In chat con Anonymous

6 Febbraio 2013

La giornalista Carola Frediani ha appena pubblicato per Informant l’e-book Dentro Anonymous. Viaggio nelle legioni dei cyberattivisti. Il testo si articola secondo un doppio registro particolarmente intrigante, da una parte l’inchiesta giornalistica, dall’altra la narrazione in stile spy-story. L’abbiamo intervistata per farci raccontare qualcosa del suo libro e dell’opinione che si è fatta del mondo di Anonymous, il movimento di attivisti digitali internazionale che più ha fatto parlare di sé negli ultimi anni.

 

La galassia di attivisti ha una particolarità che la rende particolarmente interessante: la loro organizzazione e la loro identità si forma modellandosi plasticamente sull’infrastruttura attraverso la quale si sviluppa e opera: la rete. La loro organizzazione senza capi né rigide strutture, l’orientamento libertario, l’etica hacker, rendono Anonymous un universo affascinante da studiare, per smascherare falsi miti e dicerie che lo circondano e cercare di fare chiarezza sugli intenti che si pone.

 

 

Ci puoi raccontare cosa ti ha portato a voler scrivere un libro su Anonymous?

Come giornalista mi sono sempre occupata di tecnologia, internet, cultura digitale etc. Ho cominciato a interessarmi ad Anonymous per la potenza simbolica di questo movimento. Il fatto di essere un soggetto diffuso con una sua identitàcondivisa, l’uso della maschera di Guy Fawkes ripresa da V per vendetta e i contenuti che portano avanti. Ho cominciato a interessarmene nel 2011, quello che mi colpiva era il mix di pratica hacker e di attivismo e il fatto di essere un’organizzazione liquida, sfuggente e indecifrabile. Ho cominciato a scrivere alcuni articoli sull’argomento e ho approfondito il tema fino a fare uscire l’ebook.

 

 

Il libro si articola come una ricostruzione storica di alcune operazioni notevoli. Come mai hai deciso di dargli questo taglio invece di dare una lettura del fenomeno nel suo complesso?

Sì, il taglio non è quello di un saggio ma del long form journalism come si usa fuori dall’Italia, un lavoro giornalistico più lungo di un articolo e meno di un libro. Per questo mi sono concentrata maggiormente su alcuni fatti che ritengo interessanti, alternando il racconto di operazioni successe in Italia a quelle accadute all’estero. Essendo storie di per sé intriganti mi è venuto spontaneo adottare un registro da storytelling. Mi sembrava inoltre che ci fossero già molti articoli e pubblicazioni che teorizzavano sul fenomeno e a me interessava di più capire e mostrare come funziona Anonymous, com’è organizzato e chi sono alcuni dei suoi protagonisti. Un approccio più umile se vuoi, da cronista, che è anche più nelle mie corde. L’ebook è nato di conseguenza in pochi mesi, scrivendolo nel mio tempo libero e di notte.

 

 

L’atteggiamento da vigilante digitale e un certo grado di improvvisazione sono due limiti che evidenzi nel libro. Durante la tua indagine hai riscontrato altri punti critici?

Questo probabilmente è uno dei limiti maggiori di alcune azioni. Certe battaglie per quanto nobili (per esempio quella contro la pedopornografia) rischiano di rivelarsi un po’ scivolose. Dipende da come vengono condotte, se viene attaccato un network di file sharing che si dedica a quelle cose è un conto, se vengono pubblicati i dati dei presunti utilizzatori di questi servizi è un altro. In questo caso trovo che possa essere una pratica pericolosa perché non c’è nessuna presunzione di innocenza o possibilità di replica. Si rischiano fenomeni di vigilantismo dove chi viene preso di mira ha oggettiva difficoltà a difendersi. Questo è sicuramente un aspetto criticabile e problematico. In generale la loro posizione sulla pubblicazione di dati sensibili è di mettere tutto on-line, confidando che le cose si mettano a posto nel tempo. A volte ti dicono che se non lo avessero fatto loro qualcun altro lo avrebbe fatto sicuramente e con ancor meno scrupoli. C’è sempre un giudizio positivo sul fatto di diffondere l’informazione o il dato. Altre volte invece sono più attenti, dipende dalle singole campagne.

 

 

Nell’affiancamento di Anonymous verso Wikileaks non è riscontrabile la stessa sopravvalutazione del “dato”? Limportanza del dato poggia sulla morale della trasparenza oggi molto diffusa e condivisa non solo nell’ambiente hacker. Ogni dato va però interpretato e può voler dire cose molto differenti. Dalle tue frequentazioni sui canali IRC che idea ti sei fatta?

Il leaking, chiamiamolo così, è uno strumento formidabile, l’abbiamo visto con Wikileaks e non solo. Ma rischia di degenerare in un flusso di dati indiscriminato in cui nessuno ci capisce niente. Diventa anche difficile capire cosa ti trovi davanti, cosa sta a significare. A volte è più uno sfoggio muscolare, la capacità hacking di entrare in un database, prelevare dei dati e buttarli fuori. Devo dire che nonostante ciò il leaking conserva una sua efficacia anche a livello simbolico. È una cosa che fa notizia, che dà fastidio, anche se poi da gestire non è per niente facile. Alcuni tentativi in questo senso ci sono stati e ci sono. Penso al gruppo Par:AnoIA che sta facendo un ottimo lavoro, una sorta di Wikileaks dove non si buttano on-line i dati ma si fa anche analisi in crowdsourcing. Quindi sono in atto dei ragionamenti a riguardo, anche se probabilmente c’è ancora molta strada da fare.

 

 

La galassia cyberattivista da te avvicinata è nota per le battaglie sociali, civili e ambientaliste. Secondo te svolgono una funzione positiva a livello sociale?

Sì, secondo me sì, anche se a volte con esiti alterni e con soggetti opinabili. Ciò detto, sì, a partire dalla loro stessa organizzazione, una democrazia radicale e non gerarchica che ricalca la struttura della rete, lo sforzo di mettersi dalla parte dei soggetti deboli, il tentativo di dare voce a chi non riesce a emergere in certe situazioni. Importante è anche la capacità di parlare e far parlare di temi che non sono così sentiti dalla maggior parte della popolazione, come la questione della privacy, la profilazione dei contenuti, l’idea che la conoscenza sia una forma di potere etc. Tutte questioni molto attuali legate alle trasformazioni recenti in ambito digitale della nostra societàe che però non sono ancora un patrimonio diffuso. Temi che mi sembrano anche molto legati a una generazione in particolare. Questi attivisti, in fondo, hanno perlopiù tra i venti e i trent’anni. Quindi mi sembra riscontrabile un elemento generazionale che porta avanti dei nuovi argomenti legati al digitale.

 

 

Dalla tua inchiesta sei riuscita a farti un’idea sul grado di consapevolezza e sul livello politico delle loro operazioni? Nel testo torni spesso sull’aspetto un po’ ambiguo della comunità: da un lato ragazzini smanettoni, dall’altro attivisti.

Da quello che ho potuto osservare sono presenti entrambe queste anime ed è questa una delle particolarità di Anonymous. A volte l’amalgama viene così così ma a volte viene bene e dà vita ad esiti molto interessanti. L’aspetto peculiare è proprio dato dal fatto che lì si incontrano persone molto diverse tra loro e che probabilmente non avrebbero avuto modo di incontrarsi diversamente: da una parte gli smanettoni e dall’altra gli attivisti politicizzati. Lì trovano invece un terreno comune. Questo terreno è molto interessante ed è l’elemento da indagare, la vera essenza di Anonymous è che unisce mondi diversi: un’etica hacker aperta e allargata, la condivisione del sapere e delle conoscenze e un approccio democratico e aperto. Questa è una generazione che, nata su internet, è abituata a non prendersi troppo sul serio ma quando serve è capace di lanciare messaggi chiari e molto forti. È curiosa questa capacità di giocare con registri tanto lontani, dalla denuncia sociale alla battuta mordace. In generale l’elemento pop è molto presente.

 

 

Secondo te qual è il destino di Anonymous? Andrà avanti per la sua strada o si trasformerà in qualcos’altro?

È una domanda difficile. Adesso vive un momento più tranquillo rispetto alla vivacità iniziale, complici anche gli arresti e le condanne. Qualcosa certamente resterà, forse si trasformerà in qualcos’altro. Se riesce ad allargarsi a temi forti legati alle libertà individuali e d’espressione, e a situazioni che si sviluppano off-line (come in passato è successo con la primavera araba), riuscirà ad avere molta risonanza e quindi ci sarà spazio perché continuino ad esserci azioni molto interessanti. Ci sono molti possibili scenari, i dibattiti interni potrebbero portare Anonymous a evolversi in molte direzioni diverse. È tutto molto in divenire.

 

 

Carola Frediani presenterà l’e-book Dentro Anonymous. Viaggio nelle legioni dei cyberattivisti questa sera al Piano Terra, via Confalonieri 3, a Milano, a partire dalle 19.00.

 

 

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