Diritti d'autore su tutto e per tutti, anche per l'aldilà

27 Giugno 2014

Ma davvero! Il bello della rete è che le cose circolano anonime anche quando sono accompagnate da nomi e altre specifiche di realtà e proprietà. Che ogni frase, ritmo o idea può essere di ciascuno non essendo di nessuno. Basta prendere e copiare, con qualche leggera modifica semmai. Basta una traduzione, un adattamento e, appunto, per un attimo qualsiasi cosa può diventare di quell'uno specifico, prima di tornare a essere di tutti. O può essere di ciascuno, cioè individualmente di tutti quelli che ne fanno uso, proprio mentre e perché è di tutti. (Anche se spesso queste riprese non sono effettuate per qualche loro valore di verità, se non di facciata, per uno scintillio che può abbacinare, o ferire, per un istante, ma per farsene belli, incollandosene addosso il riverbero ma non la responsabilità, quando invece si può e si dovrebbe appunto lì mettere la firma, non per metterci sopra il cappello, e le mani, ma per indicarne l'assunzione in proprio, la volontà di risponderne.)

 

Martin Parr

 

Come avviene per le parole. C'è qualcuno che può dire, per esempio, che la parola "terra", o la stessa parola "esempio", è mia e solo mia, e guai a chi la usa senza dichiararlo? Poi uno magari la usa in un modo tutto suo, per un attimo, e per quell'attimo è solo sua, quella lì, certo; ma quella lì non è mai solo quella lì, e quindi solo sua non è mai. A volte uno ci resta male, vorrebbe l'esclusiva, lo stigma dell'originalità assoluta, i diritti d'autore anche per l'aldilà, ma poi lo capisce anche lui che la pretesa è ridicola. Sono ambizioni dell'adolescenza, quelle aspirazioni assolute su fondamenti erronei, nebulosi, l'assoluto in via di principio, per pura ostinazione, per intransigenze non negoziabili, che poi lasciano solo strascichi di malinconie, sensi di sconfitta preventiva, totale e irrimediabile. Qualcuno fatica a uscirne, è noto; ma insomma... Pazienza. Peggio per lui.

 

(Se qualcuno pensa che parlo per esperienza è autorizzato a crederlo. Io da ragazzo, ma anche dopo, perché ho avuto una crescita lenta, se mai l'ho avuta, avvertivo risuonare e sovrapporsi in ogni parola che dicevo e soprattutto scrivevo tutte volte che l'avevo letta o sentita, inclusi contesti e sfumature e nome e cognome di coloro che l'avevano usata, e, stupido com'ero, ne ero frustrato a morte, invece di considerarlo un semplice dato di fatto, o addirittura una risorsa. Certo, le risorse puoi vanno usate, e bene, possibilmente...)

 

Martin Parr

 

Ma era della rete che stavo parlando, maledizione ammìa... che cioè, dicevo, che anche se uno non vuole, finisce per far circolare non solo un sapere, in senso antropologico o quell'accidenti che è, o una somma caotica di informazioni, anche se non è sua intenzione farlo, e che a volte lo fa replicando alla lettera, con esattezza medianica, espressioni, frasi, interi paragrafi, capitoli o storie dall'a alla z, mentre in certi casi ha la bontà, o la correttezza, o l'ingenuità, di citare le fonti, o almeno quelle che a lui sembrano tali, quelle di sua conoscenza, le ultime o penultime, le uniche note, o più accreditate quanto meno. Altri invece non lo fanno pur conoscendole.

 

Facciamo l'ipotesi, ma sia chiaro: è solo un esempio non una denuncia, o una recriminazione in cattiva coscienza... facciamo l'ipotesi, dicevo, che alcuni prendano certi miei post o storielle, per esempio da Facebook o dal mio blog (dai libri è più difficile: bisogna procuraseli) e ne riportino pari pari frammenti che possono arrivare fino al 99%, perché un tocco personale ci vuole, dài, sulla loro bacheche o in qualche testo che finisce su chissà quale sito o rivista o altro, come se li avessero appena scodellati loro, freschi freschi, con addosso un po' di liquido amniotico ancora non deterso: che dovrei fare? Indignarmi? Protestare? Denunciare? No, meglio non fare niente. A parte il ridicolo, che è sempre un argomento di peso, anche se non decisivo (se no uno non rischia più niente), dovrei dimostrare che si tratta di roba mia. Che esista, qui e altrove (in materia linguistica: limitiamoci a quella per stavolta) qualcosa che possa chiamare mio senza tema di errore, o di usurpazione bell'e buona.

 

Martin Parr

 

E poi, via, se in libri pubblicati da importanti case editrici per il vasto pubblico, importanti e famosi scrittori e scrittrici traslocano armi e bagagli pagine intere da libri e autori ancora più famosi e importanti di loro, confidando di non essere presi in castagna, come volgarmente si dice, salvo cascare dalle nuvole quella rara volta che uno o l'altra vengono esposti alla pubblica esecrazione, che di solito non viene mai, perché quella pagina lì ci stava proprio bene, e insomma mancava solo un nome o un titolo, o le virgolette, espunte da un correttore di bozze troppo zelante e ignorante, perché è ovvio che c'erano ma quello stupido mica l'ha capito e l'autore non è tenuto a controllare anche le ultimissime bozze, e anche perché il furbo da noi è sempre ammirato, persino quando scoperto, se ha un bel sorriso o una buona scusa o una battuta brillante, che fa ridere ma ridere!; e questo non è raro, chissà quanti altri prestiti a interessi zero, chiamiamoli così (siamo nella civiltà della finanza, no? ...ma civiltà è una parola grossa: diciamo allora società, o regno, o campo di battaglia, o catacomba, prigione... o palazzo, rete... sì, rete), da autori e titoli minori, di luoghi lontani e lingue peregrine, avranno goduto della gloria anonima di questi omaggi; e quindi, più ancora, frasi meno nobili, storie banali, parole comunissime accalappiate in qualcuno dei miliardi e miliardi di nodi dell'infinito flusso immateriale... e una cosa del genere capita anche a te, pertanto perché lamentarsi?

 

Anche questo è un modo per entrare nel canone, sia pure dalla porta di servizio, o di notte, scalando balconi e grondaie, approfittando delle finestre aperte, e per un brevissimo periodo, come quasi tutti. Meglio gioirne, esserne lusingati, sostare un attimo nella luce di questa gloria intima, e andare subito via. Via, da un'altra parte, a cercare altre parole o immagini o storie da inventare, e da tradurre e copiare, senza dirlo, anzi negando di averlo mai fatto, o concedendo semmai di aver giocato con i più colti (che a lusingare non si sbaglia mai, e nessuno ci tiene a passare per ignorante), se qualcuno scopre assonanze, citazioni, riprese o variazioni. Svaghi innocui. Copie di copie! Fantasime!

 

Martin Parr

 

Alt, però: guardate bene, ce le ho messe apposta, io.

Cercate. Cercate, gente stolta e frettolosa. Un sospetto, un richiamo, un omaggio, una serie di cunicoli e fortificazioni e radici, una via di fuga, un inciampo, dietro ogni parola, in ogni virgola o punto!

 

(Ma lo fanno tutti, poi. Conta qualcosa che sia fatto apposta? O che uno si illuda di averci messo qualcosa che poi, gratta gratta, non si trova? Che non c'è? E che anche se c'è, non cambia niente, perché quel che conta è ciò che viene detto, e come, che solo allora a qualcuno, magari, gli viene voglia di fermarsi un po', e guardare. Ovvio!)

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