Norwegian Wood / I gesti della legna sono gesti di esistenza

7 Novembre 2016

Anche se non tagliate la legna, anche se non la accatastate per l’inverno, anche se non avete una stufa e abitate in zone temperate, irradiate dal sole tutto l’anno, questo libro è per voi. S’intitola come un romanzo di Murakami, come una canzone dei Beatles, Norwegian Wood. L’ha scritto un giornalista e narratore norvegese, Lars Mytting; è stato tradotto in dieci paesi. Perché? Perché è un manuale. Acqua. Perché parla di un’antica attività umana? Fuochino. Perché è un antimanuale? Fuochetto. Perché parla di una cosa che vi riguarda in ogni caso, sia che vi apprestiate a farla oppure no? Fuoco! Incendio! Mytting racconta in modo ponderato e insieme ironico, cioè serio. C’è però il sospetto che il successo del libro (trad. di Alessandro Storti, Utet, pp. 246, € 22) l’abbia decretato, oltre all’argomento, il luogo d’origine dell’autore: il Nord Europa. 500.000 copie, forse lassù? Possibile. Ma in un mondo in cui i manuali sono tra le cose più vendute (manuali per fare tutto), Lars Mytting racconta in modo convincente il metodo scandinavo per tagliare, accatastare e scaldarsi con la legna. Ha il grande merito di sviscerare la cosa, facendo intravedere la complicazione del semplice.

 

Non sono così i veri manuali? Mostrare come le cose semplici in realtà sono assai complesse. Andiamo con ordine. La prima cosa che si comprende leggendo il libro è che dietro al metodo scandinavo ci sono degli uomini e delle donne, gente perfettamente normale. Quando si osservano le fotografie di chi ha tagliato e accatastato enormi quantità di legna, si scoprono facce qualunque, da vicini di casa (bei vicini di casa, naturalmente). Sono rilassate e rilassanti. Se ce la fanno loro, si pensa, posso farcela anch’io. A fare cosa? A scegliere l’accetta giusta, la motosega quasi perfetta, a innalzare cataste circolari di legno di faggio, a decidere l’acquisto della stufa a combustione pulita che non inquina. Il motto di Mytting, che è un po’ il cuore del suo scrivere, suona così: “Incidere sulla qualità della giornata, ecco la più sublime delle arti”. Non sulla qualità della vita, che sarebbe troppo anche per un tagliatore di alberi, un accatastatore di tronchi, un segatore di ciocchi. L’autore, per nostra fortuna, non è un ecologista talebano. Nel bene e nel male questo è un libro maschile, anche se, oltre la risolutezza maschile, possiede una delicatezza femminea, quella dell’amante del legno (le divinità del bosco sono quasi tutte femminili, almeno quelle benefiche, e l’albero di genere femminile). Il primo capitolo è dedicato al gelo.

 

Ph Aapo Huhta. 

 

Padre di tutti le donne e gli uomini del Nord, il gelo è un’occasione, non un nemico. La gioia dello spaccalegna apre questa sezione del volume, cui segue il capitolo sulla foresta. Sembra facile abbattere un albero, attività cui i nostri progenitori si dedicavano con immancabile solerzia e metodi sommari. Ma anche ricorrendo a una strumentazione sofisticata, non è così. Bisogna sapere prima di tutto quando farlo. Prima che la linfa cominci a crescere, quando il tasso di umidità dell’albero è basso, quando gli insetti sono ancora in letargo. In Norvegia a Pasqua. Mytting è prodigo di curiosità sugli alberi. In Svezia cresce l’albero più antico del mondo: 9.550 anni; il suo tronco non è così antico. Ha solo 600 anni; è la radice a essere vecchissima. L’autore spiega poi come si fa a coltivare il bosco: nello stesso modo con cui si fa l’orto dalle nostre parti. Bisogna imparare a usarlo, non a distruggerlo. Possibile? Fare legna è sempre abbattere, tagliare. Si può però preservare il bosco, rispettarlo e insieme scaldarsi. Lo strumento principe di tutto è la motosega. Pagine affascinanti, con la storia di questo strumento che ha cambiato il modo con cui si taglia: “Dimmi che motosega hai comprato e ti dirò chi sei”. Da diporto, da lavoro e professionali: queste le tre principali categorie. Belle le pagine sulla nascita della motosega.

 

Ph Aapo Huhta.

 

L’invenzione della JoBu – marca storica ora cessata – è opera di due ex-partigiani antinazisti; uno aveva una segheria, l’altro costruiva fucili. Invenzione geniale. Poi viene il capitolo sul ceppo: “Molte persone vivono i loro momenti di maggior riflessione davanti al ceppo”. Non lasciatevi ingannare, questo non è un manuale New Age. Niente di più lontano da Mytting. Lui è innamorato della legna e dei modi per tagliarla. Abbacinanti le pagine sulla scure. Sembra facile sceglierne una. Non sono tutte uguali. Vi ho scoperto l’esistenza della Vipukieves finnica: l’accetta a leva, adatta ai ciocchi grossi, ricavati dagli alberi a tronco dritto. Da comprare in ogni caso, per la sua forma. A un certo punto l’autore svela il vero segreto del libro: a dedicare la maggior quantità di tempo alla legna sono i maschi con più di sessant’anni; le donne sono solo il 29% (le percentuali sono uno dei sottotesti del volume).

 

Come potrebbe essere altrimenti? Chi ha il tempo per coltivare il bosco, abbattere gli alberi e soprattutto tagliare i tronchi, se non i pensionati. Sono loro le facce nelle foto. Sono loro che pregano sul ceppo a colpi di accetta: “Il ceppo è l’altare dello spaccalegna”. Confesso che la parte più coinvolgente non è però quella del bosco, né quella sugli attrezzi, e neppure quella dedicata alla corretta posizione per lo spacco ad ascia. La parte più seducente è quella dedicata alla legnaia. “La legnaia non ti pianta in asso”, così comincia. Legnaia coperta o scoperta, legno con corteccia all’ingiù o all’insù? Varie scuole di pensiero. L’anziano popolo della legna avanza nel libro di pagina in pagina. Deciso, forte, sereno. Gli ultimi capitoli sono dedicati alla stufa e al fuoco. Lui è il vero signore del legno. Lui, non noi, uomini e donne, giovani e vecchi, boscaioli e cittadini. Tutto brucia e finisce in cenere. Ultimo capitoletto: “L’arte di vuotare la cenere”. C’è da imparare anche qui. Morale: i gesti della legna sono gesti di esistenza. Che li facciate o no, vi riguardano.

 

Il pezzo è apparso su La Repubblica.

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