certezza qual è la scelta migliore. Spesso questo non è vero: dato che pensarci troppo sarebbe una perdita di tempo, è meglio avere una regola che porta a un risultato soddisfacente nella maggior parte dei casi.

 

Le regole del Coronavirus ci aiutano a gestire l’incertezza generata dal contagio. Forniscono un aiuto psicologico perché il nostro cervello fa fatica a calcolare gli eventi rischiosi. Le regole provano a portare un po’ di chiarezza in una miriade di decisioni dai contorni vaghi e dagli esiti imprevedibili. Possono anche generare un falso senso di protezione, creando la suggestione che rispettare le regole garantisca salvezza (non è vero). Fingendo che il mondo sia deterministico, inducono una fobia della trasgressione — si è ammalato perché quel giorno non si è messo la mascherina (non lo sapremo mai).

 

Ma ridurre la libertà di scelta può essere una strategia intelligente, se decidere volta per volta la condotta più opportuna può avere esiti disastrosi. Anche in tempi normali le nostre giornate sono strutturate da regole personali, tipo lavarsi i denti dopo colazione, non fumare più di cinque sigarette al giorno, o fare la spesa tutte le domeniche. Poiché si tratta di impegni che prendiamo con noi stessi, queste regole tracciano linee ben definite che sarebbe difficile varcare di nascosto. ‘Cinque’ è più preciso di ‘poche’. ‘Dopo colazione’ è più chiaro che ‘ogni mattina’.

 

Darsi regole ferree è costoso, come sanno bene gli ex-fumatori o bevitori. Immaginate una bella serata con gli amici, che un bicchiere di vino renderebbe ancora più piacevole. Ma uno tira l’altro, e in un attimo un bicchiere diventa tutta la bottiglia. La regola di astinenza traccia una linea invalicabile, che non ammette eccezioni. Gli amici guardano l’astemio con ammirazione e anche con un pizzico di compassione. Perché le regole rendono la vita più sicura, ma meno piacevole per chi le segue in modo intransigente.

 

L’ex-bevitore gioca un gioco strategico con se stesso. Seguendo rigidamente la regola, neutralizza la tentazione di scambiare un piccolo piacere oggi con un grosso problema domani. In un senso piuttosto ovvio, sta cercando di proteggere se stesso. Ma spesso abbiamo bisogno di regole per proteggere gli altri. 

 

I rischi del Coronavirus sono bassissimi per molte persone, che però spargendo il contagio aumenterebbero la probabilità che muoiano altri. Se tutti i giovani uscissero liberamente, ovviamente non avrebbe senso che Alice stesse a casa. Ma anche il contrario è vero: se tutti stessero in casa, Alice potrebbe andare in spiaggia o fare jogging senza mettere a rischio nessuno.

 

 

Per risolvere il problema di Alice ci vogliono regole sociali. Ma quali regole? E come farle osservare? Anche in questo caso è meglio avere poche regole, semplici, chiare, e universali. È probabile che indossare una mascherina mentre cammini per strada sia inutile. Basterebbe stare alla giusta distanza dagli altri. Ma metti che esci senza mascherina, scopri di essere in ritardo, e sta passando il tram. Sembra che ci sia poca gente… sali lo stesso?

 

Che cosa vuol dire ‘poca’? Quanta gente deve esserci per creare pericolo? Quanto pericolo? La linea non è mai chiara. Ma lascereste decidere a un ritardatario, magari un po’ stanco e che non vede l’ora di arrivare a casa?

 

Una regola inutile in alcuni casi — anche molti casi — non è sempre una regola inutile. Le regole sociali hanno un effetto cumulativo su milioni di episodi, molti dei quali magari non si verificheranno proprio grazie alle regole stesse. D'altronde troppe regole con tante applicazioni inutili diventano difficili da sopportare, come ci ricorda l’infinita lotta contro la burocrazia. E se troppe persone trasgrediscono le regole, sarà difficile costringerle con la forza.

 

In questi giorni sono stati fatti molti confronti fra gli approcci di diversi paesi all’emergenza del virus. C’è chi ha imposto regole draconiane rinforzate da dure punizioni (Cina). Chi ha sfruttato norme igieniche e sociali già radicate nella popolazione (Corea, Giappone). Chi invece si è appellato al buon senso dei cittadini, limitandosi alla persuasione (Svezia, Gran Bretagna). Noi italiani in qualche modo ci siamo trovati in mezzo. Abbiamo legiferato tanto e imposto molte regole. La polizia ha vigilato, e un poco multato.  

 

Legiferare tanto è un nostro vizio, per ragioni storiche e di cultura giuridica. In generale è un errore, perché è meglio che le leggi siano poche e chiare. Ma una regola senza forza di legge non è inutile? Abbiamo guardato con curiosità, sospetto, e anche un po’ di invidia i paesi che non hanno imposto la quarantena con minacce poliziesche. Reclusi nelle nostre case, abbiamo segretamente sperato che svedesi e inglesi si sbagliassero, perché altrimenti la nostra intransigenza sarebbe sembrata un po’ inutile. Ma abbiamo ignorato il terzo paradosso: nessun governo può imporre ai cittadini il rispetto delle regole, se questi non vogliono seguirle. Possono imporle a pochi, ma non a tutti. L’auto-controllo e il controllo sociale sono indispensabili, e il ricorso alla forza è già l’ammissione di un mezzo fallimento.

 

Il controllo sociale non è necessariamente meno pesante della mano della legge. Il bagnante siciliano che pagava regolarmente le multe instaurava un rapporto impersonale con la comunità, mettendosi in pari con lo Stato. Se i suoi amici e parenti lo avessero considerato un cretino, e lo avessero fatto pesare, probabilmente sarebbe stato più difficile perseverare.

 

Ma lo Stato può fare un passo indietro solo se la società fa la sua parte. Il quarto e ultimo paradosso è che le regole funzionano se ci fidiamo degli altri. Fiducia vuole dire tante cose: dobbiamo fidarci in primo luogo che non ci si approfitti delle regole. Ma dobbiamo anche fidarci che le trasgressioni siano giustificate — perché le regole non sono mai ottimali e non c’è regola che non ammette eccezione. Poiché la gogna del popolo non prevede giusti processi, prima di puntare il dito ricordiamoci di sapere poco o nulla delle circostanze altrui. 

 

Dobbiamo infine fidarci che gli altri si fidino di noi, come noi ci fidiamo di loro. Legiferando molto purtroppo lo Stato ci ha detto che non si fida di noi, e che noi non ci fidiamo l’uno dell’altro. Dopo tutto siamo il paese degli evasori e dell’infinita caccia agli evasori. E siamo anche il paese che in periodi storici difficili ha scelto la mano pesante della legge invece della libertà, della cooperazione, e della democrazia.

 

L’atteggiamento nei confronti delle regole ci dice molte cose riguardo al tipo di persone che siamo. Ci sono i precisini e i casinisti, i rigidi e i laschi. C’è chi ama avere molte regole e chi fa fatica a sopportarne poche. Quelli sempre pronti a fare eccezioni per se stessi. Quelli che invece si auto-impongono regole più rigide degli altri. Ma l’atteggiamento nei confronti delle regole rivela qualcosa anche della società nella quale viviamo. Temiamolo a mente nei prossimi mesi se, come pare, dovremo riscrivere molte regole del contratto sociale.

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