Soci & Social

19 Febbraio 2014

Cos'hanno in comune un sito per la condivisione delle auto come BlaBlaCar, un social network dedicato ai servizi, Sfinz, e uno per gli appassionati del cibo e della convivialità di nome Gnammo, con un progetto per il recupero di ausili sanitari, Ausili OFF, con un portale per la prenotazione di camere e alloggi, Airbnb? Sono tutte start up tecnologiche o imprese sociali che fanno sharing economy e social innovation.

 

L’enorme sviluppo tecnologico dell’ultimo decennio ha fatto sì che la creazione di piattaforme, prodotti e strumenti digitali sia diventata possibile senza fare ricorso a grandi investimenti. Questa possibilità ha aperto le porte alle start up innovative e, tra queste, a quelle a vocazione sociale, le quali sono andate a rivitalizzare un settore tradizionalmente appannaggio delle imprese sociali e delle cooperative.
La differenza fondamentale tra imprese tradizionalmente impegnate nel sociale e start up a vocazione sociale risiede nella diversa disciplina prevista in materia di distribuzione degli utili, il cui primo effetto è quello di far diventare più sfumato il confine tra profit e non profit, per quanto riguarda le attività di interesse sociale.

 

Ad esempio, un sito di condivisione di passaggi in auto a prezzi bassi fa innovazione sociale perché fa incontrare bisogni di diversi soggetti (i famosi bisogni diffusi), li organizza e li trasforma in convenienza economica e sostenibilità ambientale. Ma soprattutto li soddisfa! La stessa cosa può avvenire con gli elettrodomestici, l'attrezzatura tecnica, ma anche con i servizi alla persona. In questi casi abbiamo a che fare con startup o con imprese sociali? Ecco che identità formalmente distinte finiscono per sovrapporsi e contaminarsi reciprocamente.

 

 

Negli ambienti della sharing economy non è sempre facile distinguere le realtà basate sulla semplice condivisione e quelle che invece si fondano sulla collaborazione tra pari. Il metro per farlo è dato dal valore sociale che si sviluppa in seguito alle scelte. Ma qual è oggi il profilo di chi s’impegna in prima persona in questo spazio tra profit e non-profit ? Se è vero che questo è un momento magico per l’innovazione sociale in Italia, non c’è forse il rischio d’incontrare tanti soggetti che si buttano nella mischia delle tecnologie animati da interessi esclusivamente economici? E se così fosse, cosa significa questa situazione? Nel boom delle start up a vocazione sociale non ci sono forse anche coloro che ritengono questa la nuova frontiera del business, e vogliono starci dentro per l’aspetto profit più che per quello social? Non è facile rispondere, tutto sommato questo non è il modo migliore per inquadrare il fenomeno. Negli anni Novanta si verificò qualcosa di analogo. Molti all'epoca sentirono il bisogno di uscire dal mondo delle grosse corporation per giocare in prima persona un ruolo positivo nella società. Fu un afflato etico decisivo per la nascita e lo sviluppo di tante associazioni, enti no-profit, ONG e cooperative di vario tipo.

 

Oggi sarebbe venuto il tempo delle start up di innovazione sociale. Ma esperienze come quelle legate all'innovazione sociale e alla sharing economy vengono da lontano, dal nostro passato, fanno parte della storia del movimento cooperativo. È storia nota: con l’affermarsi della rivoluzione industriale si sviluppa una classe operaia che col passare del tempo si organizza in associazioni e cooperative volte a creare reti di solidarietà reciproca in caso di malattia, infortuni sul lavoro, licenziamento e per assicurarsi derrate alimentari dignitose a prezzi contenuti, o alloggi decenti dove vivere. Questa è la storia di tante cooperative italiane, nate come cooperative di consumo, evolutesi in cooperative edificatrici in grado di offrire i più diversi servizi ai propri soci.

 

Lo stato sociale nasce facendo tesoro dell’esperienza accumulata dalle associazioni mutualistiche e cooperative, per rispondere con un nuovo patto sociale alle conseguenze disastrose della grande depressione del 1929. Questo modello è stato rimesso in discussione a partire dagli anni Settanta del Novecento, per venire infine ridimensionato fortemente nel corso degli ultimi trent’anni, ossia da quando il capitalismo industriale è stato progressivamente soppiantato da quello finanziario. Senza addentrarci ulteriormente sui motivi per i quali ciò è avvenuto, basta registrare il profondo cambiamento delle società avanzate in cui ci troviamo ora a vivere. Un riassetto sistemico che ha modificato gli equilibri del passato.

 

Le imprese sociali e le startup innovative nascono in definitiva come risposta allo smantellamento dello stato sociale, con l’obiettivo di intercettare e rispondere, in un’ottica imprenditoriale, più o meno spinta, a bisogni sociali diffusi (e anche da parte delle cooperative italiane si nota la volontà di dare spazio a pratiche e progetti di innovazione sociale). Agli inizi del Novecento il mutualismo si organizzò in cooperative perché era la formula più funzionale all’organizzazione per classi della società di allora. Ora le società in cui viviamo non somigliano più a quelle di un secolo fa, ma c'è sempre bisogno di risposte efficaci ai bisogni diffusi (e infatti molte cooperative stanno facendo proprie le pratiche derivate dagli ambienti dell'innovazione sociale).

 

L’attuale stagione d’imprese e startup di innovazione sociale è una delle risposte funzionalmente più adeguate, in un'economia di mercato, alle esigenze odierne. Una risposta resiliente.

Questo pezzo è apparso su la Domenica del Sole24Ore
 

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