cheFare. La prossima mossa

Oggi si inaugura la nuova versione del sito di cheFare, e con questa la seconda fase di selezione del percorso per il premio da 100.000 euro per un progetto d’innovazione culturale ad impatto sociale. Tra le pagine del nuovo sito sarà possibile scoprire i progetti e votarli, oltre che finanziarli attraverso la piattaforma di crowdfunding Eppela e raccontarli - o farseli raccontare - con Timu, lo strumento di social storytelling della fondazione <Ahref.

Accanto alle schede dei progetti, il sito raccoglierà i contributi apparsi su La Domenica de il Sole 24 Ore, doppiozero ed i social network, dedicati ai temi che abbiamo scelto di affrontare: le trasformazioni della cultura nella società della connessione, le nuove forme dell’economia e del lavoro, le sfide della condivisione e del crowdfunding.

 

Quello che sorprenderà molti è che abbiamo deciso di pubblicare solo 32, e non 40 (il limite massimo), dei quasi 520 progetti pervenuti. Da dove viene questa scelta?

In estrema sintesi, abbiamo deciso di puntare su quelle proposte che fossero in grado di armonizzare innovazione, impatto sociale e sostenibilità economica. È stata una scelta sofferta, che ci ha impegnati giorno e notte per valutare con obiettività la fantasmagoria di idee che ci scorrevano davanti agli occhi.

 

Una primissima selezione ha messo da parte i progetti che non rispondevano alle finalità del bando, perché si concentravano su campi della cultura che ne erano esclusi (come il design, l’architettura, la cultura del cibo), o perché erano mirati alla realizzazione di progetti culturali interessanti ma “tradizionali”. Già questa fase è stata dolorosa, perché ci siamo trovati costretti ad accantonare molti progetti validi e nei quali si può aver voglia di credere; quello che stavamo cercando, però, era qualcos’altro.

 

Il team di esperti che ha affrontato la selezione successiva era composto da una squadra di ricercatori e professionisti espressi da doppiozero e da Avanzi, Fondazione <Ahref e Tafter. Abbiamo scandagliato i progetti sulla base dei criteri che guidano tutta la nostra avventura: ricerca della collaborazione e co-produzione; grado di innovazione; scalabilità e riproducibilità; sostenibilità economica nel tempo; equità economica e contrattuale; impatto sociale positivo; impiego di tecnologie opensource e licenze Creative Commons; capacità di comunicare le proprie idee e visioni.

Il risultato di questo lavoro estenuante è quello che potete vedere nella pagina progetti.

 

C’è stato un momento, il pomeriggio del 3 novembre, in cui ci siamo resi conto che il numero di progetti in arrivo superava di gran lunga le nostre più rosee aspettative. Ed è stato lì che abbiamo avuto la prima visione chiara di quanta energia personale e collettiva è stata messa in moto dalla nostra iniziativa. Quante centinaia di ore sono state spese dai progettisti su cheFare? Quante nuove associazioni e start-up sono nate? Quante storie ci sono dietro i progetti che abbiamo letto?

 

Gli oltre 500 progetti arrivati non sono solo l’espressione di quel “progettificio” che spesso segna le esperienze dei bandi e concorsi sempre più diffusi negli ultimi anni. Sono un segnale, la prova tangibile dei sogni e dell’impegno di chi ci ha lavorato. Un concentrato dei loro desideri.

 

È da quel momento che abbiamo iniziato a chiederci come restituire valore anche a chi non è stato selezionato. Molti dei progetti che ci sono arrivati sono validissimi da alcuni punti di vista, come ad esempio l'innovazione, ma sono deboli da altri, come l’efficacia del business model. Ovviamente ci è impossibile dare un feedback individuale ad ogni proponente.

Ma per iniziare, nel corso delle prossime settimane raccoglieremo i suggerimenti dei partner e della community per costruire delle linee guida per il miglioramento delle progettualità delle idee che ci sono arrivate.

 

In molti casi i progetti erano simili, complementari o contigui. Questo ci ha offerto una prospettiva sulle potenzialità ed esigenze del fare cultura in Italia che sarebbe stata impossibile da ottenere con gli strumenti di mappatura più tradizionali.

Molti progetti sono espressione di necessità territoriali ed espressive specifiche. Abbiamo ricevuto, ad esempio, un numero impressionante di proposte per la costruzione di spazi di co-working. Abbiamo scoperto che l’Italia pullula di palchi multimediali, tendoni da circo ed altre strutture itineranti pensate per portare la cultura da un luogo all’altro. Abbiamo letto le storie di chi cerca di riqualificare capannoni abbandonati, chiese sconsacrate e borghi rurali, combattendo con le difficoltà di accesso al credito secondo i meccanismi tradizionali e con la burocrazia.

Ci stiamo interrogando su come condensare questa complessità e questa ricchezza in una serie di indicazioni concrete da sottoporre alle amministrazioni ed alle istituzioni.

 

Gli oltre 500 progetti che abbiamo visionato sono un segnale forte dell’energia di associazioni, fondazioni, imprese e cooperative attive sul territorio nazionale. Il segno concreto che c’è un nuovo bisogno di stare insieme, in modi differenti dal passato, per lavorare al di fuori delle logiche produttive tradizionali.

 

La prossima mossa - per chi è stato selezionato, come per tutti quelli che ci hanno seguito fino ad ora - è la costruzione di un senso condiviso per cheFare. È una pratica diretta e concreta per la cultura che si esprime non solo attraverso il voto on-line, ma anche con lo storytelling dal basso, il finanziamento diffuso, il dibattito e la discussione.

La prossima mossa sta a tutti voi.

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