Houellebecq e Lovecraft contro la vita

21 Ottobre 2024

Sembra paradossale immaginare un Houellebecq ingenuo, come lui vorrebbe farci credere nel suo ultimo libretto (Qualche mese della mia vita, trad. di Milena Zemira Ciccimarra, La nave di Teseo, 2023) dove racconta di come sarebbe stato raggirato nella realizzazione di alcuni filmati porno. Già dal primo romanzo la sua prosa è quella di uno scrittore disincantato, che nelle cose vede solo il peggio, o quantomeno la loro deriva entropica. Nato disilluso, si direbbe.

Eppure leggendo le sue prime poesie, in cui enumera considerazioni apodittiche sulla vita e su come affrontarla per sopravvivere, uno si chiede come è possibile scrivere certe cose con quel tono perentorio, enunciando senza tentennamenti “verità” e regole di condotta che il normale adulto di fine XX secolo avrebbe qualche imbarazzo solo a pensare. Ma non dirà sul serio?, vien da chiedersi al lettore, forse anche condizionato dalla lettura delle opere successive. In ogni caso restano un indicatore di una personalità che, individuato un suo tono e delle certezze, segue imperterrita la strada scelta. 

Un dubbio del genere non può sorgere leggendo H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita, il primo libro scritto da un Houellebecq poco più che trentenne (è nato nel 1956) e pubblicato nel 1991, tradotto da Sergio Claudio Perroni per Bompiani nel 2001 (ora ripreso in ebook presso La nave di Teseo, 2024) e da poco riproposto da Wudz con una prefazione di Stephen King in nuova traduzione di Damiano Scaramella, che si districa bene nell’arduo compito di distinguere la propria dalla precedente, di un libro dalla scrittura limpida, sintatticamente piana e priva di ambiguità e ricercatezze stilistiche, così che spesso è impossibile tradurre in modo diverso senza distorcere e indebolire l’originale. Pertanto citerò da entrambi in modo indifferente. 

Non ci sono dubbi sull’intonazione del libro e sulle prese di posizione vi compaiono. Il rifiuto del mondo e della vita indicato dal sottotitolo è totale. Houellebecq lo riferisce a Lovecraft, ma vale anche per lui. Sembra infatti che l’adesione alle idee sull’esistenza e sull’universo dello scrittore di Providence sia completa (a parte le posizioni politiche e il razzismo, peraltro sminuite da Houellebecq non quanto alla loro gravità, ma relativamente all’impatto sull’invenzione fantastica) e che siano riportate solo le sue teorie e opinioni, con pochissime intercapedini in cui si possa insinuare un distacco critico, uno spazio per respirare. Ma non è questo che importa: importa che mentre le espone, senza accorgersene (senza accorgersene?) Houellebecq parla di sé, enuncia alcuni assiomi e convinzioni che saranno capitali nella sua opera a venire, almeno nelle prime, per quanto a questo punto (fine anni ’80-primissimi ’90) di scriverle forse ancora non immagina neppure. Al momento è solo un poeta. Per questo quanto dice è ingenuo, in un certo senso: non c’è ancora il sottofondo di un’opera che sarebbe da illustrare o difendere; quindi più diretto, più puro, meno mascherato o giocato sul filo che divide e unisce verità e finzione, è quello che Houellebecq scrive, e più rivelatore di alcuni assunti di base della sua personalità di scrittore che ha già operato scelte fondamentali. 

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Ma quando pubblica il libretto su Lovecraft, Houellebecq è solo un giovane autore di poesie perlopiù inedite e note solo ai pochi aspiranti poeti con cui si confrontava regolarmente in una biblioteca di quartiere, che sta per pubblicare la sua prima raccolta, una plaquette intitolata La porsuite du bonheur e i brevi testi tra il saggistico e il poetico di Rester vivant. méthode (entrambi presso La différence, 1991), confluiti in Italia nel primo volume di La vita è rara. Tutte le poesie, traduzione di Fabrizio Ascari, Alba Donati e Anna Maria Lorusso, Bompiani, 2016), che escono quasi in contemporanea con questo saggio sorprendente. Sorprendente sia per la scelta dell’argomento: uno scrittore giudicato, a quei tempi (e da molti anche oggi) di serie B, se non C; sia per la disinvolta, per non dire provocatoria, tonalità del discorso e la sicurezza espressiva e di giudizio che prefigurano quelle dei romanzi che lo renderanno universalmente noto, ammirato e denigrato in pari misura. Questo ci permette di leggerlo, oltre che per ciò che dice dello scrittore di Providence, anche come una specie di autoritratto indiretto, e nemmeno tanto criptato, nonché di precoce dichiarazione di poetica e di sintetica visione del mondo, che si può facilmente integrare con quanto dirà anni dopo nel libretto su Schopenhauer (In presenza di Schopenhauer, La nave di Teseo, 2017), la cui lettura decisiva, che gli ha aperto gli occhi e ha offerto basi teoriche a sensazioni e emozioni che fino a quel momento erano rimaste se non embrionali, inespresse o avvertite come informulabili, è però di quegli stessi anni formativi. 

L’incipit è già puro Houellebecq: “La vita è dolorosa e deludente” e l’umanità ispira al massimo “una lieve curiosità” accompagnata da un “leggero senso di nausea”. Una buona ragione, tra l’altro, per non scrivere romanzi realistici. “L’età adulta è un inferno” e dati i valori su cui si fonda (“Principio di realtà, principio di piacere, competitività, sfida costante, sesso e investimenti di capitale…”: quelli del capitalismo in poche parole) c’è ben poco da divertirsi. Palliativi, tutt’al più, che spesso non fanno che peggiorare le cose e creare insoddisfazione, frustrazione e angoscia. “L’universo non è altro che una accidentale combinazione di particelle elementari (corsivo mio). Una figura di transizione verso il caos, che finirà per inghiottirlo. La razza umana scomparirà.” Chi parla? HPL o MH? 

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Sono questi i presupposti dell’attrazione che esercita HPL: il suo materialismo radicale, il rigetto della benché minima illusione e consolazione. Un pessimismo assoluto, certo, ma “tonificante”, giacché “la delusione non è una brutta cosa” sostiene Houellebecq in un’intervista, con la sua tipica procedura di prendere un dato o un’asserzione o un giudizio che paiono assodati, indiscutibili nella loro evidenza, e poi capovolgerli, in genere non in modo piatto o automatico, ma leggermente di lato, o di sbieco, o, come qui, attutito con una litote. 

Queste certezze consentono a Lovecraft di vedere, e evocare, l’orrore “oggettivo” di questo mondo, e dei mondi che esso cela o che gli scorrono accanto pronti a irrompervi, come già è accaduto in epoche remote i cui residui sopravvivono ancora al di là di fragili soglie che lasciano trasparire segnali perturbanti e che basta poco a infrangere. Un “cosmo disperato [che] ci appartiene in tutti i sensi”, in cui dominano, per dirlo con parole di Schopenhauer, “oppressione, privazione, miseria e paura, grida e urla”. Un cosmo dove regnano divinità mostruose, figlie del caos e sue portatrici, che formano un pantheon rivelato da libri proibiti e introvabili, che con i loro miti hanno dato vita, secondo Houellebecq, a un vero e proprio epos, ampliato da imitatori e seguaci: “non è stato registrato nulla di simile dai tempi di Omero e delle chansons de geste medievali. Abbiamo a che fare, dobbiamo umilmente ammetterlo, con un cosiddetto “mito fondatore”.” “Probabilmente, aggiunge MH, una volta dissipate le nebbie morbose delle avanguardie molli, il XX secolo rimarrà l’epoca d’oro della letteratura epica e fantastica”, e il rifiorire odierno di opere letterarie, cinematografiche e televisive appartenenti generi che ormai si è convenuto adunare sotto l’insegna del weird starebbe a confermarlo.

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Da un’opera all’altra si è venuto formando un universo di storie in espansione creato da una immaginazione si direbbe sconfinata, come lo sono l’orrore e la paura che gli soggiacciono. Persino quando Lovecraft è imperdonabile, per esempio con il suo razzismo, la sua fantasia si scatena e produce pagine memorabili. Perché, e qui è MH a parlare, se “il disprezzo non è un sentimento molto produttivo in letteratura”, l’odio e il rancore lo sono, invece; e così la cattiveria, la malignità, il cinismo: tutto ciò che deriva da uno sguardo negativo, non pacificato, che mette in discussione l’apparente naturalezza del mondo, lo rivolta e lo mette in moto. L’esasperazione dell'odio contro tutto ciò che appare meticciato e impuro si ribalta in fobia, provocando “quello stato di trance poetica in cui trascende se stesso nel ritmico e folle battere di frasi maledette … con un orrendo cataclismatico bagliore”. “La sua visione, alimentata dall’odio, assurge alla paranoia vera e propria, e ancora più in alto, fino a quel totale squilibrio dello sguardo” che sfocerà nei “deliri verbali dei “grandi testi”.” A coloro che sostengono che, al pari di questi deliri, anche lo stile è eccessivo, incontrollato e alquanto rivedibile, MH ribatte che “HPL non aderisce in alcun modo alla concezione elegante, sottile, minimalista e discreta che in genere scatena l’entusiasmo dei critici” e che se il suo stile “è pietoso, possiamo allegramente concludere che lo stile non ha, in letteratura, la minima importanza. E passare ad altro”. Sono accuse che molti critici avrebbero mosso più tardi anche allo stile di MH, che qui sembra presagirle e rispondervi in anticipo.

La vaghezza, non impressionista né psicologica, è voluta e positivamente esasperata nonostante, o proprio perché, ottenuta mediante l’uso di un lessico attinto dalle più disparate discipline scientifiche con rigore e precisione (“più gli avvenimenti e le entità descritte saranno mostruose e inconcepibili, più la descrizione dovrà essere precisa e clinica. Per scorticare l’innominabile occorre un bisturi”), perché, al di là di ciò che viene alluso, più che detto, o di descrizioni dettagliatissime ma che poi è praticamente impossibile visualizzare, quello che conta “è mettere il lettore in uno stato di fascinazione. Gli unici sentimenti umani di cui Lovecraft vuole sentir parlare sono la meraviglia e lo spavento, e infatti egli costruisce il proprio universo su di essi e solo su di essi. È chiaramente un limite, aggiunge MH, però consapevole e deliberato. E non esiste creazione autentica senza un minimo di accecamento volontario.” 

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“L’universo è una cosa francamente disgustosa” e l’unica reazione ragionevole nei suoi confronti è la paura. Ed è questo che provano e affrontano i protagonisti, “proiezioni dell’autore” e delle sue fobie, ma solo nel senso di un’“amplificazione”, che dichiara inutile “qualsiasi psicologia differenziata” e opta per una scelta di “deliberata piattezza” finalizzata a “trasformare le percezioni ordinarie della vita in una fonte illimitata di incubi”: che è poi “l’audace scommessa di tutti gli autori di narrativa fantastica”, che si tradurrà da parte di Houellebecq scrittore nell’adozione di uno sguardo diretto a individuare di ogni cosa il versante negativo, sconfortante, farsesco e repellente. 

E a volte appariva tale, eccetto a chi lo conosceva che invece lo adorava, anche l’“atteggiamento allo stesso tempo altezzoso e masochista, ferocemente anti-commerciale” di HPL, che “faceva di tutto per risultare sgradito” senza fare nessuna concessione, tanto da giocare si direbbe volontariamente “contro se stesso”. Atteggiamento con molte affinità con quello che ha sempre caratterizzato anche la figura pubblica di MH, il quale tuttavia ha assimilato benissimo la strategia, adattandola alle nuove regole della società mediatica, e così trasformandola, da parte sua, in una carta a favore di se stesso, con il risultato di attrarre su di sé una fortissima attenzione che, stanti appunto i tempi mutati, ha diviso in sensi opposti le simpatie e il giudizio dei lettori, non sempre a vantaggio di un approccio spassionato alle sue opere, che invece, come quelle di HPL, lo meritano a prescindere. Se Lovecraft non ha stipulato nessun compromesso con la vita “ridotta al minimo, da cui ogni forza vitale è stata drenata verso la letteratura e il sogno. Una vita esemplare” per immergersi senza residui nel suo mondo immaginario, si può dubitare che lo scrittore francese abbia seguito questo modello, anche perché, se lo “sporco mestiere … del romanziere” lo porta a trattare “la vita in generale”, con essa egli “si ritrova necessariamente compromesso”. Bisogna capirlo. Non può essere davvero contro il mondo e contro la vita. E con questo il primo passo verso l’autoassoluzione è compiuto. 

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