Olimpiade (fantastica)
Innanzitutto una prefazione. Ci troviamo a Parigi nel 2025.
Le Olimpiadi del 2024 sono state le prime nella storia moderna ad aver portato denaro al Paese ospitante. Questo denaro è stato utilizzato per creare posti di lavoro per insegnanti di sport nei quartieri popolari.
10 mila 500 atleti, 25 mila giornalisti e 1 milione e mezzo di turisti sono venuti in aereo e in macchina, ma tutta la CO2 ha aiutato il clima, perché è stato tutto compensato – ben oltre le aspettative.
Tutti i bambini, i ragazzi e le famiglie numerose che vivono dove si sono svolti gli eventi, a Seine-Saint-Denis, a Marsigilia, in Polinesia e a Parigi hanno potuto assistere dagli spalti alle gare e alle partite dei loro sogni, per ammirare gli atleti dal vivo e da vicino.
La videosorveglianza algoritmica e i body scanner a onde millimetriche si sono autodistrutti alla fine dei Giochi.
Il cemento del villaggio dei giornalisti costruito sul parco di La Courneuve è fiorito, i giardini d'Aubervilliers distrutti dal progetto di solarium sono miracolosamente ricresciuti. Sulla rampa autostradale costruita davanti alla scuola di Saint-Denis non passano macchine che sbuffano e fanno rumore, ma nuvole di lavanda e tappeti volanti di caramelle alla cannella.
La magia olimpica fa scappare scarafaggi, ratti e cimici. Le medaglie vinte dai paesi che praticano la tortura, il genocidio culturale, i crimini di guerra e l’ecocidio hanno posto fine alle loro atrocità.
È stato il più grande evento della storia umana.
Questa è la prima pagina del libro Paris 2024: une ville face à la violence olympique della giornalista e scrittrice Jade Lindgaard, nel quale indaga e porta alla luce le numerose ingiustizie sociali, economiche, ambientali che hanno contraddistinto l'organizziazione e la preparazione dei giochi olimpici di Parigi.
In questa prefazione, però, con un tono in bilico tra il giornalistico, il favolistico e il distopico, prova a immaginarsi un futuro alternativo, osservando le Olimpiadi attraverso una lente anomala, calandole dentro un futuro ambiguo, remoto, ancora inespresso. Jade Lindgaard ha dunque creato un mondo. Nel libro Fare mondi Ian Cheng, artista e scrittore, descrive le possibilità che possiede il worlding, ovvero l'abilità di creare mondi inesistenti, immaginifici. Lo scopo di questa attività è concepire, incubare, innescare e curare un gioco infinito, dove l'unica regola diviene fare in modo che il gioco prosegua, innescando nuove soluzioni possibili.
Forse è proprio questo il senso che vorrei potesse offrire il concetto di Olimpiade fantastica.
L'Olimpiade può diventare infatti un pretesto per ripensare l'abitabilità del futuro collettivo – a partire dalle urgenze ambientali, sociali, culturali, preservando il rispetto dei diritti fondamentali delle generazioni di oggi e venture. Lo sport, insieme ai suoi grandi eventi, è in realtà solo la parte di un tutto, di un modello di sistema.
L'esercizio di immaginazione può essere associato alla pratica di chi coltiva.
Coltivare un immaginario significa esercitarsi all’invenzione di soluzioni creative. Come annota in Neogeografia Matteo Meschiari, scrittore, docente e antropologo, "l’immaginario non è un semplice istinto, è un vero e proprio metodo, è una pratica, una cultura, una pedagogia, un’educazione cognitiva. E ovviamente è anche un fare politico, una forma di resistenza."
Dentro questa pratica giocano e si arrovellano da tempo pensatori, filosofi, scienziati, artisti. Gli stessi sportivi estremamente talentuosi, quando associati ad un certo tipo di genialità creativa, vengono descritti come con la capacità unica e rara di saper immaginare nel tempo di un lampo, ovvero di prevedere in una frazione di secondo cosa andrà ad accadere.
Forse questo esercizio di fantasia che si muove su diverse discipline – artistiche, politiche, ambientali, sportive – consiste nel preparare le nostre menti e migliorare la nostra immaginazione collettiva, in modo da diventare più flessibili e pronti a permettere una mutazione, un cambiamento verso una diversa prospettiva.
Può essere utile constatare che a fine '800, quando nacque l'idea di recuperare le Antiche Olimpiadi di Atene per trasformarle nelle Olimpiadi Moderne, ci furono visioni in netto contrasto con l'impostazione conservatrice ed elitaria che fin da principio il barone Pierre De Coubertin impartì a quelli che considerava i "suoi" Giochi, la sua creatura, ereditata poi tra gli altri anche da Juan Antonio Samaranch, presidente del Comitato internazionale olimpico dal 1980 al 2001 ed ex ministro franchista.
Come ci si è immaginato il futuro del movimento sportivo dai suoi albori ad oggi? Quali occhi e quali voci lo hanno attraversato?
Quella ad esempio di Alice Milliat, già inserita nei movimenti femministi internazionali, che diede vita nel 1922 ai primi Giochi Olimpici femminili, che ricevettero nella prima edizione a Parigi una grande partecipazione di atlete e pubblico. Così come anche quella di Paschal Grousset, giornalista e politico corso, che proprio nello stesso periodo del barone De Coubertin promosse attività sportive gratuite, legate al movimento popolare piuttosto che a quello delle elites aristocratiche.
Altri sguardi, altre manifestazioni visionarie sono state create, ad esempio le Spartachiadi, che hanno avuto luogo in Unione Sovietica a partire dagli anni '20 e che rappresentavano l'evento sportivo del mondo comunista in opposizione ai Giochi Olimpici tradizionali, oppure i Giochi dell'Amicizia, nati come forma di boicottaggio dell'edizione di Los Angeles del 1984, o anche le Olimpiadi Popolari, che si sarebbero dovute tenere nella Barcellona anarchica, socialista e democratica del 1936, che venne indetta come contromanifestazione delle Olimpiadi ospitate a Berlino dalla Germania nazista.
La somma di queste visioni, tra le molteplici, fino ai più recenti movimenti di protesta che hanno occupato le strade di Parigi, costruisce nel dissenso un desiderio di reimmaginazione del futuro dello sport e dei Giochi Olimpici così come sono stati tramandati e come li conosciamo.
Oggi ci si trova però, nel nostro presente inquieto e sconvolto, davanti alla minaccia concreta di non saper più riattivare quella capacità innata di immaginare un invisibile che ci si para davanti.
Sulle orme della celebre frase di Mark Fisher, pensatore, attivista, scrittore, che si domandava "quanto può durare una cultura senza il nuovo? Cosa succede se i giovani non sono più in grado di suscitare stupore?", intendendo per nuovo ciò che viene indicato come risposta a quanto già accaduto, conservato e solidificato per decenni, per secoli – abbiamo una vertigine. Poiché quando la tradizione smette di esser contestata e modificata, smette di avere senso. Una cultura che si limita a preservare se stessa omologandosi non è una cultura. Soprattutto se quella cultura preferisce avviarsi verso una catastrofe annunciata invece di immaginare un’alternativa possibile.
Oggi esiste un’atmosfera che agisce come una specie di barriera invisibile che limita tanto il pensiero quanto l’azione. Fisher la chiama realismo capitalista.
La compagnia teatrale Motus tra performance, spettacoli, workshop, festival, allacciando al proprio presente una produzione artistica che si muove dalla letteratura colta al punk, rivendicando la necessità imminente di un futuro trasformato, tenta una terza via.
Futuro fantastico, ovvero una parte del progetto realizzato per la direzione artistica di Santarcangelo Festival, si propone come uno spazio di festa, di danza, di arte e di vita. Futuro Fantastico è l’inimmaginato, la prova collettiva inesplorata, i cicli di proteste represse, i tentoni della coscienza, le profezie improbabili, i tentativi arditi: siamo noi che non ci saremo, che proviamo a dare forma, a re-immaginare una nuova, trasformata atmosfera.
Come costruire però una via di fuga da qualcosa che sembra già stabilito ed ineluttabile, immaginando un’alternativa a un mondo che sembra non offrirne alcuna? L'intuizione che dona di nuovo Mark Fisher suggerisce che l'unico strumento che resta è il tentativo di generare un’infinita proliferazione di mondi alieni, possibili. Per Fisher l’uscita dalla tana diviene strutturazione di uno spazio altro, che non si dovrebbe temere di immaginare politico.
Un'Olimpiade utopistica dunque, a ridotto impatto ambientale, che rispetti la parità di genere non solo nel numero di atleti e di atlete scesi in campo, ma anche nei ruoli decisionali del Comitato Olimpico Nazionale e Internazionale, delle federazioni, delle amministrazioni; un'Olimpiade che rispetti i diritti umani, nella costruzione degli impianti, nella gestione trasparente dei fondi pubblici, che rispetti l'abitare inclusivo e paritario di cittadini e cittadine, senza deturpare l'ambiente, senza avvantaggiare un gruppo di pochi privati; un'Olimpiade festante che diventi di tutte e di tutti, come si prefigge di essere nei suoi proclami, a prescindere dal ceto sociale: ovvero l'unica Olimpiade che ci si può permettere di accettare.
Talvolta, per poter rendere un evento efficace, poetico ed eccezionale, basterebbe non farlo, trasformandolo in un buffo e acuto miraggio. E' il caso del festival Civitonia. Un festival di arti performative immaginato per Civita di Bagnoregio da Giovanni Attili e Silvia Calderoni, artisti e performer, che hanno riscritto la fine del borgo laziale minacciato sia dalla fragilità del suo territorio che dalla violenta gentrificazione in corso. Civitonia, riscrivere la fine o dell'arte del capovolgimento. In cosa consiste, però, questo capovolgimento?
Si è trattato di un festival che non c'è stato in termini materiali, un fake festival montato da un'attesa vibrante che ha visto la partecipazione – per meglio dire la complicità visionaria – di molti artisti e pensatori.
Si è trattato di un atto performativo e di un gesto politico che tentava di disinnescare due nodi critici: da una parte quello di un territorio sfruttato unicamente ad uso turistico e dall'altra quello di una visione culturale legata sempre e solo all’iperproduzione. “Nel caso di Civita, – affermano Attili e Calderoni – non volevamo che il festival venisse sussunto nelle maglie tentacolari dell’industria turistica, trasformandosi nell’ennesima mercanzia scintillante”. Capovolgimento è dunque l'arte di "guardare in un altro modo. Cercare un potenziale nascosto non immediato, evocare una forma di infestazione artistica”. Capovolgimento per suscitare un vuoto stupito, per inviare un abbaglio su cui far posare il silenzio di una riflessione, per destare in uno squarcio – meraviglia e mistero.
[silenzio – fruscio]
"C'è un Altrove, da qualche parte qui dentro alla Realtà, che non accetta – per vocazione, per attraversamento di soglia, per respiro o per abitudine – le regole del gioco e che testimonia, con la propria vibrazione, la strada della Meraviglia e dell'apertura."
Edoardo Camurri, nel saggio Introduzione alla realtà, frantuma il concetto di realismo, lo amplia e lo sovverte – lo trascina fuori da quel realismo che è "una pelle dentro la quale ci si avvolge" e che ci rende pessimisti, che ci fa accettare di poter rinunciare al meglio di noi.
L'invito ardito – fantastico – è una prova: sintonizzarsi su un'onda radio cablata, balbettante, incomprensibile – fino a prova contraria – in ascolto di sé. Potrà mai lo sport sintonizzarsi su questa frequenza?
Olimpiade (fantastica) è stato l'ultimo episodio di un ciclo radiofonico andato in onda su RaiRadio3 dal nome Le parole dello sport.
Allo stesso tempo si può ritenere un tentativo improbabile, una prova inesplorata che apre la dimensione sportiva alle sue manifestazioni inconsuete e alle sue contraddizioni irrisolte.
Ed è una danza, un ballo di Comasti e di Hacker ("idioti simpatici"), una fuga d'anguilla verso un oceano inesistente, nel quale, senza dubbio, proliferano mondi alieni, dove a tratti germoglia un maldestro, sopito "realismo sperimentale".
In copertina, opera di Sabrina Ratté, Nuée, 2020, Inkjet print, 50cm x 100cm
Edition of 3.