Accadde una notte. Dialogo con Vito Zagarrio

1 Gennaio 2016

A. S.- Accadde una notte è una delle commedie più felici del cinema classico oltre che uno dei film più ottimisti e fortunati di Frank Capra, il regista che ha meglio incarnato il Sogno Americano e lo spirito ricostruttivo del New Deal. La speranza, i buoni sentimenti, i piccoli gesti di eroi quotidiani immancabilmente premiati dal lieto fine: sono questi i temi che il cinema di Capra generalmente ha evocato. Tu invece hai insistito a lungo per una contro-lettura di Frank Capra – un Capra “malgrado lui” – scardinando i luoghi comuni del “capracorn” e andando oltre il sentimentalismo di facciata e la retorica reazionaria e populista solitamente associata al suo nome. L’ottimismo, in Capra, spesso è solo apparente, e a ben guardare esiste un sottofinale tragico dietro ognuno dei suoi happy-endings. In questo film il contrasto tra realismo sociale e fantasie escapiste è particolarmente evidente. Dove finisce la favola e dove incomincia la realtà? Accadde una notte è davvero un film così rassicurante? 

 

V. Z. - Accadde una notte è un film un po’ schizofrenico: da un lato c’è la fiaba tradizionale, la “Cinderella-story” presente in tutti i film di Capra – come ha dimostrato Raymond Carney in American Vision – con l’archetipo rassicurante del matrimonio finale (in quanti altri film, successivamente, abbiamo ritrovato il topos della sposa che all’ultimo momento scappa con colui di cui è innamorata realmente?), quindi la conclusione felice e l’happy-ending che il pubblico si aspetta. Dall’altro lato però c’è un contesto sociale, storico e politico piuttosto tragico. Intanto è l’America della Depressione, quella che emerge da alcuni indizi del film… 

 

Accadde una notte (It Happened one Night), di Frank Capra, 1934

 

 

Hai parlato di “lapsus”. 

 

Io li chiamo lapsus, ma forse è un po’ eccessiva questa mia definizione. Si tratta di momenti di rilassamento della tensione narrativa, in cui vengono fuori gli aspetti più crudi di quell’America, aspetti che lo stesso Capra vorrebbe rimuovere (per questo io parlo di Frank Capra “malgré lui”). In Accadde una notte a un certo punto – quando Gable sta tornando da Claudette Colbert ma scopre che lei se n’è andata – c’è un passaggio a livello che viene attraversato da un treno carico di vagabondi: quello è il treno dei disperati, dei tramps, è il treno della Depressione. 

 

 

Siamo a soli cinque minuti dalla fine del film, e pare che tutto stia andando nel peggiore dei modi. 

 

Sì; come sappiamo, i momenti climax in Capra avvengono proprio un attimo prima del finale. Ci si trova in uno stato di grossa “depressione” – non soltanto economica, ma anche morale – da cui poi improvvisamente ci si risolleva (non sempre succede, ma insomma, quasi sempre). Nonostante la risalita, però, lo spettatore ha comunque introiettato quei momenti: il treno dei vagabondi, la lunga fila di donne in coda per la doccia (il motel in cui i due protagonisti passano la notte non è affatto un posto allegro). E poi lo stesso autobus notturno in cui si svolge questa storia on the road, dove una donna sta svenendo per la fame e la gente ha l’abitudine di dormire nei fienili. C’è un senso di vagabondaggio, qui, che dice di un’America piuttosto amara.  

 

[…] 

 

 


Accadde una notte (It Happened one Night), di Frank Capra, 1934

 

Il cinema di Capra si presta a letture molto diverse, ed è sicuramente riduttivo limitarsi a quella più tradizionale, che ha interpretato la sua opera come una gigantesca fiaba, facendone la ricetta vincente del cinema americano di quegli anni afflitti dalle conseguenze della Depressione, dai totalitarismi e dalle guerre («Questo doveva essere il mio lavoro: risollevare gli animi», scrive Capra stesso nella sua autobiografia). È però innegabile che Accadde una notte, da questo punto di vista, riuscì ad offrire agli spettatori di tutto il mondo il sollievo impagabile di credere in un lieto fine, e questa fu una delle ragioni del suo successo. Quanto può considerarsi attuale una riflessione di questo tipo oggi, nel clima di crisi economica, disagio e paura sociale che stiamo attraversando? Un film del genere, almeno sul piano dell’immaginario, può ancora consolarci? 

 

Come messaggio ideologico non credo proprio. Il messaggio ideologico è quello che Capra ci spaccia, quello del Capra cosciente, il Capra che invita a volersi bene, a confidare nell’aiuto dei nostri vicini, ad avere una grande forza di volontà nel perseguire i nostri obiettivi. È un Capra populista e paternalista, una specie di Beppe Grillo non arrabbiato, il cui messaggio è quello di mandare a casa i politici corrotti perché è di gente come “John Doe” che c’è bisogno, di qualcuno che sappia rappresentare i buoni cittadini onesti. Questa è una ricetta molto naïf, di un buonismo che francamente, visto in maniera così superficiale, potrebbe risultare insopportabile. Ma non lo è, perché poi questi personaggi vivono, prendono vita, diventano commoventiLa vita è meravigliosa per esempio, dal punto di vista del plot, è veramente il peggio del conservatorismo americano: da una parte c’è un uomo che ha fatto la sua fortuna attraverso una compagnia di costruzione che concede prestiti – è l’ideale dell’American Dream, quasi un piccolo Berlusconi rampante – e dall’altra parte c’è Potter, il grande capitalista senza pietà. Poi alla fine tutto si risolve bene grazie al deus ex machina, con questa trovata molto populista della colletta civile. È una soluzione un po’ infantile ma certamente lascia emergere il ritratto di un uomo forte, di un leader che ha il pieno consenso dei cittadini. Nel populismo americano, ma anche in quello italiano, questo conta molto: i nostri leader populisti, nel bene come nel male, hanno delle cose “capresche”. Basta pensare al successo di Grillo, o alla scena politica di Renzi che nelle primarie si rivolgeva agli elettori chiamandoli per nomi immaginari. C’è molto di Capra in questo fare appello all’etica civile contro la corruzione dei potenti. Lo stesso Obama di “Yes We Can” incarna la favola del nero che diventa presidente degli Stati Uniti. Sono cose che evidentemente risiedono nell’immaginario americano e in quello occidentale.  

 

Accadde una notte (It Happened one Night), di Frank Capra, 1934

 

 

 

Esiste allora un’attualità di Capra? 

 

Capra ha influenzato gran parte del cinema successivo soprattutto con i suoi temi, che sono molto presenti nella commedia italiana contemporanea di cui mi sono occupato. Pensa alle commedie di Giulio Manfredonia: in Se fossi in te tre amici si chiedono che cosa accadrebbe se ciascuno di loro si trovasse a vivere la vita dell’altro, e questo è un tipico tema di Capra. Oppure, nel Principe abusivo di Alessandro Siani, il poveraccio di turno deve conquistare la principessa: è il problema della screwball comedy, con il passaggio sociale e il salto di classe. Colpi di fulmine di Neri Parenti – il “film di Natale” di due anni fa – in uno degli episodi racconta di un ambasciatore molto fine che si innamora di una pescivendola e decide di dimenticare la buona educazione e imparare le maniere popolane come parlare il romanesco sboccato per avvicinarsi a lei. I temi di Capra si ritrovano in tutta la commedia degli anni Novanta, dai fratelli Coen – con Mister Hula Hoop, dove c’è un angelo che salva la vita a un uomo che sta per suicidarsi – a Eroe per caso di Stephen Frears, in cui il vagabondo, l’ “uomo qualsiasi”, diventa un eroe mediatico. Capra ha influenzato moltissimo questo cinema, consciamente o inconsciamente, e le sue tematiche sono entrate a far parte del nostro immaginario diventando degli archetipi tali che uno arriva a fare una sceneggiatura e ne subisce l’influenza senza neanche pensarci.  

[…]  

Bisogna fare un tentativo di revisione dei suoi film, ripensarli, rivederli, riflettere su diversi tipi di lettura tentando anche nuove ipotesi ermeneutiche. È soprattutto di questo che il cinema ha bisogno.  

 

 

Il libro: Arianna Salatino, Accadde una notte, dialogo con Vito Zagarrio, Mimesis 2015, € 19,90

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