La Rete sogna? / Werner Herzog: “Lo and Behold”

11 Novembre 2016

Lo and Behold è un documentario di Werner Herzog sull’impatto di Internet, della robotica e dell’Intelligenza Artificiale sul futuro delle società post-industriali di oggi. Herzog spazia dalla nascita di Internet alla società del data mining (l’estrazione di dati, ma anche abitudini di consumo e stile di vita dall’informazione prodotta dagli utenti delle tecnologie digitali); dall’Internet delle cose (che promette di rendere smart e connessi gli oggetti che usiamo) alla ricerca scientifica condotta in cooperazione tra scienziati e cittadini; dal rapporto tra hacking, potere e sorveglianza (si vedano le rivelazioni di Edward Snowden) agli scenari presenti e futuri di privacy panic e guerra di intelligence ; dalla vita su Marte delle multinazionali che si sostituiscono alle nazioni nella corsa allo spazio, alle macchine autoguidate e agli androidi che si sostituiranno all’umanità nel lavoro (e che cercheranno persino di giocare a calcio).

Il focus di Lo and Behold è sulle trasformazioni sociali, etiche, filosofiche che investiranno il concetto stesso di umanità in un orizzonte prossimo a venire. Il film esplora le tecnologie digitali, l’avvento di sistemi cibernetici e l'integrazione tra macchine e corpi – il cui apice sarà probabilmente il riconoscimento di forme avanzate di intelligenza artificiale – e il modo in cui probabilmente ridefiniranno il mondo che abbiamo conosciuto fino al giorno d’oggi. Herzog insegue questa matassa biotecnologica perdendosi in un glorioso zibaldone sulle parafilie e fobie tecnologiche del nostro presente, difficile da contenere dallo stesso regista. 

 

Herzog si affida a interviste con figure chiave e guru come Bob Khan (co-ideatore dei protocolli TCP e IP), Elon Musk (fondatore di PayPal, Tesla Motors e dell’agenzia spaziale Space X) e Ted Nelson (teorico dell’intertesto). La passione di Herzog per l’oscuro e per l’ambiguo si riflette però parallelamente sulla scelta di mostrare soggetti marginalizzati o eccentrici, rimossi dal proscenio dei dibattiti futurologici più ottimistici. Si va dunque dagli Internet addict finiti in centri di recupero ai gamer costretti a indossare pannolini per non lasciare le postazioni di gioco (o deceduti in seguito a sedute troppo estenuanti); dalle vittime del trolling e del voyeurismo della morte che reputano Internet il nuovo anticristo ai sedicenti intolleranti alle radiazioni dei trasmettitori, isolatisi in comunità schermate dall’impatto dei ripetitori. 

Lo and Behold si avvita intorno a queste contraddizioni finendo – a dispetto degli usuali capitoli in cui è suddiviso – con l’essere altamente asistematico. In un certo senso questo aiuta Herzog a dare un’idea della irrisolta e caotica proliferazione delle prospettive di questo periodo storico e delle trasformazioni che sta incubando. Fino alla domanda finale: “Internet sogna se stessa?”. Il risultato, probabilmente, non è tra i film più memorabili o in grado di lasciare il segno di Herzog, ma è interessante soprattutto per i discorsi e gli eventi che lo hanno circondato, e per come questi aspetti ci parlano soprattutto del suo regista.

 

 

Lo and Behold è un film di Werner Herzog e per questo, inevitabilmente, è anche un film su Werner Herzog. In questo caso l’ombra dell’autore si manifesta, prima ancora che attraverso la regia, la scrittura o la voce narrante, attraverso lo stesso evento mediatico che lo circonda. Lo and Behold ha debuttato (se fa eccezione la premiere del Sundance Festival) in streaming, tanto sui dispositivi degli spettatori che in una serie di cinema selezionati, sintonizzati su un unico live event. È una modalità di presentazione che combina il tema del film con la tecnologia che discute, ma è anche un' inevitabile passerella celebrativa. Herzog è un regista la cui consacrazione sta transitando da un ambito “cinefilo” a quello di un pubblico più ampio e variegato: in un certo senso, per sua stessa ammissione, la tecnologia è un mezzo attraverso cui ripensare la propria visibilità. 

 

Lo and Behold nasce da una costola di From One Second to the Next (2013), un precedente lavoro di Herzog sui rischi e i sottovalutati costi sociali del texting and driving – la perniciosa abitudine di molti di utilizzare gli smartphone per scrivere mentre si è al volante, che miete decine di vittime al giorno. Lo and Behold deve la sua esistenza al successo del film precedente, pensato per essere visto su YouTube, ed è finanziato da una compagnia di cyber security, Net Scout. Entrambi i progetti devono temi e natura stessa del proprio formato e consumo alle tecnologie digitali: Herzog stesso, nelle battute iniziali del dibattito seguito alla première, discute Lo and Behold come un film trasmesso in 179 nazioni e su molteplici piattaforme di streaming e che quindi fa parte di un modo di concepire il cinema che ridefinisce e abbatte la nozione tradizionale dello spettacolo di sala.

 

L’evento mediatico di Lo and Behold rappresenta forse un punto di snodo importante per Herzog e per il modo in cui il proprio modello di autorialità viene trasposto nei modelli di consumo del post-cinema. Anche Into the Inferno, l’ancora più recente (e forse più herzoghianamente messianico) documentario di Herzog di questo anno su vulcani e disastri naturali, rientra in questa logica, trasmesso com’è in esclusiva su Netflix (se si esclude la première al Telluride). Attraverso questi film Herzog è divenuto sia autore che brand, tanto evento di post-gala quanto contenuto on demand, tanto happening sincrono quanto prodotto da consumare asincronicamente. È tra l’altro curioso che, nonostante le premesse, l’esperienza del film sia iniziata per molti sotto il peggiore degli auspici: un servizio di streaming che non funzionava. 

Ironicamente, uno stuolo di spettatori paganti si sono trovati a lamentare trasmissione precaria, problemi di login, audio assente e problemi di sincronizzazione culminati nei commenti taggati #FAIL. Ma si tratta in fondo di una degna introduzione alla croce e alla delizia del documentario: il rapporto a doppio filo tra le potenzialità emancipatrici e rivoluzionarie delle nuove tecnologie e il loro esito in ultima analisi imprevedibile, incontrollabile, banalmente disfunzionale, prima ancora che potenzialmente distopico.

 

#FAIL.

 

Il rollercoaster selvaggio di Herzog abbraccia una quantità disorientante di materiale, iniziando con una sbornia quasi euforica sulle origini, gli ordini di grandezza e le “magnifiche sorti e progressive” delle nuove tecnologie. Si parte dalla constatazione che se i dati che produciamo fossero masterizzati su CD-ROM, la pila arriverebbe fino a Marte e poi da Marte alla Terra. O con la nascita di Internet a Stanford, nella stanza 3420, quando la trasmissione riesce a comunicare solo le lettere L e O di Log prima di inchiodarsi (ispirando in parte il titolo del documentario: ‘guardate e ammirate’, ma anche ‘connettetevi e meravigliatevi’). 

 

Big Data.

 

Il pallino iniziale di Herzog sembra essere quello delle meraviglie della società delle reti e dei grandi numeri: ci sono storie come quelle di Adrian Treuille e del gioco Eterna, una delle “glorie della Rete”, un videogioco concepito come un immenso modello di analisi molecolare per la ricerca sulle catene di RNA. Questo game with a purpose, sviluppato dalla Carnegie Mellon University e da Stanford, e sponsorizzato dalla National Science Foundation statunitense, dimostra come i legami chimici dell’RNA, sebbene composti dalla natura, siano stati “messi in gioco”, interpretati dall’uomo per potere essere sintetizzati in laboratorio. 

Herzog è anche affascinato dalle macchine autoguidate, che funzioneranno grazie a un’integrazione tra reti, satelliti e dispositivi di monitoraggio laser, e vedrebbero dunque “un mondo virtuale”, cercando di minimizzare gli incidenti e di andare a sbattere “su qualcosa e non su qualcuno”. Herzog insiste sull’intelligenza artificiale, che promette di svilupparsi a ritmi che non potremo neppure comprendere, ma anche sui corpi di robot e androidi che, secondo il roboticist Joydeep Biswas, sconfiggeranno un giorno “i campioni della FIFA”. Herzog domanda civettuolo: “do you love these machines?”, ma l’incursione negli scenari cyber-erotici che ci si aspetterebbe a seguire si spegne insieme a qualche considerazione su Tinder e su come promuova la fornication

Prevedibilmente, però, il quadro euforico finora concepito si incupisce presto. L’attenzione si sposta sugli aspetti più oscuri della rete, sul macabro e sul grottesco. Herzog intervista la famiglia di una vittima di un incidente che finisce decapitata, e le cui foto diventano virali: derisi dai troll online, i famigliari vedranno in Internet una manifestazione dell’Anticristo. Herzog cerca anche paralleli e contraddittori paradossali. Da un lato troviamo i programmi di ricerca di vita extraterrestre tramite l’analisi di segnali radio, condotti in zone schermate dall’inquinamento da frequenze. Dall’altro ci sono i “nuovi eremiti”, auto dichiaratisi sofferenti da radiation sickness e isolati nel raggio radiation-free di quelle stazioni di ricerca (si veda una scena memorabile di Better Call Saul). 

 

Trolling e Anticristo.

 

Testimonianze bizzarre o fuori dall’ordinario completano lo spettro delle umane emozioni. Un contraltare inquietante alle sorti positive dei videogiochi quello dei genitori che lasciarono morire la propria figlia per curare un figlio virtuale in un videogioco, ma non mancano all’appello le morti per estenuazione dei professional gamer coreani, o il fatto che arrivino a indossare dei pannolini per non abbandonare le partite in corso. 

Herzog si sposta infine su aspetti ancora più imponderabili, potenzialmente catastrofici, e fatalisticamente sottratti al controllo dell’uomo. Ad esempio, sui solar flare, le cicliche radiazioni solari in grado di interferire con le trasmissioni di dati, che replicheranno prima o poi black-out come quelli del Carrington Event del 1859, ma con effetti più devastanti e perdite umane immani, tale è ormai la nostra dipendenza dalle Reti. Intervistando Jonathan Zittrain, professore di Internet Law a Harvard, Herzog discute il collasso delle civiltà: il mondo che diventerebbe istantaneamente “unimaginably ugly and difficult”. 

 

Herzog è, ovviamente, anche interessato agli scenari apocalittici potenzialmente guidati dalla mano umana. Guerre di intelligence, potenziali apocalissi nucleari dovute a hacker e terroristi. Se non è l’uomo ad autodistruggersi, potrebbero pensarci anche le intelligenze artificiali. Se la Rete iniziasse a pensare a se stessa in seguito all’avvento della singularity, e se gli inspiegabili flash crash finanziari sono le prime scintille di algoritmi un giorno autocoscienti, l’intelligenza umana non diventerebbe che un lascito arcaico, da spazzare via (senza il ricorso a guerre in stile Terminator, ma manipolandoci in maniera più sottile)? 

 

Cyborg.

 

Non vi è però apocalisse senza possibile redenzione: se la cosiddetta Internet of me, l’integrazione quotidiana uomo-macchina, diventasse sempre più pervasiva, diventando fondamentalmente invisibile ai nostri occhi, non ci penseremo più in termini dialettici: saremo i robot. La telepatia potrebbe diventare una realtà, grazie a connessioni neurali con chip e reti di dati: “You will be tweeting thoughts”. In questo futuro, fondamentalmente ingovernabile e impossibile da controllare, nessuno saprà distinguere uomini e macchine. Forse l’umanità sarà già interplanetaria e i pianeti proprietà privata, grazie alla competizione tra NASA e progetti come Space X di Elon Musk. 

Lo and Behold cattura varie dimensioni di una serie di dibattiti e temi importanti, lasciando in fondo meno spazio esplicitamente assegnato alla speculazione filosofica e alla voce personale di Herzog, che parla molto poco, e filtra soprattutto attraverso la parabola dei vari casi. L’aspetto più interessante della première non è, paradossalmente, il film in sé, ma il modo in cui Herzog lo confeziona come una rassegna sullo stato delle cose tecnologiche a venire, contraddistinta dagli ormai classici marchi di fabbrica dell’autore. I temi futurologici hanno fatto un grande ritorno in questi anni, tra serie come Real Humans o Mr Robot, film come Her e Ex Machina, notizie quotidiane sullo stato dell’arte di cyber crime, leak governativi, cospirazioni, droni e androidi. Sorprende che Herzog non si soffermi su aspetti legati al sesso e alla pornografia, ma il resto dello scibile è coperto, inclusi i videogiochi, la next big thing scoperta dagli accademici dopo soli quarant'anni. 

 

Di Herzog manca una posizione univoca, una presa di posizione. Restano lo stile aforistico, gli interrogativi vaticinanti, l’inclinazione generale a un indifferentismo di fondo nel considerare i fatti umani rispetto alla natura, la scelta degli aneddoti e dei camei: dai monaci tibetani che smettono di meditare per twittare fino al Wikipedia Emergency Project, progettato per preservare l' enciclopedia in formato di stampa nel caso di un black out perenne. La ricerca dell’inusitato, del meraviglioso e di ciò che trascende le categorie di analisi umana porta Herzog a non intraprendere alcuna critica politica e radicale allo stato attuale dei rapporti tra potere, informazione e diseguaglianza. È un punto che sarebbe interessante affrontare alla luce di un documentario molto diverso, come Hypernormalization di Adam Curtis, in cui la tecnologica è affrontata soprattutto da una prospettiva di critica alle nuove sinergie tra governance, interessi del capitale finanziario, civiltà del consumismo e nuove forme di classismo, xenofobia e colonialismo economico. 

 

Mentre Curtis invita lo spettatore a scollegarsi dal panopticon pervasivo e ipnotizzante della società del consumismo data-driven e da un mondo dominato da compressioni tra capitale culturale, economico e accesso a informazioni, Herzog osserva l’umanità in Lo and Behold come un entomologo. Se quello di Curtis è un saggio visuale di studi critici sui media, la cultura di massa e relative distopie in corso e in divenire, Herzog resta un osservatore dei paradossi e dei confini stessi della coscienza, nell’impatto con una natura fondamentalmente imponderabile. Anche se è pronto a calarsi nella prospettiva delle api nell’alveare, Herzog resta inevitabilmente affascinato dall’idea di infine librarsi ancora più in alto e osservarne i percorsi e il punto di non ritorno, piuttosto che scostarsi per indicarne la struttura sociale. 

 

La prèmiere in streaming.

 

Infine, Herzog è soprattutto interessato a Herzog. L’evento in streaming serve a cementare la sua identità di pensatore e visionario. Herzog ci riferisce di non sognare, a differenza forse della Rete. Dice di continuare a non amare le scuole di cinema, nonostante una sua recente Master Class sia stata pubblicizzata su Facebook. Ci ricorda che anche se delle primordiali intelligenze logaritmiche hanno già scritto degli script o girato dei film, perlopiù si tratta di opere “poco interessanti, confuse e stupide”. Ma se anche i robot imparassero a migliorare, o persino, più improbabilmente, ad amare – riferisce Herzog – non farebbero mai film “del calibro dei miei”. Forse per Herzog questa sfida va letta come quella tra il computer Deep Blue e il campione di scacchi Garry Kasparov, e i robot continueranno ad avere un senso inadatto alle emozioni. D’altro canto, Herzog continua a consigliare al pubblico di rifarsi ai grandi maestri, a artisti in grado di elevarsi in visioni che resistono il tempo – artisti come Herzog stesso. Eppure, la sua stessa poetica, all’insegna di un distacco dalle umane passioni, nella ricerca di una “verità estatica”, non è forse compatibile il modo in cui un’intelligenza sintetica guarderebbe l’umanità? O è forse più corretto dire che Herzog è un romantico e che, nelle sue parole, smetterà di fare film “quando mi porteranno via in una camicia di forza”?

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