Scrivere musica oggi

10 Gennaio 2016

L'avvento di Internet ha cambiato completamente il modo di pensare la musica sia per chi ascolta che per chi scrive; si tratta probabilmente di un fenomeno unico in tutta la storia e non credo sia ancora possibile comprenderne la portata epocale per chi ha la fortuna (o la sfortuna, a seconda dei punti di vista) di viverlo nella propria contemporaneità. Le somme di questo nuovo approccio al pensiero musicale si tireranno forse tra un secolo, ma intanto non si può fare a meno di notare il divario abissale che esiste tra chi studia composizione oggi e chi ha cominciato anche solo trent'anni fa. Chi appartiene alla mia generazione (quella dei cinquantenni) ricorda bene le code in biblioteca al Conservatorio per poter dare un'occhiata alle partiture contemporanee presenti in archivio, oppure le attese di mesi per riuscire a ottenere una certa partitura in arrivo dall'estero oppure un Cd con qualche novità di musica contemporanea. Oggi la maggior parte degli studenti ha accesso istantaneo a tutto quello che viene prodotto, spesso trasmesso in diretta streaming. Migliaia di partiture sono disponibili gratuitamente online e collegandosi a YouTube o Spotify si possono ascoltare registrazioni di musica che una volta si sarebbero dovute attendere per molto tempo. Non si tratta solo di musica contemporanea; i ragazzi oggi hanno a disposizione tutto lo scibile musicale del globo, dalle composizioni dell'anno Mille a quelle scritte dai loro amici qualche giorno prima. Un oceano indiscriminato di suoni provenienti da qualsiasi parte del mondo, dall'Africa all'Islanda, dalla Nuova Zelanda alla Puglia. A questo si aggiunge la possibilità continua di mescolare i differenti generi musicali, che fino a non molto tempo fa abitavano spazi d'ascolto diversi. Chi comincia a farsi strada nel mondo della composizione adesso deve quindi saper navigare in queste acque perennemente affollate di segnali, suoni, stimoli differenti.

 

Le scelte ovviamente sono più di una, dato che non esistono più direttive ideologiche o estetiche in grado di tracciare linee maestre da seguire, ma questo non significa che tutte le strade siano buone o interessanti. Di fronte alla libertà assoluta, anzi, le capacità di analisi e discernimento del compositore devono essere acuite in misura ancora maggiore per non farsi confondere dalle voci di troppe sirene che chiamano nello stesso momento. Tutto sembra apparentemente più facile, a portata di mano, ma in realtà questa disponibilità illimitata di suoni ha reso il lavoro di scrittura musicale assai più difficile che in passato. Negli anni '40 si poteva scegliere senza eccessive difficoltà se incamminarsi sulle strade della dodecafonia o del neoclassicismo, così come dieci anni dopo decidere se seguire le vie di Darmstadt o rifiutarle; esistevano comunque quelli che Pierre Boulez chiamava i “punti di riferimento”. Sono esattamente questi, oggi, a essere saltati per aria; centrifugati da una società che accumula informazione a ritmo elevatissimo, quasi insostenibile, dove le capacità di riflessione su quello che si ascolta sembra essersi molto ridotta.

 

Dato che spesso tutto viene atomizzato nei pre-ascolti di un minuto delle piattaforme digitali c'è da parte di troppi compositori una paura di non riuscire a “colpire” subito l'attenzione di chi ascolta e questo negli ultimi anni ha portato molto spesso a due fenomeni: nel caso di certe avanguardie alla ripetizione continua di cliché che rendano immediatamente “identificabile” l'autore rispetto alla marea di suoi concorrenti, quindi se un compositore ha successo con il live electronics, i suoni al ponticello o il pianoforte suonato con le corde di nailon inserirà questi elementi in ogni brano che scriverà in modo da tenersi stretta la propria quota di mercato (perché anche qui di mercato si tratta, lo si voglia ammettere o no). Nel caso opposto si cercherà di proporsi direttamente alla pubblica attenzione scrivendo una musica di fruizione immediata, facilissima, dove i cliché siano quelli della banalità pop anziché quelli delle avanguardie: il risultato però non cambia anche in questo caso, perché ci si trova davanti a proposte del tutto prive di coraggio, senza nemmeno un briciolo della valenza polemica e propositiva che i compositori Neoromantici portavano con sé all'inizio degli anni '80 durante i loro celebri scontri con le Avanguardie storiche. Molti di questi autori “pacificati” ora cercano il consenso di pubblico mettendosi a pelle d'orso di fronte a chi ascolta e fornendo solo un tranquillo, blando, sottofondo che non pretende minimamente l'utilizzo del cervello da parte degli ascoltatori. Esistono tuttavia molti compositori che in tutti questi anni sono riusciti, grazie all'acutezza del loro sguardo e alla consapevolezza del momento storico a evitare entrambe queste trappole, aggirando accuratamente l'idea di mercato e proponendo una musica che sia realmente testimone del tempo presente.

 

La vera “contaminazione” (parola ormai abusata rispetto al suo originale significato) è tutt'altro dalla semplificazione banale che ne fanno certo autori oggi di moda. Trovare dei fili in comune tra linguaggi differenti, saper sintetizzare una sostanza musicale diversa scegliendo l'essenziale ed eliminando il superfluo da musiche che apparentemente non avrebbero nulla in comune: questo è certamente possibile, ma richiede un lavoro intellettuale estremamente complesso e faticoso, dove le possibilità di riuscita finale non sono numerosissime. Quando questo però si verifica (come ad esempio negli Studi per Pianoforte di György Ligeti, che uniscono mirabilmente elementi derivati dallo studio dei calcoli matematici frattali, jazz, poliritmie africane, diatonismo, suggestioni bartòkiane e gesti pianisti della tradizione ottocentesca romantica) si intravede davvero quale possa essere una delle strade possibili nel nostro futuro musicale. Questa musica riesce a essere allo stesso tempo complessa e di ascolto immediato, stratificata di significato eppure immediatamente accessibile anche a chi non sia avvezzo ad ascoltare musica contemporanea, dimostrando che la comunicazione con chi ci ascolta non è unicamente legata al problema della dicotomia consonante/dissonante (esiste del jazz completamente astratto che tuttavia parla a un pubblico vasto) ma semplicemente al fatto di avere o meno qualcosa da comunicare. Muoversi nel mare magnum di linguaggi che la Rete e la nostra contemporaneità quotidiana ci propongono significa dover affinare ancora maggiormente le capacità di ascolto e comprensione dei segnali musicali per non farsi strattonare in mille direzioni diverse tenendo la barra di navigazione ben ferma.

 

Ci sono molti autori che già lo stanno facendo sia in Italia che all'estero, la situazione attuale è decisamente migliore di venti anni fa e l'ottimismo sui destini della composizione va alimentato e incoraggiato. Invece di continuare a dare per spacciata la musica contemporanea, basta andare su Internet e ascoltare alcune delle migliaia di proposte disponibili, ponendosi senza pregiudizi e con la mente aperta. Sono certo che ogni ascoltatore troverà qualcosa che si adatti al proprio gusto e alla propria sensibilità. Mai come ora la pluralità di voci e stili differenti si è presentata con tanta ricchezza di significato. Non commettiamo l'errore di ignorarla.

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