Bisogno di sicurezza / P. Dick e il controllo del crimine
Come noto, alcuni termini ed espressioni linguistiche contrassegnano epoche e ne segnalano le ‘forme di vita’. Tra questi si collocano a pieno titolo i binomi “rischio-pericolo” e, connesso, “paura-insicurezza”.
In effetti la nostra società da qualche tempo si è lasciata alle spalle la serena aspettativa di un progresso scientifico globale e inarrestabile, in grado di dominare le insidie diffuse. Sia quelle naturali da cui si intravede il pericolo, sia quelle umane tecnologiche o conflittuali da cui nasce il rischio. Oggi si intravede un temibile paradosso: gli uomini divengono sempre più "dei" grazie al progresso, come ben ricorda Hariri (Da animali a dei, Bompiani, 2014) ma nel contempo si accorgono che l’ignoto è sterminato e non finisce mai. La natura talora è indomabile tra terremoti e catastrofi, la tecnologia talora sfugge di mano a fronte di disastri non calcolati, la mano umana talora è inesperta nel progettare il suo presente. Non basta: talora è lo stesso uomo che provoca ostilità all'interno del suo genere provocando conflitti tra persone, gruppi o nazioni, mostrando aggressività nel confronto con l'Altro.
Di qui la constatazione che l'insicurezza e la paura, personale e collettiva sono dati ormai acquisiti. Il tema cruciale è però un altro: come ovviarvi? Come prendere atto dell’innegabile differenza dei vari rapporti, quello con la natura da scrutare, quello con la tecnologia da affinare, quello con l'Altro da contrastare? È stato così messo a fuoco un aspetto dall'apparenza banale ma mai sufficientemente scontato, come è stato osservato (Sadin, La societè de l'anticipation, 2012). Il singolo e la società sono in grado di fronteggiare paure e disagi con lo strumento della prevenzione, con lo sforzo cioè di intervenire prima che l'evento accada, calcolando in anticipo rischi-pericoli per devitalizzarli.
Non è un caso che si diffonda un significante linguistico che sembrava insignificante. Si tratta del prefisso ‘pre’, disseminato un po’ ovunque con il chiaro intento di esprimere il bisogno di sicurezza. La “pre-cauzione” e cioè la cautela studiata in anticipo, la “pre-visione” e cioè la percezione anticipata di quanto accadrà, la “pre-cognizione” e cioè il tentar di sapere quanto ancora oscuro sono alcuni esempi, tra i molti. Del resto il diritto penale del 1930 tuttora vigente, e sotto questo aspetto “pre-vidente”, aveva stabilito come criterio per verificare la “colpa”, cioè la non intenzionalità dell'agire, la “prevedibilità”. Il che significa stabilire se un evento accaduto era ipotizzabile, se lo era in concreto o in astratto, se lo era prima dei fatti o lo è stato solo dopo. Si pensi alle vicende relative alle catastrofi naturali (terremoti purtroppo non infrequenti), ai disastri (incidenti ferroviari o stradali), ai decessi (malattie professionali).
La fantascienza ha fornito un prezioso canovaccio su come intervenire soprattutto rispetto alla criminalità. E di questo va largamente a merito di uno degli indiscussi suoi rappresentanti, Philip Dick.
Avendone già esaminati alcuni temi generali (“I mondi di Philip Dick”, Doppiozero 2017), ora interessa un aspetto particolare della sua produzione. Fin dagli anni 1950, logorato dall'ossessione dell'insicurezza, questi aveva sostenuto che, di fronte alla coppia “prevenzione-repressione” soprattutto del crimine, la supremazia deve essere assegnata alla prevenzione. Non a caso il protagonista di Follia per sette clan del 1963 manda avanti un simulacro elettronico di se stesso per evitare sorprese prima di entrare in un ambiente estraneo. Oppure nel racconto “L’impostore” del 1953, temendo che un robot porti addosso una bomba micidiale, si decide di ucciderlo “perché gli uomini non potevano perdere tempo ad accertare la sua colpevolezza”.
L'intuizione dirompente, e seguita ampiamente in seguito, è stata assegnare alla tecnologia un ruolo decisivo per controllare il territorio e le persone e, riguardo alle persone, per controllarne i dati soggettivi “sensibili” e i comportamenti esteriori.
Altri capolavori, da 1984 di Orwell a Farenheit 451 di Bradbury, a Il mondo nuovo di Huxley, hanno trattato questi temi. Come è stato osservato, essi condividono una visione “antiutopica” del futuro perché invece ne delineano l’anticipazione. Si pensi all’umanità dell'androide che prefigura le implicazioni scientifiche della struttura del DNA e quindi del corpo, irradiato da segnali provenienti da una molecola che ne contiene il programma. Inesorabilmente il connubio tra medicina e genetica ha portato a considerare il corpo umano artificiale, riparabile in laboratorio, e in vita innervato da protesi esterne. In definitiva sempre più docile e remissivo di fronte alle macchine.
Dick ebbe chiara questa intuizione esponendola in “Minority Report” del 1956. La trama è semplice. Nell'America del 2054 opera l'Agenzia Pre-crimine che utilizza le capacità extrasensoriali di tre mostriciattoli ('idioti deformi') di prevedere se e quando taluno commetterà i crimini. Costoro trascorrono la loro vita rinchiusi in un sotterraneo, immobilizzati su sedie speciali, legati con fili a macchine che decodificano le loro profezie e trasferiscono i dati su schede che riportano i nomi degli autori dei reati, le loro vittime, quali infrazioni commetteranno. Sulla base di queste prove, le persone vengono arrestate senza alcun processo. Può capitare che nel futuro si sviluppino, secondo l’espressione di Dick, “universi paralleli” e che quindi le profezie non coincidano tra loro. Ed allora se una è divergente nasce il rapporto di minoranza, di cui peraltro nessuno è a conoscenza.
In questo mondo dominato anche dai veggenti pare che Dick si sia ispirato a un autore a lui caro, A.E. Van Vogt. Questi scrisse nel 1940 il romanzo Slan, i cui protagonisti erano mutanti superiori agli umani, gli slan appunto, da questi perseguitati e da loro difficilmente distinguibili se non per gli organi interni e alcune antenne sottili sulla testa, Lo slan protagonista, Cross, riesce a leggere nella mente altrui e ne è sconvolto, capta odio, pregiudizi e umori delle persone normali.
I risultati ottenuti, osserva la Pre-crimine, sono strabilianti in quanto i crimini si riducono di circa il 99,8%. Nel contempo si raggiungono altri traguardi, meno lusinghieri: si diffonde un clima di paura e nessuno si sogna neppure di pensare di commettere reati. Come osserva l’Agenzia "il colpevole sa di finire imprigionato una settimana prima di aver la possibilità di commettere un reato". "Noi diciamo che sono colpevoli. Loro proclamano in eterno la loro innocenza. E in un certo senso sono innocenti". "Nella nostra società abbiamo campi di prigionia pieni di potenziali criminali". Di conseguenza "la perpetrazione del crimine è qualcosa di assolutamente metafisico".
Nel film, Spielberg tra le altre modifiche ha avuto la sensibilità, da democratico dichiarato e reduce dal nobile Amistad, di far ratificare la procedura di arresto da un giudice. Il capo dell’Agenzia, Anderton, rischia di essere stritolato dalla sua stessa struttura: viene ricercato, pur non avendo fatto nulla, da un gruppo di avversari politici che hanno al vertice proprio chi dovrebbe essere arrestato. Anderton cerca quel capo e lo uccide, confermando l'esattezza della Pre-crimine. Non verrà punito ma soltanto esiliato, e da lontano ammonirà che la manomissione potrà ripetersi perché il sistema potrebbe rivelare qualche falla.
Il quadro generale è nitido: per ovviare alla paranoia della sicurezza non si può andare per il sottile, ma occorre servirsi della tecnologia a disposizione. Il nemico può essere ovunque e chiunque. La paura moltiplica a dismisura gli oggetti e le persone da temere. Nessun indugio con raffinate discussioni o perdita di tempo per colpire i colpevoli. Solo la vendetta e la punizione possono consentire incisive risposte.
Dalla narrazione si traggono alcuni altri corollari: la giurisdizione si eclissa in quanto il processo viene eliminato a favore della macchina. I ‘pre-cog’ sono infatti esseri che di umano nulla hanno, vivono con fili, sono connessi a schede e vengono trattati con disumanità. La macchina elabora le risposte individuando i futuri colpevoli, così occupando un ruolo decisivo nella risposta al crimine. Essa domina con la sua rigidità mentre l'uomo soccombe con la sua discrezionalità come, con i dovuti distinguo, nella ‘Colonia penale’ di Kafka ove la macchina traccia sul corpo del condannato la norma violata.
Altro corollario è la scomparsa di ogni rituale pubblico. L'esercizio della giustizia penale ha sempre avuto una componente spettacolare per ammonire la collettività delle conseguenze cui si va incontro commettendo reati. Nei secoli passati il momento pubblico era riservato alla fase esecutiva, al supplizio, alla condanna a morte, sempre più tragicamente cruenta per assolvere a quello scopo di deterrente. Del prima, del come si era giunti alla condanna poco si sapeva e poca luce filtrava.
Nei secoli più recenti invece i momenti si sono rovesciati: la pubblicità risiede nella celebrazione del processo, davanti a un pubblico che controlla quanto avviene e nel contempo percepisce il disvalore di cosa significa aver commesso un crimine. E apprezza anche la possibilità che ogni verdetto sia rivisto da corti superiori.
Questi scenari in Dick non esistono: domina solo la necessità di colpire senza le incertezze e le pastoie del diritto chi è previsto delinqua. Senza processo, senza garanzie, senza ricorsi. Con l'ineluttabilità di una macchina e della tecnologia, come ad esempio l'esame oculare biometrico.
Il racconto, che si ripete è del 1956, nella sostanza contribuisce ad aprire una riflessione sul tema della prevenzione impostando un nuovo paradigma, sviluppato in seguito.
Alle società disciplinari del 18-19 secolo, studiate da Foucault e basate sui luoghi di reclusione, subentrano le società di controllo, più libere, fluide dove gli individui sono ridotti a tasselli e numeri, con la verifica dei flussi, come Deleuze approfondì nel 1990 (“La società di controllo”, Pourparler, Quodlibet).
In precedenza sorvegliare significava guardare, ob-server, portare gli occhi sopra qualcosa, “sur-veilleir”. Ora il sorvegliante e sorvegliato non esistono più come entità e sorvegliare diventa calcolare, vedere sotto, dentro (“sous-veillance”). Con la tecnologia estremizzata, la sorveglianza dilaga e si salda l'alleanza tra marketing e sicurezza attraverso le tracce lasciate dai consumatori, o dai cittadini a proposito della politica. L'idea cruciale di Dick è quella di captare le intenzioni delle persone per poter intervenire sul crimine. Oggi quello spunto si estende paurosamente in ogni settore di scelte individuali, approfittando dell'ombra digitale che ciascuno lascia alle proprie spalle.
I rischi di questo nuovo mondo sono molteplici ed evidenti.
Un altro scrittore di fantascienza 'non utopica', l’inglese James Ballard, ne aveva descritti alcuni. La paranoia della sicurezza e l'isolamento dorato trasformano i benestanti che lo utilizzano in un terreno d’incubazione del crimine. Così in Condominio del 1975 un gigantesco grattacielo londinese ospita una comunità iperprotetta, che si disgrega e sprofonda in stadi precivili e primordiali. Così in romanzi successivi le comunità artificiali tecnologizzate, che vivono in enclave separate dalla società per proteggersi, liberano la violenza che diviene il modo per reagire alla apatia-abulia che regna sovrana. Essa così risulta essere motivo di coesione sociale e un motore di socialità interna (Cocaine nights del 1996 ambientato nella spagnola Estrella de mar, Super Cannes del 2000 collocato in Costa Azzurra).
Del resto la geometria penale intuita da Dick è risultata meno paradossale e fantasiosa alla luce dei principi inseriti in alcune normative statunitensi nella lotta al terrorismo internazionale. Il riferimento scontato è al “Patriot Act” del 2001, l’ordine militare presidenziale cui sono seguiti discipline specifiche e istruzioni ministeriali. I processi sono segreti, l'intento è trasformare gli accusati, indicati come 'nemici combattenti' e 'detainees', in strumenti informativi nella lotta al terrorismo. Di qui l'irrilevanza di accertare la fondatezza o meno dei fatti contestati. Molti articoli sono stati aboliti dalla Corte Suprema, ma sono rimasti in vigore i 14 permanenti a dispetto di ogni programma elettorale.
L'Italia, un po’ per la sua proverbiale esperienza nella mediazione, un po’ per la tradizione garantista affermatasi negli anni di piombo, ha seguito le direttive della Corte Costituzionale secondo cui possono essere posti limiti ai diritti solo se ragionevoli, temporanei, proporzionali.
Ma in definitiva questi sistemi di prevenzione sono efficaci? Vale per loro il dilemma del “cd carrello ferroviario”, proposto dagli studiosi di etica, in base al quale il sacrificio di pochi è utile per salvare i molti? Si tratta del classico esempio del treno senza guida che sta per travolgere cinque persone. L’evento è evitabile se alla biforcazione viene deviato, ma con questa manovra viene investito inesorabilmente un individuo rimasto intrappolato nel binario secondario. Si può costruire su queste basi il “diritto penale del nemico”?
Il tema è gigantesco, ma una cosa è certa: i principi fondamentali del diritto sono seriamente intaccati. Per citarne alcuni: la garanzia del processo, la valutazione delle prove, la presenza di un giudice non espressione del potere esecutivo, la tutela della privacy individuale, per non parlare della preservazione del libero arbitrio compromesso dalla strumentazione tecnologica. I valori su cui si fondano le nostre società sono messi a rischio dalla richiesta di sicurezza, soprattutto dopo l’11 settembre, avanzata da una collettività che pare disposta a rinunciare a una porzione di libertà. In quella prospettiva lo stato torna ad essere dominante, invasivo ed invadente, e la tutela collettiva diviene sicurezza nazionale. La visibilità dei cittadini deve essere totale, e la trasparenza senza riserve non serve più, come nel passato le spinte antagoniste sostenevano, per guardare dentro le stanze di un potere che governa con i vetri oscurati, ma per controllare tutto e tutti. Rifiutare questa logica, si afferma, significa impedire di bloccare il nemico ostile e quindi ostacolare la lotta alla criminalità.
Si tratta, in realtà, di una deriva dalle prospettive sconfinate e forse inarrestabili. Lo sforzo è quello di preservare qualche diritto fondamentale, ad esempio quello "di non essere passati ai raggi X, da parte a parte, da una conoscenza globale", per usare le sempre sagge parole di Claudio Magris, in una vecchia intervista.