Chiesa e omosessualità / Sodoma

11 Maggio 2019

Non sono un fautore dell’asetticità delle inchieste, anche quelle più rigorose e scientifiche. La presunta neutralità della scienza l’abbiamo abbandonata senza rimpianti oltre cinquant’anni fa, partendo da una prospettiva politica poi aiutati dalla scienza stessa nel momento in cui ci spiegava che sempre o quasi sempre – in modo spettacolare nel mondo quantistico dell’infinitamente piccolo – l’azione dell’osservare modifica l’oggetto osservato, lo rende ancora più autonomo e “soggettivo” anziché oggettivo e cristallizzato. Dunque anche un’inchiesta piena di numeri, di dati e di riscontri e di fact-checking mostra – poco o tanto – la mano (la prospettiva, l’ideologia, la cultura, la sub-cultura) di chi l’ha condotta. E quella mano, appunto – poco o tanto – modifica l’oggetto indagato, senza per questo negarci verità verificabili anche se orfane del mito dell’assolutezza. E se allora è così, che la mano si veda anzi venga esplicitata è fonte di ulteriore chiarezza e rende la discussione più proficua.

 

Ricordare queste ovvietà è indispensabile per parlare di Sodoma, la monumentale inchiesta di Frédéric Martel (pubblicata contemporaneamente in otto lingue e in una ventina di Paesi, in Italia da Feltrinelli) sull’omosessualità nella chiesa, anzi tra il clero, anzi in Vaticano e nel cuore del Vaticano. Sui gay “velati”, gay “praticanti” quasi tutti, infedeli alla promessa del celibato e dalla doppia vita. “Il Vaticano – riassume l’autore – ha una delle più grandi comunità omosessuali al mondo e dubito che perfino a Castro, noto quartiere gay di San Francisco ormai molto etero, ce ne siano altrettanti!” (Castro era il quartiere di Harvey Milk, en passant), “omosessuali nascosti” che però – prosegue Martel – “sono la maggioranza, sono potenti e influenti”.

Con questa affermazione, c’era e c’è di che leggere. Eppure – ecco la sorpresa – le cinquecento pagine di questa inchiesta inedita e per moltissimi aspetti sconvolgente sono nulla rispetto ad alcuni passaggi del Prologo e alla ventina di pagine dell’Epilogo.

 

Del corpo imponente e massiccio di questo libro ricordo allora i dati essenziali, elencati ammirevolmente e meticolosamente dallo stesso autore: quattro anni di ricerca sul campo, in trenta Paesi, millecinquecento interviste, una squadra di collaboratori di oltre ottanta persone in tutto il mondo, eccetera. 

Ma a me interessano quelle altre paginette.

Perché l’autore – che ci racconta e svela e dimostra questa lobby potentissima (lui nega si possa definire lobby, con qualche ragione), oscura, tutto meno che limpida – l’autore che si spinge ad affermare che questi dati non solo rappresentano la chiave decisiva per comprendere il Vaticano e la sua posizione nella nostra società ma addirittura gran parte dei fatti che hanno segnato la storia e la politica tout-court degli ultimi decenni, ecco, questo stesso autore si posiziona totalmente all’interno di questo mondo, delle sue modalità, del suo linguaggio. L’atteggiamento di Martel è spudoratamente (non in senso moralistico, il moralismo non c’entra in questa discussione, non stiamo parlando di bene e male e di ragione o torto, ognuno si faccia la propria opinione) spudoratamente dicevo divertito, compiaciuto, complice. Martel rappresenta al massimo grado quella sottocultura gay (sempre in senso sociologico, ovviamente) che pensa sono tutti un po’ omosessuali, quella che non sa resistere al piacere del pettegolezzo, che pretende che i “simili” (che simili non lo sono affatto) si riconoscano tra loro alla prima occhiata, quella che usa il chiacchiericcio “scheccante” come si trattasse di prova scientifica. 

 

Una prima osservazione dunque è questa. Tutto legittimo. Ma per me è stridente e anche sconcertante la contraddizione fra una ricerca così rigorosa e poi ritrovarmi a leggere passaggi del tipo quel tale monsignore è sicuramente gay lo sanno tutti me lo ha detto il talaltro… con la fonte oltretutto protetta da un comprensibile anonimato. Non che sia sempre così, ovvio, ma quando è così, insomma… Con l’aggravante che essere a tal punto sdraiati su questo modo (e mondo) definiamolo particolare finisce con l’indurre una specie di dubbio sistematico, un sospetto ben oltre i confini del sospetto legittimo. 

Una delle prime cose che ci racconta Martel è che “spesso questi prelati, grandi e piccoli, mi hanno garbatamente fatto la corte, e alcuni, a loro rischio e pericolo, non si sono tirati indietro e mi hanno apertamente rivolto delle avances. I rischi del mestiere!”. L’autore è dichiaratamente gay, e questo aneddoto sul “provarci” che parrebbe una presa di distanza si capisce poi molto presto come, al contrario, sia un’esibizione divertita, autogratificante. Da teatrino gay, appunto. E che questa “narrazione”, come si dice oggi, non è una confessione privata ma risponde esattamente a uno dei principali comandamenti della sottocultura gay di cui dicevo: tutti ci provano con me. Il che non è quasi mai vero, è un gioco, un linguaggio, un’ideologia, un cliché identitario e comunitario, quello che vi pare. Un mito, in ogni caso. Che, in un contesto scientifico, suona davvero incongruo, e legittima – come scrivevo – dubbi anche oltre quelli che sarebbero legittimi.

 

 

Francamente, non credo proprio che così tanti preti gay con compagni, mariti, amanti, figliamanti, maggiordomiamanti, avventure, éscort a go-go aspettassero proprio Martel per provarci o fossero così assatanati da averci provato appunto così copiosamente anche con lui. Non ci credo perché riconosco in questa “scena” e in questa “lettura” il più classico dei miti di una parte della sottocultura gay, di quel teatrino così noto, così diffuso e così amato da una parte del mondo gay vecchio stampo (tornerò su questa faccenda del “vecchio stampo”, si rivelerà abbastanza cruciale). E allora se già a pagina 8 mi tocca dubitare di una cosa data per certa e addirittura sperimentata in prima persona da chi scrive, mi sarà difficile credere a tutte le altre cose date per dimostrate ma che non lo sono.

E si può scrivere, in un testo con le pretese che ha questo libro, la seguente frase: “Francesco è dunque minacciato, è attaccato da ogni parte e criticato. Si è detto che si trova “tra i lupi”. Non è proprio così: è tra la le Folli”? (conclusione del Prologo). Secondo me, no.

 

E posso trovare questa annotazione (che effettivamente trovo a pagina 538): “Per non parlare delle gelosie suscitate da questa relazione, visto che il compagno in questione, a quanto mi dicono, è ‘una bomba’”? A quanto mi dicono. Siamo lontani da ciò che si intende per “prova scientifica”. E lo sfrugugliare compiaciuto sulle eccezionali prestazioni sessuali di qualcuno a cosa è più vicino, all’indagine scientifica o alle più che rispettabili scenette da Drag Queen? 

Come possono stare insieme queste cose in un’inchiesta che di se stessa racconta – ammirevolmente, ancora una volta – per pagine e pagine ogni dettaglio tecnico e metodologico, in modo che il lettore capisca che ci troviamo di fronte al tasso di oggettività più alto possibile in natura?

Più sconcertanti, ma anche più importanti, le conclusioni a cui Martel arriva dopo questi quattro anni di indagine sul campo. 

 

Perdonerete la lunghezza delle citazioni. Non c’è altro modo.

Scrive Martel: “La reinvenzione dell’amore è anche la rivelazione più sorprendente di questo libro – e anche la più bella e la più ottimistica – e quella con cui mi piacerebbe concludere la mia lunga indagine. In seno alla Chiesa, in un universo fortemente costretto, i preti vivono le proprie passioni amorose e, nel farlo, stanno rinnovando il genere e immaginando nuove famiglie allargate. Il Vaticano è anche un luogo di inattese sperimentazioni: qui si creano nuove forme di vita di coppia; qui vengono sperimentate nuove relazioni affettive; qui vengono inventate nuove modalità di vita gay; qui si azzarda la famiglia del futuro; e qui si prepara l’uscita di scena dei vecchi omosessuali. Al termine di questa inchiesta si profilano cinque tipologie principali di sacerdote: la “vergine folle”, lo “sposo infernale”, il tipo “della pazza per affetto”, il “Don Giovanni ingannato” e, infine, il modello “La Mongolfiera”. In questo libro abbiamo tratteggiato questi archetipi; li abbiamo adorati o detestati”. 

 

E poi. “Nel corso di questa inchiesta ho fatto dunque la scoperta di vere e proprie relazioni amorose in seno al clero, rapporti che in base all’età e alle circostanze possono esprimesi sotto forma di un amore paterno, filiale o fraterno – e questi “amori di amicizia” mi hanno confortato. Le restrizioni imposte dalla Chiesa hanno costretto questi sacerdoti a inventarsi delle magnifiche scappatoie per vivere le loro belle storie d’amore, come facevano gli autori del teatro classico”.

Un altro passaggio: “Molti tra questi cardinali devono il proprio successo sessuale alla propria posizione: hanno saputo alimentare e incoraggiare l’ambizione dei loro favoriti”.

Ancora: “Lasciare il proprio assistente significa correre il rischio di finire in situazioni imbarazzanti: i pettegolezzi, i tradimenti e talvolta i ricatti”. “Tra gelosie e a volte violenze”.

E ancora: “Un cardinale che, abituato ai ragazzi a pagamento, ora sembra essersi dato una calmata ha trovato la soluzione: a ogni minimo spostamento si fa accompagnare dal proprio amante che presenta come la sua guardia del corpo!”.

“I preti sarebbero dunque i precursori dei nuovi modelli di vita Lgbt?”.

“Questa relazione amorosa, generosa, ingegnosa, si fonda su sacrifici e su di un amore autentico che suscita ammirazione”.

 

“Per quanto possa sembrare sorprendente, i preti e gli ecclesiastici stanno inventando queste nuove famiglie, queste nuove forme d’amore post-gay, questi nuovi modelli di vita come li aveva immaginati il filosofo omosessuale morto di Aids più di trent’anni fa” (il riferimento è a Michel Foucault).

Ma proprio no. Non vedo niente di nuovo e francamente nemmeno di particolarmente ammirevole in tutto questo. Ci vedo piuttosto da un lato la scoperta dell’acqua calda, dall’altro un’adesione appassionata e molto ingenua che non mi so spiegare se non ricorrendo a categorie psicoanalitiche (e non ci penso nemmeno, ho sospetti da lettore,  non altro).

So però, di sicuro, che qui ho trovato esattamente il vecchio mondo gay, il più vecchio che conosca, non quello nuovo, e ancor meno quello del futuro. E nessuna, ma proprio nessuna, indicazione che vada nella direzione indispensabile e urgente della ricerca di nuovi modelli, nuove famiglie e – non meno importante, anzi – nuove parole.

Martel ha scritto il suo libro poi ne è diventato lettore. Come capita a tutti coloro che pubblicano, a quanto ne so. Solo che lui poi ha letto un altro libro rispetto a quello che aveva scritto.

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