Poster movement / Seneca e la cartellonistica pubblicitaria
Che il Poster movement – secondo la felice definizione data da Rober Koch nel novembre del 1957 sulla Gazette des Beaux-Arts – sia figlio della pittura è un dato ormai acclarato. Nato in Francia nel penultimo decennio del XIX secolo, conobbe da subito un rapito sviluppo in tutta Europa. In Italia, però, la sua diffusione fu più tardiva e raggiunse l’acme nel primo scorcio del Novecento, grazie all’opera di straordinari artisti, quali Achille Beltrame, Umberto Boccioni, Leonetto Cappiello, Plinio Codognato, Fortunato Depero, Marcello Dudovich, Alberto Martini, Leopoldo Metlicovitz, Guido Marussig, Marcello Nizzoli, Plinio Nomellini, Severo Pozzati (Sepo), Federico Seneca, Aleardo Terzi e molti altri ancora.
Se il suo primo debito culturale il Poster movement lo pagò all’Art Nouveau, sarà poi grazie alle ricerche fauviste che metterà a punto quel suo linguaggio particolare, fatto di colori piatti e di silhouette nere, che lo ha reso famoso. Questa scelta estetica fu in parte anche dettata dal ricorso a una nuova tecnica di stampa, la cromolitografia, un’evoluzione policroma della litografia, che consisteva nel tracciare sulle pietre litografiche forti contorni con la matita grassa, poi campiti di tinte piatte e con un procedimento di semplificazione della forma del tutto analogo a quelli messi in atto dai maestri Fauves. La stampa sovrapposta di più matrici consentiva poi di impiegare una vasta gamma di tinte, con sorprendenti effetti di brillantezza cromatica e di precisione del segno. Nel tempo, la cartellonistica non smetterà di prendere spunto dalla pittura, anche quando dalla cromolitografia passerà alla più moderna stampa offsett, risentendo spesso dell’influenza linguistica delle avanguardie artistiche, fino a quando non riuscirà ad affrancarsene, per tracciare un proprio cammino da esse disgiunto. E ciò sarà reso possibile dalle ricerche che verranno condotte soprattutto in seno al Bauhaus, al Costruttivismo e al Suprematismo, grazie alle quali il linguaggio pubblicitario diventerà una forma di arte autonoma.
Tra le pieghe di questa storia si inserisce la figura di Federico Seneca (1891–1976), di cui è in corso la mostra al m.a.x. museo di Chiasso, intitolata: Federico Seneca, segno e forma nella pubblicità, visitabile dal 9 ottobre al 22 gennaio 2017.
L’esposizione, la prima antologica dell’artista fanese condotta con rigore scientifico, presenta manifesti, locandine, grafiche pubblicitarie, insegne, logotipi, cartoline, calendari, scatole in latta e cartone, fotografie e persino alcuni bozzetti scultorei in gesso, con i quali Seneca affrontava lo studio dei volumi e dei pesi visivi delle proprie creazioni. Si tratta di pezzi provenienti soprattutto dalla collezione Salce di Treviso ma anche da quella della famiglia Seneca e da collezioni private europee, alcuni dei quali esposti per la prima volta al pubblico.
Nato a Fano nel 1891, Federico Seneca, dopo gli studi classici, si diploma al Regio Istituto di Belle Arti di Urbino, città nella quale intraprende dapprima la carriera di insegnante di disegno per poi dedicarsi definitivamente all’affiche.
La sua attività di cartellonista, iniziata pubblicizzando la vocazione balneare della propria città natale, si interromperà a causa del primo conflitto mondiale, durante il quale Seneca sarà arruolato negli alpini e quindi come pilota di idrovolanti. La riprenderà al suo termine con una pluridecennale collaborazione con l’azienda dolciaria Perugina, del cui ufficio pubblicità diventerà responsabile, e, a partire dal 1925, con il pastificio Buitoni, esperienze entrambe concluse nel 1932, quando si sposterà a Milano, dove aprirà un proprio studio di pubblicità. Sarà da questa piazza che potrà lavorare per le ditte più prestigiose del tempo, dalla Rayon, alla Modiano, alla Cinzano; dalla Talmone, alla Stipel, la società telefonica di allora; dalla Chlorodent, alla Montecatini, alle Lane BBB, alla Naylon, all’Agip, all’Agipgas, all Pibgas, all’Energol e alla Ramazzotti, di cui sarà consulente pubblicitario dal 1950 al 1958.
Nel 1969 si trasferirà con la famiglia a Casnate con Bernate, in provincia di Como, dove rimarrà fino alla morte (1976).
La sua creazione-icona è senza dubbio la pubblicità del Bacio Perugina raffigurante due amanti abbracciati. Quest’immagine, da lui ottenuta rielaborando in stile affiche il soggetto del famoso quadro di Francesco Hayez, “Il Bacio”, è entrata a far parte a buon diritto del nostro immaginario collettivo. Frutto del suo ingegno sono anche il logo, la scatola blu e l’idea dei cartigli-messaggio che avvolgono il mitico cioccolatino, vero e proprio must per molte generazioni di innamorati.
Tra il 1924 e il 1927, la matita di Federico Seneca si avvicinerà alle linee dinamiche del Secondo Futurismo, prossime soprattutto alla ricerca del perugino Gerardo Dottori (che le teorizzerà nel 1929 nel suo Manifesto dell'Aeropittura), artista con cui il nostro aveva avuto una lunga frequentazione. Ciò avverrà nei progetti dei manifesti per la "Coppa della Perugina", una corsa automobilistica internazionale, istituita da Giovanni Buitoni, patron della Perugina negli anni Venti. Tali manifesti varranno a Seneca addirittura l’encomio di Filippo Tommaso Marinetti, apposto in calce al registro delle visite dell’industria dolciaria, dove ancora si legge:
"Bravo, Seneca, magnifico futurista del Cartello - Reclame! F.T.Marinetti."
Il linguaggio grafico di Federico Seneca, in un primo momento vicino all’elegante raffinatezza di Marcello Dudovich, dopo la breve parentesi futurista, traccerà esiti originalissimi che avranno spesso come protagonisti curiosi animali dalle improbabili forme sinuose e dalle focose attitudini, ideate per stupire il pubblico.
Ad essergli propria e a rendere inconfondibile il suo stile, sarà però la messa a punto di una forma-volume che Seneca impiegherà in numerosi cartelloni pubblicitari, alcuni dei quali per la Buitoni, altri per la Ramazzotti e altri ancora per aziende diverse, mostrando di prediligere, se pur nell’inevitabile bidimensionalità dell’affiche, la ricerca plastica. Sarà infatti in essa che si diletterà plasmando i suoi personaggi prima di ritrarli nei manifesti, come appare evidente nel bozzetto preparatorio per pubblicità della Biancheria intima Albene (una fibra di acetato, da cui si ricava un tessuto leggero e opaco molto simile alla seta) del 1954 circa, preceduto da uno studio in gesso in cui l’artista ha calibrato il volume prima di tracciarne la forma sul foglio.
Seppure lontano dal coevo dibattito sull’urgenza dell’autonomia del Graphic design dalla pittura, che già accendeva gli spiriti dei coraggiosi pionieri di questa nascente disciplina, Federico Seneca ha comunque lasciato un’impronta indelebile nella storia della Cartellonistica, ormai giunta agli epigoni. Ed è forse proprio in quella brancusiana forma da lui ideata nel 1954 per la Biancheria intima Albene che risiede la cifra del suo lascito culturale, ancora tutto da indagare, così come risulta anche da indagare la sua sporadica attività di allestitore di spazi espositivi. Il suo nome compare, ad esempio, accanto a quelli prestigiosi di Albini, di Palanti, di Bianchetti, di Pea, di Nizzoli e a quello di altri, tra gli allestitori Padiglione della Montecatini alla Fiera di Milano del 1940, dove il nostro si è occupato dello stand Rhodia-Albene. (Mario Labò, Attualità alla Fiera di Milano, in Casabella n. 149, 1940, pp. 36, 37).
La mostra di Chiasso, composta da più di 300 reperti, nel febbraio 2017 varcherà le Alpi, con un tour che la porterà dapprima a Perugia, quindi a Fano e infine a Treviso. Ci saranno dunque molte occasioni per andare a conoscere questo singolare e poco noto cartellonista, alcune delle cui opere sono paradossalmente più famose del suo nome.