Un oceano di suoni

26 Settembre 2023

Un mondo poco silenzioso

Le monde du silence: mai titolo fu più approssimativo. Imperdonabile considerato il regista (Louis Malle), il protagonista nonché co-regista (Jacques-Yves Cousteau), l’accoglienza critica (Palma d’oro a Cannes nel 1956, preferito a Le Mystère Picasso di Henri-Georges Clouzot, L’uomo che sapeva troppo di Hitchcock e Sorrisi di una notte d’estate di Bergman), la critica (la recensione elogiativa di André Bazin). Comprensibile tuttavia se pensiamo alle conoscenze allora disponibili – l’oceano “mondo del silenzio”. Certo, nel decennio precedente, durante la Seconda guerra mondiale, l’oceano era rumoroso a causa di “sonar, radar, ecoscandagli e altre tecnologie di rilevamento”, come ricorda John Durham Peters (The Marvelous Clouds. Toward a Philosophy of Elemental Media, University of Chicago Press 2015, p. 74). Tuttavia il titolo del film-documentario di Malle e Cousteau tiene se ci riferiamo all’oceano nel suo arco storico, perché per tre miliardi di anni ci fu veramente silenzio. Nessun segnale sonoro nel mondo batterico, fino all’arrivo dei palinuridi (di cui fa parte l’aragosta) e di altri crostacei sonori: “a partire da circa 200 milioni di anni fa, e con un’accelerazione dopo altri 100 milioni di anni, ebbe origine la maggior parte delle voci acquatiche”, come scrive David George Haskell in Suoni fragili e selvaggi. Meraviglie acustiche, evoluzione creativa e crisi sensoriale (Einaudi 2023, p. 69) su cui torneremo.

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Affiche di "Le monde du silence".

Avanziamo di alcuni milioni di anni fino al 2023. Nella ex Chiesa di San Lorenzo di Venezia si tiene Ensemble lunare per mari in rivolta, collaborazione del duo Petrit Halilaj & Álvaro Urbano, commissionata da TBA21-Academy (Thyssen-Bornemisza) e Audemars Piguet Contemporary e curata da Barbara Casavecchia (visitabile fino al 5 novembre 2023). Il giorno dell’inaugurazione, una quarantina di performer invadono il campo e issano su una pertica sculture dalle forme di animali fantastici. Una parata carnevalesca, fedele alle tradizioni locali. Volteggiando sopra le nostre teste, c’ipnotizzano e conducono all’interno della chiesa, rischiarata da un uovo appeso al soffitto che simboleggia o è allo stesso tempo una luna artificiale e ovoidale. Come il sole che filtra dalle vetrate, la luce si riflette nell’ambiente circostante e sulle sculture in alluminio, inox, rame e ottone, brillando come la superficie increspata della laguna. Queste le prime impressioni.

Il pubblico si dispone a cerchio e prende posto a terra quando i performer si trasformano in un ensemble di musicisti e le creature ibride si fanno strumenti musicali. Pizzicati, percossi, fatti vibrare con un soffio d’aria, azionati come un carillon, costruiti con materiali di recupero da Joe Summers, sono animati con perizia dai performer-musicisti veneziani. La composizione e il sound design sono assicurati da Lugh O’Neill, la regia dai due artisti stessi, mascherati da gabbiani a grandezza umana che ammiccano al pubblico e dirigono discretamente il concerto marino. Gabbiani simili a quelli che, presa fissa dimora nelle nostre città, le stanno trasformando in sperimentali vivai multi-specie.

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unar Ensemble for Uprising Seas (Ensemble lunare per mari in rivolta), performance di Petrit Halilaj e Álvaro Urbano, 21 aprile, 2023 presso Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Audemars Piguet Contemporary. Cortesia degli artisti e ChertLüdde, Berlino; kurimanzutto, Città Messico / New York; Mennour, Parigi; Travesía Cuatro, Madrid / Città del Messico / Guadalajara. Foto: gerdastudio.

Ensemble lunare per mari in rivolta è composto da sculture performate, dotate di sonorità che mi sorprendono e che si rendono udibili a chi sa manipolarle, a chi sa farle risuonare. Dar voce è del resto una questione centrale per un duo di artisti che, originari del Kossovo e della Spagna, vivono a Berlino, in un melting pot linguistico e transculturale.

Ad affascinare Halilaj e Urbano è il passato musicale della ex Chiesa di San Lorenzo, dai concerti di Vivaldi a Luigi Nono: qui si tenne infatti, nel 1984, la prima esecuzione del suo Prometeo. Tragedia dell’ascolto che coinvolse figure quali Claudio Abbado, Massimo Cacciari e Renzo Piano. Ad affascinarli è anche l’involucro spaziale, di cui colgono subito le potenzialità e che ricorda loro un carillon (o music box, il termine inglese utilizzato è più immaginifico) per la risonanza e un orologio per il modo in cui i raggi di luce percorrono lo spazio. Infatti, senza bisogno d’amplificazione, il suono vibra all’interno della chiesa, come se le sue rotondità barocche fossero il ventre di una balena.

L’immagine marina cade a proposito. Come la melodia, liberamente ispirata a una canzone popolare spagnola (¡Ay mi pescadito!) cantata dalla nonna di Urbano quando era bambino, e che vede come protagonisti un branco di pesciolini in fondo al mare, così i riverberi sulle pareti e i suoni prodotti dalle sculture c’illudono di trovaci sott’acqua. Non a caso i due artisti hanno già prodotto per Ocean Space un breve cortometraggio di ombre cinesi a tema marino, Un sogno, un pesce (2020). In questa occasione il mare è inteso come una zona queer, popolata da creature in continua evoluzione che si adattano, si proteggono o reagiscono all’ambiente circostante non nascondendosi ma assumendo colorazioni e bioluminescenze screziate.

“Creature libere, fluide, con molteplici forme di sessualità e di vita riproduttiva e sociale” (Halilaj) che formano un ecosistema dinamico restituito dalle molteplici sollecitazioni audio-visive di quella serata (e delle diverse riattivazioni nel corso della mostra). Davanti ai miei occhi e alle mie orecchie le sculture si trasformano così in esseri ibridi sorti direttamente dalla laguna e che, suonata l’ultima nota, guizzano via in direzione dell’acqua o del supposto “mondo del silenzio”.

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Geologia sonica

Ensemble lunare per mari in rivolta in quanto sinfonia multispecie del vivente: le impressioni di quella serata mi accompagnano per alcuni mesi e riaffiorano quando mi capita tra le mani il già citato Suoni fragili e selvaggi. Meraviglie acustiche, evoluzione creativa e crisi sensoriale (uscito nel 2022 e ora tradotto da Antonio Casto per Einaudi), l’ultimo libro del biologo David George Haskell. Conosciuto in Italia per La foresta nascosta e Il canto degli alberi (entrambi Einaudi, rispettivamente 2014 e 2018), Haskell ripercorre l’affascinante storia naturale del suono e dell’udito in un libro che si legge quanto si ascolta. 

Le sue pagine sono infatti attraversate da ogni sorta di suoni naturali e animali che, non sapendo come ordinarli, elenco alfabeticamente e rileggo ad alta voce: barriti, borbottii, bramiti, brontolii, brusii, cadenze, cinguettii, clic, colpi, crepitii, echi, fischi, frullii, fruscii, garriti, gemiti, gorgheggi, gracchii, gracidii, grida, grugniti, guizzi, lamenti, modulazioni, muggii, muggiti, palpiti, pigolii, pulsazioni, richiami, rimbombi, ringhi, riverberi, ronzii, ruggiti, sbraiti, scampanellii, schiamazzi, schiocchi, sibili, soffi, squittii, starnazzi, strepitii, stridori, sussulti, tremolii, trilli, uggiolii, vagiti, vibrati, vibrazioni, vocalizzi (alcuni mi sono sfuggiti). Tanti modi di nominare i suoni scolpiti dalla bocca dei viventi non umani, tanti modi di dire, con un solo termine, il canto e la ricchezza della cultura vocale. Una cultura che è anche storica, perché molti di questi suoni, sviluppatisi nell’arco di centinaia di milioni di anni, sono testimoni dell’evoluzione. “Il suono, fatto di respiro e durate sfuggenti, può essere più vecchio della pietra. Nelle voci degli animali ascoltiamo l’eredità di una geologia sonica fatta di vibrazioni nell’aria, resa varia dalla tettonica delle placche e dagli spostamenti preistorici delle specie fra i continenti. A differenza della pietra, nessuna sostanza fisica durevole trattiene nel tempo le tante forme del suono” (p. 189).

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Lunar Ensemble for Uprising Seas (Ensemble lunare per mari in rivolta), performance di Petrit Halilaj e Álvaro Urbano, 21 aprile, 2023 presso Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Audemars Piguet Contemporary. Cortesia degli artisti e ChertLüdde, Berlino; kurimanzutto, Città Messico / New York; Mennour, Parigi; Travesía Cuatro, Madrid / Città del Messico / Guadalajara. Foto: gerdastudio.

Eppure è difficile per noi associare un suono preciso ai modi di dire il canto animale prima elencati (e ben resi dal traduttore), per quanto tanti siano onomatopeici. Segno della povertà delle nostre percezioni acustiche del mondo naturale. Che molti di noi riconoscano più suonerie del cellulare che versi animali ha smesso di sorprenderci.

Se le foreste giocano un ruolo determinante nell’argomentazione di Haskell, non manca un capitolo consacrato agli oceani che si apre col canto di una megattera registrato da un idrofono a 700 metri di profondità e che si propaga per centinaia di chilometri.

Un’atmosfera che mi riporta subito alla music box di Ensemble lunare per mari in rivolta. Ma l’affinità dura poco. Tenendo un registro assieme scientifico ed empatico, Haskell ci avverte che i suoni naturali sono sopraffatti dal fracasso prodotto dalle nostre imbarcazioni, che disturbano l’ecolocazione e la comunicazione tra gli animali acquatici, oltre all’inquinamento chimico e all’esaurirsi delle riserve alimentari. Quello che nell’aria è un leggero brontolio diventa un rombo assordante sotto le onde. Un problema per quegli animali che, in ambienti spesso oscuri o torbidi, usano poco la vista e sono immersi in un mondo sonoro. “Il suono rivela forme, energie, profili e altri abitanti del mare. Crea un legame comunicativo […] collega partner, parenti e rivali invisibili, avverte della presenza di prede e predatori” (p. 305); è insomma “vista, tatto, propriocezione e udito” (p. 310).

Haskell mostra bene la portata dell’inquinamento acustico, fomentato dalle esercitazioni acustiche ed esplosive nel Nord-Ovest Pacifico che, come ammesso dalla Marina degli Stati Uniti che ne è la promotrice, “uccideranno o feriranno quasi tremila mammiferi marini e avranno un impatto negativo su alimentazione, riproduzione, spostamenti e cure parentali di altri 1,75 milioni di animali” (p. 307). È solo l’antipasto: “L’esercito statunitense prevede di iniziare presto a trasmettere rumore continuo in tutti i bacini oceanici per guidare i mezzi sottomarini” (p. 317).

A questi rumori vanno aggiunti quelli prodotti dalle prospezioni geominerarie che sparano suoni come proiettili per cercare gas e petrolio nei sedimenti marini. Le loro navi sono attrezzate di air guns, armi ad aria compressa “che scagliano bolle di aria pressurizzata nell’acqua, un sostituto della dinamite” (p. 309) ogni dieci-venti secondi, andando avanti per mesi. Un “martellamento sismico subacqueo” (p. 310) udibile fino a 4000 chilometri di distanza. I sonar navali sono così violenti che “possono costringere le balene a inabissarsi e risalire in superficie a una velocità tale che le loro vene si riempiono di bolle d’azoto, i tessuti integrativi si disintegrano e gli organi vanno incontro a emorragia: il suono li dissangua a morte dall’interno” (p. 312). Oltre a decimare “gli animali alla base della rete alimentare oceanica: plancton e larve di invertebrati” (p. 311). Che la situazione migliorerà in futuro? C’è da dubitarne se pensiamo alle richieste pressanti delle imprese di alleggerire le normative sui rilevamenti sismici.

Barriti, borbottii, bramiti… alla lista di suoni naturali esplorati da Haskell dobbiamo in finale affiancare le esplosioni, il punzecchiamento e le stilettate delle air guns e dei sonar. “Se esiste un inferno del suono, è negli oceani odierni: abbiamo trasformato le dimore degli animali più acusticamente sofisticati e sensibili in una bolgia, un tumulto ineludibile di rumore umano” (p. 292), non diversamente dai nostri spazi urbani.

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Lunar Ensemble for Uprising Seas (Ensemble lunare per mari in rivolta), performance di Petrit Halilaj e Álvaro Urbano, 21 aprile, 2023 presso Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Audemars Piguet Contemporary. Cortesia degli artisti e ChertLüdde, Berlino; kurimanzutto, Città Messico / New York; Mennour, Parigi; Travesía Cuatro, Madrid / Città del Messico / Guadalajara. Foto: gerdastudio.

Mari in rivolta

Dalla geologia sonica ai test sismici, dal mondo del silenzio all’inferno del suono: che sia questa la parabola, compiuta in meno di un secolo, che ha condotto alla nostra attuale alienazione sensoriale?

Le monde du silence: provate a (ri)vedere oggi il film di Malle e Cousteau. Più che l’assenza di silenzio con cui ho cominciato, sconcertante è il rapporto di Cousteau con l’ecosistema marino. Come ricorda Haskell, “le aragoste vengono stanate, i pesci tirati a bordo, gli squali macellati, le barriere coralline fatte esplodere – metodi che riflettono la brutalità degli strumenti scientifici dell’epoca” (p. 66). Eppure già dagli anni Quaranta la biologa Marie Poland Fish affermava che “il chiasso della vita animale pervade il mondo sottomarino allo stesso modo delle foreste, delle campagne e delle città” (p. 66). Ma quello che all’epoca di Cousteau poteva passare per baldanzoso dilettantismo o ignoranza, suona oggi come una terribile premonizione: gli oceani rischiano di diventare – o di ridiventare, dopo milioni di anni – il mondo del silenzio, perlomeno quello dei viventi. Restano solo i motori delle prospezioni in un oceano che non somiglia più a quello della nostra immaginazione o di Ensemble lunare per mari in rivolta di Halilaj e Urbano.

I suoni del pianeta Terra e il chiacchiericcio sottomarino rischiano di essere soffocati; paesaggi sonori sviluppatisi nell’arco di centinaia di milioni di anni sono a rischio d’estinzione. “Crisis of Sensory Extinction” è il sottotitolo del libro di Haskell, in italiano addolcito con “crisi sensoriale”, perché un declino dei suoni indica una perdita di biodiversità. Il libro di Haskell è un’ode ai suoni naturali, un invito al loro ascolto e un’appassionata messa in guardia sui rischi del loro ammutolimento. Ma anche un’iniziazione alla cultura vocale che passa per un’ecologia del sensibile in cui il contributo degli artisti è decisivo.

In copertina, Petrit Halilaj and Álvaro Urbano, “Lunar Ensemble for Uprising Seas, 2023. Veduta della mostra “Thus waves come in pairs”, Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Audemars Piguet Contemporary. Cortesia degli artisti. Foto: gerdastudio.

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